LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PERRINO Angel – Maria –
Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –
Dott. MENGONI Enrico – Consigliere –
Dott. GRASSO Gianluca – Rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 23437/2013 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro-tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12;
– ricorrente –
contro
FOSCARINI S.R.L., in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Viale Mazzini 11, presso lo studio dell’Avv. Paolo Stella Richter, dal quale è rappresentata e difesa giusta procura speciale a margine del controricorso;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 96/25/2012 della Commissione tributaria regionale del Veneto, depositata il 17 luglio 2012;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 19 settembre 2018 dal Consigliere Gianluca Grasso.
RITENUTO
Che:
la Foscarini s.r.l. proponeva ricorso avverso l’avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle entrate aveva rettificato la dichiarazione Irpeg-Irap per l’esercizio 2003 sulla scorta dei rilievi formulati con processo verbale di constatazione del 29 luglio 2005. La contribuente, in particolare, chiedeva l’annullamento dell’atto per i punti relativi all’indebita deduzione di costi relativi ad acquisto di carburante, alle spese di rappresentanza e agli acquisti di servizi ritenuti mancanti dei requisiti della certezza e dell’inerenza;
che con sentenza n. 72/01/07 del 5 giugno 2007 la Commissione provinciale di Venezia respingeva il ricorso;
che la Commissione tributaria regionale, con sentenza n. 6/29/09 del 19 gennaio 2009, accoglieva l’appello della Foscarini s.r.l., che, con ricorso notificato in data 7 aprile 2009, l’Agenzia delle Entrate impugnava la pronuncia d’appello, chiedendone la cassazione a mezzo di sei motivi;
che, con ordinanza 15 dicembre 2010, n. 25385, la Corte di cassazione accoglieva il ricorso, disponendo il rinvio alla Commissione tributaria regionale del Veneto;
che, a seguito di riassunzione del giudizio, con sentenza n. 96/25/11 del 17 luglio 2012, la Commissione tributaria regionale del Veneto, in parziale accoglimento dell’appello della Foscarini s.r.l., dichiarava interamente deducibili i costi per il controllo di qualità, nonchè nella misura di un terzo quelle di partecipazione a fiere, ritenendole in tal parte spese pubblicitarie, confermando la sentenza per il resto;
che, con ricorso notificato in data 22 ottobre 2013, l’Agenzia delle Entrate ha impugnato la sentenza n. 96/25/11, chiedendone la cassazione sulla base di due motivi;
che la contribuente si è costituita con controricorso, proponendo altresì un motivo di ricorso incidentale.
Considerato che con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate lamenta, in relazione alla statuizione con cui è stata parzialmente annullata la ripresa a tassazione delle spese di rappresentanza, un vizio di motivazione apparente, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nonchè la violazione del principio di diritto enunciato nell’ordinanza del 15 dicembre 2010.
Si evidenzia, al riguardo, che dall’esame della pronuncia è assolutamente impossibile comprendere le ragioni che hanno indotto i giudici del gravame ad ammettere la deducibilità di un terzo delle spese in discussione, ritenendole di pubblicità;
che con l’unico motivo del ricorso incidentale la Foscarini s.r.l. prospetta l’omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nonchè la violazione di legge (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) in relazione al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 74, comma 2.
