Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.17770 del 22/06/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7257-2019 proposto da:

G.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CARDINALE GARAMPI, 195, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO CAMPANELLA, rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONIO TANZA, SALVATORE DE GAETANIS;

– ricorrente –

contro

BANCAPULIA SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PARAGUAY N. 5, presso lo studio dell’avvocato GIUNIO RIZZELLI, rappresentata e difesa dagli avvocati PIERPAOLO INGROSSO, MARCELLO URSO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 900/2018 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 19/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 02/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MASSIMO FALABELLA.

FATTI DI CAUSA

1. – Il Tribunale di Lecce, pronunciando sulla domanda di ripetizione dell’indebito proposta da G.P. confronti di Bancapulia s.p.a., condannava quest’ultima al pagamento, nei confronti dell’attore, della somma di Euro 417.105,35, oltre interessi. Il detto Tribunale osservava, tra l’altro, che l’onere della prova dell’indebito gravava sulla banca, risultando irrilevante che il debitore avesse assunto l’iniziativa con un’azione di accertamento negativo; osservava, inoltre, che la prescrizione, eccepita dalla convenuta, cominciava a decorrere dalla chiusura del conto e che la banca avrebbe dovuto allegare quali versamenti avevano avuto natura ripristinatoria della provvista, essendo pacifico che il conto corrente era assistito da aperture di credito.

2. – Bancapulia impugnava la pronuncia di primo grado, che veniva riformata dalla Corte di appello di Lecce con sentenza pubblicata il 19 settembre 2018. Contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, la Corte distrettuale affermava che andava nella fattispecie applicato il principio per cui chi proponga azione di indebito oggettivo ha l’onere di provare l’inesistenza della causa giustificativa del pagamento per la parte che assume non dovuta; asseriva, poi, che sulla banca appellante non incombeva l’onere di specificare quali fossero le rimesse solutorie rilevanti ai fini della eccepita prescrizione.

3. – La pronuncia resa in sede di gravame è impugnata per cassazione da G.P. con un ricorso affidato a due motivi che sono illustrati da memoria. Resiste con controricorso Bancapulia.

Il Collegio ha autorizzato la redazione della presente ordinanza in forma semplificata.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo oppone la violazione o falsa applicazione degli artt. 2697,2938 e 2727 c.c., “per aver erroneamente attribuito l’onus probandi in capo a una parte diversa da quella che ne era onerata sulla base della differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni”. Il motivo si articola in due censure. Viene anzitutto opposto che incombeva alla banca convenuta nel procedimento di accertamento negativo di provare la legittimità del saldo a fronte delle contestazioni sollevate dal correntista circa l’applicazione di condizioni economiche illegittime: e quindi di dimostrare non solo la validità delle pattuizioni contrattuali, ma anche l’andamento del conto fino alla sua chiusura. Alla sentenza impugnata è obiettato, poi, che gravava sulla banca anche l’onere di allegare, con riferimento alla prescrizione, l’ulteriore circostanza dell’avvenuto superamento, ad opera del cliente, del limite dell’affidamento; sicchè – secondo l’istante – sarebbe spettato alla controparte di individuare le rimesse solutorie poste in atto di volta in vota: ciò che era avvenuto però tardivamente, nella comparsa conclusionale di appello.

Il motivo è infondato.

