LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MELONI Marina – Presidente –
Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –
Dott. SERRAO Eugenia – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso 18150-2020 proposto da:
A.T., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL CASALE STROZZI n. 31, presso lo studio dell’avvocato LAURA BARBERIO, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO TARTINI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– resistente –
avverso la sentenza n. 4888/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 11/11/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 06/05/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Venezia rigettava il gravame proposto da A.T. avverso l’ordinanza del 6.2.2018, con la quale il Tribunale di Venezia aveva rigettato il ricorso interposto dall’odierno ricorrente contro il provvedimento della competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale che aveva respinto l’istanza di protezione, internazionale ed umanitaria dal medesimo avanzata.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione A.T., affidandosi a sette motivi, preceduti da una questione di legittimità costituzionale.
Il Ministero dell’Interno, intimato, ha depositato atto di costituzione ai fini della partecipazione all’udienza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, il ricorrente solleva la questione di legittimità costituzionale della legge di conversione L. n. 98 del 2013, artt. da 62 a 72 compresi, con modificazioni, del D.L. n. 69 del 2013, per contrasto con gli artt. 3,25,102,106 e 111 Cost., in relazione alla partecipazione al collegio che ha deciso l’appello di un giudice ausiliario.
Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 25 e 102 Cost., art. 158 c.p.c., del R.D. n. 12 del 1941, art. 110 nonché la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, perché il collegio sarebbe stato formato in violazione del principio di immutabilità del giudice naturale precostituito per legge.
Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c. e l’apparenza della motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto non credibile la storia personale del richiedente.
Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3,D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, artt. 8 e 27, perché la Corte veneziana non avrebbe esercitato in modo corretto il potere-dovere di cooperazione istruttoria previsto dalla legge.
Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3 e art. 14, lett. b), D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, artt. 8 e 35-bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché la Corte lagunare avrebbe escluso il riconoscimento della protezione sussidiaria, senza indicare le fonti specifiche aggiornate consultate per la verifica del contesto esistente nel Paese di origine del richiedente la protezione.
Con il quinto motivo, il ricorrente denuncia l’apparenza della motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, perché la Corte di Appello avrebbe escluso la protezione sussidiaria senza fornire un’effettiva motivazione a sostegno del proprio convincimento.
Con il sesto motivo, il ricorrente lamenta l’apparenza della motivazione e la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nonché la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 perché la Corte di merito avrebbe erroneamente escluso anche il riconoscimento della tutela umanitaria.
Con il settimo ed ultimo motivo, il ricorrente lamenta infine la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, artt. 8 e 35-bis, art. 2 Cost. ed art. 8 della Convenzione E.D.U., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente omesso di considerare il significativo percorso di integrazione sociale e lavorativa conseguito dal ricorrente durante la permanenza in Italia, ed il conseguente rischio di lesione del nucleo inalienabile dei suoi diritti fondamentali in caso di rimpatrio.
Per ragioni di priorità logica, occorre esaminare innanzitutto gli ultimi due motivi, in relazione ai quali va evidenziato che la stessa sentenza impugnata da atto che il richiedente aveva documentato “di aver raggiunto un grado adeguato d’integrazione sociale nel nostro paese” (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata). Per effetto di tale accertamento, il giudice di merito avrebbe dovuto tener conto anche del livello di integrazione lavorativa conseguito dal ricorrente durante la permanenza in Italia, nell’ambito del giudizio di comparazione tra la condizione di vita del richiedente in Italia, e quella che egli potrebbe avere in caso di rientro, ai fini della verifica dell’esistenza del rischio di compromissione del nucleo inalienabile dei diritti fondamentali della persona, come richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298; Cass. Sez. U, Sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 17130 del 14/08/2020, Rv. 658471).
Poiché la Corte distrettuale ha omesso di considerare uno dei profili di possibile radicamento del richiedente in Italia, e considerato che, dalle indicazioni contenute nella stessa sentenza impugnata emerge l’esistenza di un “adeguato” livello di integrazione lavorativa conseguita dal richiedente in Italia, il Collegio ravvisa l’opportunità di rinviare il ricorso a nuovo ruolo, in attesa della pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte in merito alla configurabilità del diritto alla protezione umanitaria in presenza dell’allegazione, o dell’accertamento da parte del giudice di merito, di un significativo profilo di radicamento del richiedente in Italia, fondato su indici di stabilità lavorativa o relazionale, la cui radicale modificazione, per effetto del rimpatrio, possa ritenersi idonea a determinare una situazione di vulnerabilità dovuta alla compromissione del diritto alla vita privata e familiare, ai sensi dell’art. 8 della Convenzione E.D.U., sulla base di un giudizio prognostico degli effetti dello sradicamento, che incentri la valutazione comparativa sul livello di integrazione conseguito dallo straniero in Italia, con attenuazione del rilievo delle condizioni del Paese di origine non eziologicamente ricollegabili alla predetta integrazione. Argomenti, questi, attualmente sottoposti all’esame delle Sezioni Unite giusta l’ordinanza di remissione di questa sezione n. 28316 del 2020.
P.Q.M.
la Corte rinvia il ricorso a nuovo ruolo, in attesa della pronuncia delle Sezioni Unite sulla questione oggetto dell’ordinanza di remissione di questa sezione, n. 28316 del 2020.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 6 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2021