Riguardo al riconoscimento dei costi portati in deduzione dalla Foscarini s.r.l., quali spese di pubblicità e non già di rappresentanza, la Commissione tributaria regionale ha concluso per la deducibilità nella misura di 1/3 delle spese di partecipazione a fiere, qualificate come spese pubblicitarie, senza esplicitare le ragioni per cui ha ritenuto che tale riconoscimento debba essere solo parziale e nella misura di 1/3, non rinvenendosi alcun elemento atto a suffragare tale ricostruzione;
che i motivi vanno trattati congiuntamente in quanto entrambi contestano – sotto due diverse prospettive, ma tra loro strettamente connesse – la pronuncia impugnata nella parte in cui ha ammesso la deducibilità parziale delle spese sostenute dalla contribuente in occasione di eventi fieristici nella misura di 1/3, considerandole spese di pubblicità;
che la misura di tale deducibilità – riconosciuta dalla pronuncia – corrisponde di fatto a quella stabilita nell’accertamento impugnato in relazione alle spese di rappresentanza, dando così luogo al conseguimento di un risultato corrispondente a quello determinato dall’Amministrazione che, nel qualificare in termini di rappresentanza le spese portate a totale deduzione dalla contribuente, ne aveva rideterminato la deducibilità proprio nella misura di 1/3;
che, pertanto, sussiste una carenza di interesse in ordine al primo motivo del ricorso principale;
che fondato, invece, è il motivo del ricorso incidentale;
che la Commissione tributaria regionale, in maniera del tutto apodittica, senza alcun riferimento a elementi specifici e concreti, neanche per relationem, ha ritenuto “di non poter disconoscere l’obiettivo della società di potenziare lo sviluppo della stessa, favorendo una propria migliore immagine con finalità promozionali e di incremento commerciale, in un’ottica degli obiettivi imprenditoriali”, disponendone la deducibilità nella misura di 1/3 e incorrendo in tal modo nel vizio di motivazione apparente;
che ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass. 7 aprile 2017, n. 9105; Cass. 6 giugno 2012, n. 9113);
che con il secondo motivo del ricorso principale si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; violazione dell’art 2697 c.c., del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75, comma 5 e del principio di divieto dell’abuso del diritto, in relazione all’art 360 c.p.c., comma 1, n. 3; violazione del principio di diritto enunciato nell’ordinanza n. 25385/10. L’Amministrazione evidenza che aveva fondato la ripresa a tassazione sull’inesistenza, presso la società, di documentazione idonea a comprovare che i costi in contestazione si riferissero effettivamente a una prestazione inerente e che detta prestazione provenisse da un soggetto distinto dalla contribuente, considerato che la società che avrebbe fornito i servizi risultava composta dai medesimi soggetti presenti in “Foscarini”, aveva la medesima sede operativa e medesima attività, che aveva svolto la sua attività solo in favore della Foscarini e che quella che veniva presentata come una “una fase della produzione” altro non era che un mero visto di conformità, volto ad attestare solo la perfezione estetica e la vendibilità del prodotto, diversa e ulteriore rispetto alle certificazioni per i marchi di sicurezza che la società otteneva da altri organismi. Tali fatti sarebbero stati del tutto omessi nella pronuncia impugnata;
che il motivo è fondato;
che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel quadro dei generali principi che governano l’onere della prova, spetta all’Amministrazione finanziaria dimostrare l’esistenza dei fatti costitutivi della maggiore pretesa tributaria azionata, fornendo quindi la prova di elementi e circostanze a suo avviso rivelatori dell’esistenza di un maggiore imponibile, mentre grava sul contribuente l’onere della prova circa l’esistenza dei fatti che danno luogo ad oneri e/o a costi deducibili, e in ordine al requisito dell’inerenza degli stessi all’attività professionale o d’impresa svolta (Cass. 16 maggio 2007, n. 11205);
che, nel caso di specie, non vi è stata nessuna effettiva valutazione delle ragioni per le quali i costi in contestazione si dovevano considerare inerenti al processo produttivo a fronte di specifiche contestazioni formulate in sede di accertamento, riproposte nell’ambito del giudizio e riportate nel ricorso introduttivo;
che del tutto apodittica appare altresì l’affermazione in base alla quale “l’Ufficio non è stato in grado di provare efficacemente l’illegittimità delle deduzioni effettuate dalla società”;
che la pronuncia impugnata ha invero introdotto una inammissibile inversione dell’onere della prova, ponendo a carico dell’Amministrazione l’onere di provare la non deducibilità dei costi contestati e ripresi a tassazione, lì dove il contribuente avrebbe dovuto dimostrare che gli stessi erano stati effettivamente sostenuti e che si riferivano a servizi realmente funzionali al processo produttivo;
che, pertanto, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale competente, anche per le spese del giudizio di cassazione in relazione al secondo motivo del ricorso principale e al ricorso incidentale.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il primo motivo del ricorso principale;
accoglie il secondo motivo del ricorso principale e il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Veneto, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Quinta Sezione civile, il 19 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2018