LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –
Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 8299-2019 proposto da:
A.B.J., domiciliato ex lege in Roma, presso la cancelleria della Corte di Cassazione rappresentato e difeso dall’avvocato FABIO TAGLIALATELA;
– ricorrenti –
e contro
PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI REGGIO CALABRIA;
– Intimati –
nonché contro MINISTERO DELL’INTERNO COMMISSIONE TERRITORIALE RICONOSCIMENTO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– resistenti –
avverso la sentenza n. 709/2019 della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata il 29/08/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/03/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA.
RILEVATO
che:
1. A.B.J., cittadino del *****, chiese alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:
(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;
(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;
(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis).
2. Il richiedente dedusse a fondamento delle proprie ragioni di esser fuggito dal paese di origine per conflitti di tipo familiare legati alla proprietà di un terreno che il padre avevo acquistato dallo zio che morì prima che fossero completate le pratiche notarili per il passaggio della proprietà. In seguito a ciò, gli eredi dello zio si rifiutarono di cedere il terreno interamente pagato dal padre del ricorrente. A seguito di tali eventi il padre fu ucciso. Pertanto il richiedente fuggì dapprima in Munshigonj, dove fu ridotto in schiavitù, poi giunse in Libia e infine in Italia.
La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.
Avverso tale provvedimento A.B.J. propose ricorso dinanzi il Tribunale di Reggio Calabria, che con ordinanza del 4 giugno 2016 rigettò il reclamo.
Il Tribunale ritenne:
a) non attendibile la vicenda narrata dal richiedente;
b) infondata la domanda per il riconoscimento dello status di rifugiato, perché il richiedente non aveva dedotto alcun fatto di persecuzione grave e personale;
c) infondata la domanda per il riconoscimento della protezione sussidiaria, perché nella regione di provenienza non era in atto un conflitto armato;
d) infondata la domanda per il riconoscimento della protezione umanitaria, poiché l’istante non aveva ne allegato, ne provato, alcuna circostanza di fatto, diversa da quelle poste a fondamento delle domande di protezione “maggiore” (e ritenute inveritiere), di per se dimostrativa d’una situazione di vulnerabilità.
3. Tale decisione è stata confermata dalla Corte di Appello di Venezia con sentenza n. 4188/2019 pubblicata il 3 ottobre 2019.
4. La sentenza è stata impugnata per cassazione da A.B.J. con ricorso fondato su due motivi.
CONSIDERATO
che:
5. Con il primo motivo il ricorrente lamenta ex art. 360 c.p.c., n. 3 “violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8 non avendo la Corte statuito effettuando una piena ricognizione della norma”. La Corte d’appello avrebbe erroneamente interpretato l’art. 8 menzionato in quanto tra i “motivi di persecuzione” rientrerebbero anche il timore di una mancata protezione da parte della polizia, come avvenuto nel caso di specie.
5.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta ex art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5 in relazione all’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 7 e 8, avendo la Corte omesso di considerare come persecutorie le condotte poste in essere ai danni del ricorrente e non aver tenuto conto del grave rischio di morte che lo stesso incorrerebbe nel caso di rientro nel paese di origine.
I motivi, congiuntamente esaminati per la loro stretta connessione, sono infondati.
Si richiede infatti una rivalutazione dei dati fattuali e in particolare probatori, il cui giudizio rimane nella piena discrezionalità del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità.
Come costantemente affermato da questa Corte, spetta, in via esclusiva, al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne’ il giudice del merito, che attinga il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, è tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (cfr., tra le più recenti, Cass. civ. Sez. I, 19/06/2019, n. 16497).
Ciò che rileva in questa sede è che la motivazione non sia viziata da un punto di vista logico e giuridico.
La valutazione di (non) credibilità del ricorrente appare, difatti, rispettosa tout court dei criteri che questo stesso collegio ha specificamente ed analiticamente indicato con la pronuncia n. 8819/2020, essendo stata puntualmente condotta alla luce della necessaria disamina complessiva dell’intera vicenda riferita dal richiedente asilo, che lo ha visto, secondo quanto da lui dettagliatamente esposto, contraddire ripetutamente e irrimediabilmente se stesso.
L’analisi, analitica e approfondita, di tutti gli elementi del racconto compiuta dal giudice di merito ne sottraggono la relativa motivazione alle censure mosse da parte ricorrente.
6. Pertanto la Corte rigetta il ricorso. L’indefensio degli intimati non richiede la condanna alle spese.
7. Infine, poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono i presupposti processuali tanto limitandosi la declaratoria di questa Corte: Cass. Sez. U. 20/02/2020, n. 4315) per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 (e mancando la possibilità di valutazioni discrezionali: tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra le innumerevoli altre successive: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dell’obbligo di versamento, in capo a parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per la stessa impugnazione.
PQM
la Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2021