Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.26499 del 17/10/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23329-2018 proposto da:

D.M.D., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA MANCINI 4, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE PICONI, rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONIA D’ALESSANDRO, ORLANDO MARIO CANDIANO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 97591110586, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di BARI n. cronol. 427/2018, depositato il 1 febbraio 2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 15/5/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ALDO CARRATO.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il sig. D.M.D. ha proposto ricorso per cassazione – riferito a tre motivi – avverso il decreto n. cronol. -127/2018 della Corte di appello di Bari, con il quale veniva rigettata l’opposizione dallo stesso formulata, ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 5-ter, avverso il decreto depositato il 5 luglio 2017 dall’esito della fase monitoria, con cui era stato respinto il suo ricorso per equo indennizzo per effetto della ritenuta manifesta infondatezza dell’opposizione a precetto avanzata nel giudizio presupposto.

Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione dell’art. 11 preleggi, deducendo che, nella fattispecie, non avrebbe potuto essere applicato – “ratione temporis” (poichè il giudizio presupposto era stato definito prima del 1 gennaio 2016) – il nuovo comma 2-quinquies della L. n. 89 del 2001, art. 2, nel testo finale introdotto dalla L. 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, comma 777, lett. c) (in vigore, per l’appunto, dal 1 gennaio 2016).

Con il secondo motivo il ricorrente ha denunciato – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – il vizio Pi illogica motivazione dell’impugnato decreto nella parte in cui era stato affermato che la consapevolezza dell’infondatezza del ricorso per equa riparazione era ricavabile dal fatto che, per legge, la compensazione del credito alimentare con altri crediti non era possibile, ragion per cui l’azione era stata introdotta con detta consapevolezza.

Con il terzo ed ultimo morivo il ricorrente l), prospettato – sempre con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – il difetto assoluto) di motivazione nella parte in cui era stata irrogata a suo carico la sanzione di Euro 1000,00, senza l’esplicitazione di alcuna spiegazione al riguardo. L’intimato Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso.

Su proposta del relatore, il quale riteneva che il primo motivo potesse essere dichiarato manifestamente fondato (con assorbimento degli altri due), donde la conseguente definibilità nelle forme dell’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

Rileva il collegio che, in effetti, non sussistono – diversamente da quanto prospettato con la suddetta proposta — le condizioni per l’accoglimento del primo motivo del ricorso” che, invece, deve essere integralmente rigettato.

Esso è, infatti, destituito di fondamento perchè – indipendentemente dalla verifica del regime temporale di applicabilità del nuovo testo del comma 2- quinquies della L. n. 89 del 2001, art. 2 (come, da ultimo, previsto dalla L. 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, comma 777, lett. c)) la Corte barese ha, in effetti, preso in considerazione il testo di detto comma (certamente applicabile “ratione temporis” nel caso di specie) come risultante dalla pregressa novella di cui al D.L. n. 83 del 2012 (convertito nella L. n. 134 del 2012), alla stregua del quale era comunque possibile escludere (ai sensi della previsione contenuta nella lett. d), il riconoscimento dell’equo indennizzo in ogni altro caso di abuso dei poteri processuali – concretante una ipotesi di temerarietà della lite – che avesse determinato una ingiustificata dilazione dei tempi del procedimento.

E, nel caso di specie, la Colte territoriale – con motivazione logica e giuridicamente corretta – ha ravvisato l sussistenza di detta temerarietà sulla scorta dell’applicazione del principio, come affermato ripetutamente in giurisprudenza, secondo cui deve ritenersi operante il divieto di compensazione di assegni di natura alimentare c/o di mantenimento dei figli con altri crediti, che, nella fattispecie, costituiva proprio l’oggetto del giudizio presupposto.

Sulla scorta di quanto appena evidenziato consegue anche l’infondatezza del secondo motivo, poichè applicandosi “ratione temporis” il novellato disposto del’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (siccome il decreto impugnato risulta pubblicalo dopo l’11 settembre 2012) – la valutazione del fatto relativo alla ravvisata sussistenza di una ipotesi di lite temeraria non può dirsi affatto omessa, essendo, anzi, stata addotta al riguardo una motivazione certamente adeguata. Oltretutto, va osservato come la giurisprudenza di questa Corte (cfr., per tutte, Cass. n. 24190/2017) abbia precisato che il giudice del procedimento di equa riparazione, già prima della novella apportata dalla L. n. 208 del 2015, poteva autonomamente valutare tale temerarietà, come evincibile dalla già richiama a lett. d) dello stesso art. 2, comma 2 quinquies (come, in un primo tempo, inserito dal citato D.L. n. 83 del 2012, conv. dalla L. n. 134 del 2012), che attribuisce carattere ostativo ad ogni altra ipotesi di abuso dei poteri. processuali. Peraltro, tale valutazione non è soggetta al sindacato di legittimità motivazionale, per effetto dei limiti introdotti dal nuovo) testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè, ove svolta d’ufficio, è censurabile in cassazione per pretesa violazione dell’art. 112 c.p.c., essendo, al contrario, doverosa, in quanto relativa ad un requisito negativo dell’esistenza del diritto.

Anche l’ultimo motivo è privo di fondamento giuridico perchè, avendo la Corte di appello di Bari applicato nel minimo la sanzione processuale contemplata dalla L. n. 89 del 2011, art. 5-quater (anch’esso introdotto per effetto del D.L. n. 83 del 2012, conv. dalla L. n. 134 del 2012), la relativa determinazione non abbisognava di una specifica motivazione.

In definitiva, il ricorso deve essere totalmente respinto con la conseguente condanna del ricorrente alla rifusione delle competenze del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dei compensi del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 400,00, oltre eventuali spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-2 Sezione civile della Corte di cassazione, il 15 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2019

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