LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –
Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 30809-2019 proposto da:
I.O., domiciliato ex lege in Roma, presso la cancelleria della Corte di Cassazione rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANNI AUTIERO;
– ricorrenti –
nonché contro MINISTERO DELL’INTERNO, *****;
– intimati –
avverso la sentenza n. 760/2019 della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata il 18/09/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/03/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA;
RILEVATO
che:
1. I.O., cittadino della *****, ricorre per cassazione con un unico motivo avverso la sentenza della Corte di Appello di Reggio Calabria n. 760 del 18 settembre 2019 che ha rigettato la richiesta del ricorrente di protezione internazionale ritenendo:
a) inverosimile, contraddittorio e lacunoso il racconto del richiedente asilo;
b) infondate tutte le domande di protezione internazionale vista, da un lato l’inattendibilità del racconto e dall’altro la commissione, da parte del richiedente, di un reato grave ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 10, lett. b).
2. Il Ministero dell’Interno si costituisce senza spiegare alcuna difesa.
CONSIDERATO
che:
2. Con l’unico motivo di ricorso il ricorrente lamenta omessa valutazione circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 con riferimento al rigetto della protezione umanitaria. La Corte d’Appello avrebbe errato nel ritenere che il D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 10, lett. b) non consentirebbe il riconoscimento della protezione umanitaria per identità di ratio con le altre forme di protezione internazionale. Secondo il ricorrente, infatti, il permesso di soggiorno per motivi umanitari presupporrebbe esclusivamente l’accertamento delle condizioni di vulnerabilità sicché, una volta accertato il rischio, in caso di rimpatrio, di essere sottoposto a trattamenti umani e degradanti, la misura andrebbe concessa a prescindere dalla commissione di un reato grave nel paese di provenienza.
Si duole, altresì dell’assoluta carenza di attività istruttoria della Corte d’Appello in merito alle condizioni socio-politiche del paese di provenienza: ciò non avrebbe consentito di rilevare, come emerge dalle fonti internazionali riportate dal ricorrente, che la ***** è attualmente uno stato attinto da violenza indiscriminata per le azioni terroristiche compiute da parte di un gruppo di ispirazione islamista di ***** e che pertanto vi sarebbe per il richiedente asilo, un concreto pericolo in caso di rimpatrio.
Il ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3.
Si osserva, infatti, che le censure proposte sono completamente prive, sia in premessa che nel loro sviluppo, della sommaria esposizione del fatto come prescritto dall’art. 366 c.p.c. comma 1, n. 3 che risulta, dunque, inosservato: nulla, infatti, viene riportato dal ricorrente in ordine alla storia vissuta in relazione alla quale ha domandato la protezione internazionale declinata nelle varie forme gradate.
Al riguardo, questa Corte ha affermato che “il ricorso per cassazione in cui manchi completamente l’esposizione dei fatti di causa e del contenuto del provvedimento impugnato è inammissibile; tale mancanza non può essere superata attraverso l’esame delle censure in cui si articola il ricorso, non essendone garantita l’esatta comprensione in assenza di riferimenti alla motivazione del provvedimento censurato, né attraverso l’esame di altri atti processuali, ostandovi il principio di autonomia del ricorso per cassazione.” (Cass. Sez. Un. 11308 del 2014).
Nel caso in esame il ricorso si presenta del tutto privo dell’esposizione sommaria dei fatti sicché la vicenda sostanziale e processuale rimane oscura e non consente alla Corte di svolgere le opportune valutazioni circa la fondatezza delle censure prospettate.
6. Pertanto la Corte dichiara inammissibile il ricorso. L’indefensio degli intimati non richiede la condanna alle spese.
7. Infine, poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono i presupposti processuali (a tanto limitandosi la declaratoria di questa Corte: Cass. Sez. U. 20/02/2020, n. 4315) per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 (e mancando la possibilità di valutazioni discrezionali: tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra le innumerevoli altre successive: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dell’obbligo di versamento, in capo a parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per la stessa impugnazione.
PQM
la Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2021