La prima doglianza è priva della necessaria chiarezza, in quanto l’istante non spiega in cosa consista la denunciata inversione dell’onere probatorio. La Corte di merito ha rilevato che la domanda del correntista non poteva essere respinta a causa della mancata produzione del contratto di apertura di credito, dato che nel caso di specie la presenza dell’affidamento non era contestata e ha osservato, inoltre, che il consulente tecnico aveva potuto operare la ricostruzione integrale del rapporto mediante gli estratti conto scalari. Il ricorso per cassazione non consente di comprendere in quali termini il principio di diritto che si assume erroneamente applicato dal giudice del gravame abbia dispiegato concreta incidenza nella definizione della controversia, e quindi di apprezzare la decisività della censura svolta. E’ certo, peraltro, che il detto principio, cui la Corte di merito ha proclamato di volersi attenere, sia del tutto corretto. Infatti, nella ripetizione di indebito incombe all’attore fornire la prova sia dell’avvenuto pagamento che della mancanza di causa debendi (Cass. 8 marzo 2001, n. 3387; Cass. 3 marzo 1998, n. 2334; Cass. 28 luglio 1997, n. 7027; Cass. 18 dicembre 1995, n. 12897; con riguardo all’onere probatorio circa la mancanza della causa debendi, più di recente: Cass. 14 maggio 2012, n. 7501; Cass. 11 ottobre 2010, n. 22872). Ciò implica che in tema di contratto di conto corrente bancario, il correntista che agisca per la ripetizione dell’indebito, tenuto a fornire la prova sia degli avvenuti pagamenti che della mancanza, rispetto ad essi, di una valida causa debendi, è onerato di dar conto dell’andamento del rapporto documentando le singole rimesse che, per riferirsi ad importi non dovuti, sono suscettibili di ripetizione (Cass. 23 ottobre 2017, n. 24948; cfr. pure Cass. 3 dicembre 2018, n. 31187).

E’ da disattendere anche la deduzione che investe l’asserita generica prospettazione dell’eccezione di prescrizione. Secondo quanto precisato dalle Sezioni Unite, infatti, l’onere di allegazione gravante sull’istituto di credito che voglia opporre l’eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l’azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da apertura di credito, è soddisfatto con l’affermazione dell’inerzia del titolare del diritto, unita alla dichiarazione di volerne profittare, senza che sia necessaria l’indicazione delle specifiche rimesse solutorie ritenute prescritte (Cass. Sez. U. 13 giugno 2019, n. 15895).

2. – Il secondo mezzo denuncia la violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 26, e dell’art. 2041 c.c.. Secondo il ricorrente, la sentenza impugnata risulterebbe viziata “nella parte in cui aderisce al ricalcolo peritale con il calcolo degli interessi attivi al netto della ritenuta”. Viene osservato, al riguardo, che gli interessi attivi maturati sul conto corrente “sono soggetti a ritenuta d’acconto con obbligo di rivalsa nei confronti dei possessori degli stessi” al momento dell’erogazione. Poichè il correntista beneficia della ritenuta d’imposta che la banca versa all’erario sugli interessi a credito, assumerebbe particolare rilievo l’accertamento del maggior importo lordo dei detti interessi. Si sostiene che “Ma ritenuta d’acconto applicata dal c.t.u., nella propria ricostruzione del rapporto di conto corrente, viene trattenuta dalla banca senza di fatto essere mai stata riversata all’erario”.

Il motivo è infondato.

La Corte di merito ha disposto che l’importo dovuto al correntista andava rideterminato in Euro 10.459,44, “considerando gli interessi attivi al netto della ritenuta”. In tal modo, il giudice distrettuale ha stabilito che una parte dell’importo ricalcolato non spettasse a G.P. in quanto la banca, quale sostituto di imposta, doveva trattenerla per rimetterla all’erario. Ciò posto, la decisione adottata, in sè considerata, è conforme al diritto, posto che sugli interessi oggetto di accreditamento deve essere applicata la ritenuta contemplata dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 26, comma 2; la quota di detti interessi oggetto della ritenuta non può costituire oggetto dell’ingiustificato arricchimento lamentato dal ricorrente proprio in quanto la banca è tenuta, quale sostituto di imposta, a operarne il versamento all’Amministrazione fiscale. D’altro canto, esula dall’oggetto del presente giudizio di legittimità – che può investire la sola sentenza impugnata – la verifica circa l’adempimento, da parte della banca, dell’obbligo in questione (adempimento, che, oltretutto, non è nemmeno stato contestato).

3. – Le spese di giudizio seguono la soccombenza.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6 Sezione Civile, il 16 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2021

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