Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.26500 del 17/10/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24953-2018 proposto da:

P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GOLAMETTO 4, presso lo studio dell’avvocato GIOVAMBATTISTA FERRIOLO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato FERDINANDO EMILIO ABBATE;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimato –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di PERUGIA n. cronol.

667/2018, depositato l’8/2/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 15/5/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ALDO CARRATO.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il sig. P.G. ha proposto ricorso per cassazione – riferito a due motivi – avverso il decreto n. cronol. 667/2018 della Corte di appello di Perugia, con il quale veniva accolta la sua domanda di equa riparazione relativa alla ritenuta durata irragionevole di un giudizio amministrativo svoltosi dinanzi al TAR Lazio, con la liquidazione dell’indennizzo nella misura di Euro 2.600,00 (oltre interessi dalla domanda) e la condanna alle spese del Ministero dell’Economia e delle Finanze per complessivi Euro 405,00.

Con il primo motivo il ricorrente ha eccepito l’incostituzionalità del del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, convertito, con modif., nella L. n. 138 del 2008, nella parte in cui tale norma prevedeva l’improponibilità della domanda per equo indennizzo in mancanza della formulazione dell’istanza di prelievo nel giudizio amministrativo presupposto – per la ritenuta durata irragionevole di quest’ultimo con riferimento al periodo maturato successivamente al 25 giugno 2008. Con il secondo motivo il ricorrente ha denunciato la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., art. 2233 c.c., comma 2, e dei parametri di liquidazione dei compensi giudiziali ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, sostenendo che la quantificazione di questi ultimi – da riferirsi ad un procedimento contenzioso e non di volontaria giurisdizione – come disposta nell’impugnato decreto era stata computata al di sotto del minimo tabellare, poichè, pur applicando i parametri minimi (con le massime riduzioni possibili) per le voci da riconoscere con riguardo alla fase di studio, alla fase introduttiva, alla fase istruttoria e a quella decisionale, il totale minimo da liquidare avrebbe dovuto essere corrispondente all’importo di Euro 1.198,50 (anzichè di Euro 405,00).

L’intimato Ministero dell’Economia e delle Finanze non ha attività difensiva in questa sede.

Su proposta del relatore, il quale riteneva che entrambi i motivi potessero essere dichiarati manifestamente fondati, con la conseguente definibilità nelle forme dell’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

Rileva il collegio che la prima censura è effettivamente fondata nei sensi di cui in appresso e da ciò consegue la dichiarazione di assorbimento della seconda, siccome attinente alla statuizione accessoria sulle spese giudiziali.

Con riferimento al primo motivo relativo alla prospettata e richiamata eccezione di legittimità costituzionale è infatti intervenuta, nelle more del giudizio, la sentenza della Corte Cost. n. 34/2019, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 54, comma 2, (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, nella L. 6 agosto 2008, n. 133, come modificato dal D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, art. 3, comma 23, Allegato 4, (Attuazione della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 44, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo) e dal D.Lgs. 15 novembre 2011, n. 195, art. 1, comma 3, lett. a), n. 6, (Disp. correttive ed integrative al D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, recante codice del processo amministrativo a norma della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 44, comma 4).

Con tale pronuncia è stata specificamente, ritenuta l’illegittimità costituzionale della censurata norma, la quale prevedeva che la domanda di equa riparazione non era proponibile se nel giudizio dinanzi al giudice amministrativo in cui si assumeva essersi verificata la violazione di cui alla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1, non era stata presentata l’istanza di prelievo di cui all’art. 71 codice del processo amministrativo, comma 2, nè con riguardo al periodo anteriore alla sua presentazione.

Da ciò è derivata la conseguenza (per effetto dell’efficacia generalizzata ed “ex tunc” della richiamata sentenza di incostituzionalità, ai sensi dell’art. 136 Cost.), che, essendo venuta meno la suddetta condizione di proponibilità riconducibile alla necessaria presentazione dell’istanza di prelievo, nel caso di specie avrebbe dovuto essere riconosciuto l’invocato indennizzo per l’ulteriore durata irragionevole del giudizio amministrativo presupposto maturata successivamente al 25 giugno 2008 e fino al momento della proposizione della domanda per equa riparazione depositata nel febbraio 2010, non potendosene limitare il riconoscimento al solo periodo maturato antecedentemente alla suddetta data.

Quindi, poichè con l’impugnato decreto non è stato riconosciuto come dovuto l’equo indennizzo anche per l’ulteriore periodo successivo all’indicata data del 25 giugno 2008, ne consegue la sua cassazione sul punto.

Rimane assorbito il secondo motivo siccome riguardante la dedotta illegittimità della pronuncia accessoria sulle spese giudiziali liquidate con l’impugnato decreto.

In definitiva, va accolto il primo motivo del ricorso, dichiarato assorbito il secondo, con conseguente cassazione dell’impugnato decreto e il rinvio della causa, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Perugia, in diversa composizione, che si conformerà al principio statuito con riferimento all’applicazione degli effetti derivanti dalla sopravvenuta sentenza di incostituzionalità n. 34/2019.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo ricorso e dichiara assorbito il secondo; cassa il decreto impugnato e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Perugia, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della VI-2 Sezione civile della Corte di cassazione, il 15 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2019

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