Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.21237 del 23/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 242/2017 proposto da:

B.A., elettivamente domiciliato in Roma, Viale G. Mazzini 134 presso lo studio dell’avvocato Contucci Marzia, rappresentato e difeso dagli avvocati Presti Gaetano Maria Giovanni, Spangaro Alberto, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

nonché contro S.P., C.E., C.F., elettivamente domiciliati in Roma, Via Fulcieri Paolucci De’ Calboli n. 5, presso lo studio dell’avvocato Buzzelli Dario, che li rappresenta e difende, giuste procure in calce al controricorso e ricorso incidentale condizionato;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

contro

B.A., elettivamente domiciliato in Roma, Viale G. Mazzini 134, presso lo studio dell’avvocato Cantucci Marzia, rappresentato e difeso dagli avvocati Presti Gaetano Maria Giovanni, Spangaro Alberto, giusta procura in calce al ricorso principale;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 2067/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO, pubblicata il 26/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/03/2021 dal cons. IOFRIDA GIULIA.

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Milano, con sentenza n. 2067/2016, depositata in data 26/5/2016, – in controversia promossa, nel 2010, da B.A. nei confronti di E. e C.F. e di S.P., per sentire condannare i convenuti, in solido, al pagamento di indennizzo ex art. 1381 c.c., in riferimento alla mancata percezione, da parte del primo, dell’importo di Euro 619.748,28, giusta art. 2 dell’Accordo del 5/8//1999, nonché dell’ulteriore importo, in qualità di cessionario (in forza di atto del novembre 2002) del credito vantato da Ca.An., di Euro 438.988, 36, giusta art. 3 dello stesso Accordo, con il quale il B. ed il Ca. si impegnavano a far sì che “le società che rappresentano perfezionino la cessione delle quote in Caluma”, mentre i fratelli C. e la S. si impegnavano, tramite le società che, a loro volta, essi rappresentavano, ad acquistarle, nonché a pagare l’importo pattuito di Lire 1.200.000.000 al B. e Lire 350.000.000 al Ca., – ha confermato, correggendo la motivazione, l’ordinanza ex art. 702 ter c.p.c., comma 6 del Tribunale di Milano del 2011, che aveva respinto tutte le domande attoree, per intervenuta prescrizione decennale, sulla base della qualificazione dell’Accordo, già effettuata dallo stesso Tribunale con sentenza, passata in giudicato, n. 8096/2006, come promessa del fatto del terzo, ai sensi dell’art. 1381 c.c..

In particolare, i giudici d’appello hanno sostenuto che: 1) l’Accordo in oggetto doveva, invece, essere qualificato come contratto complesso, di contenuto eterogeneo, comprensivo di una fascia di obblighi, alcuni, effettivamente, “del terzo”, essendosi “impegnati”, Il B. ed il Ca., per la società Caluma (ed in relazione al suo assetto societario, obbligandosi a sottoscrivere gli atti “di trasferimento delle partecipazioni della Caluma possedute dalla Compagnie Des Alpes Occidentales s.a.”) e, i fratelli C. e la S., per la società Comepar; altri “personali”, come l’obbligo, della S. e dei C., ai sensi degli artt. 2 e 3 dell’Accordo (il cui adempimento formava oggetto della domanda azionata nel presente giudizio), di corrispondere al B. ed al Ca. Lire 1.200.000.000, ciascuno; b) non rappresentava un vincolo per la Corte d’appello, stante l’obiettiva diversità tra le domande proposte nel 2003 e quella odierna, la diversa qualificazione dei rapporti giuridici operata nella sentenza n. 8086/2006 del Tribunale di Milano, passata in giudicato, e nell’ordinanza resa, in primo grado, dal Tribunale di Milano, nella causa n. 71874/2010 RG, in difetto di preclusione da giudicato, avendo il giudice, nella sentenza del 2006, solo proceduto ad un accertamento incidenter tantum, ai fini della domanda principale, che aveva ad oggetto non direttamente l’Accordo del 1999 ed il suo adempimento ma il contratto di cessione del credito, derivante da detto Accordo, tra il B. ed il Ca., intervenuto il 29/11/2002, mentre il Tribunale, nell’ordinanza del 2011, non impugnata in parte de qua, aveva soltanto ricondotto alcune delle obbligazioni assunte, nell’Accordo in oggetto dai soggetti che rappresentavano le società, ai fini del perfezionamento degli atti di trasferimento delle relative partecipazioni societarie, all’istituto di cui all’art. 1381 c.c., ai fini del dies a quo di decorrenza del termine di prescrizione; c) di conseguenza, mentre le domande sub i, ii, iii delle conclusioni in appello dell’appellante B., quale riportate in sentenza (“i. accertare che il sig. B.A., dopo essere divenuto proprietario dell’intero capitale sociale di Caluma S a r.l., si è attivato al fine di ottenere l’esecuzione dell’accordo: a) sia fissando al 29 luglio 2009 l’appuntamento volto al trasferimento della totalità del capitale sociale di Caluma S. a r.l.; b) sia convocando gli odierni resistenti per il suddetto appuntamento del 29 luglio 2009; ii) che il mancato trasferimento della totalità del capitale di Caluma S. a r.l. è avvenuto a causa della mancata presenza di alcuno dei compratori all’appuntamento all’uopo fissato dal sig. B.A.; iii) che detto mancato trasferimento del capitale sociale di Caluma S. a r.l. ha impedito il sorgere del diritto del sig. B.A. nei confronti degli odierni resistenti a percepire il pagamento di: a) Euro 619.748,2 (pari a Lire 1.200.000.000), a sensi dell’art. 2 dell’Accordo; nonché b) Euro 438.988,36 (pari a Lire 850.000.000), quale importo corrispondente all’ammontare del credito del sig. Ca.Lu.An. nei confronti degli odierni resistenti ai sensi dell’art. 3 dell’Accordo e oggetto di cessione, da parte del sig. Ca.Lu.An., a favore del sig. B.A., ai sensi del contratto di cessione del credito”) riguardavano obblighi, in realtà, personalmente assunti “dallo stesso appellante”, con la domanda formulata sub IV delle conclusioni in appello (“iv. che gli odierni resistenti si sono resi inadempienti all’obbligo ex arr. 1381 c.c. dagli stessi già assunto in proprio nell’accordo; condannare i resistenti, Si? solido tra loro: a) al pagamento, a favore del ricorrente, dell’indennizzo ex art. 1381 c.c., in riferimento alla mancata percezione, da parte del sig. B.A., dell’importo di Euro 619.748,2 (pari a Lire 1.200.000.000), in relazione alla previsione dell’art. 2 dell’Accordo del 5 agosto 1999; e 2) al pagamento, a favore del ricorrente, dell’indennizzo ex art. 1381 c.c., con riferimento alla mancata percezione, da parte del sig. B.A. in qualità di cessionario de credito del sig. Ca.Lu.An.), nei confronti dei resistenti, dell’importo di Euro 438.988,36 (pari a Lire 850.000.000), in relazione alla previsione dell’Art. 3 dell’Accordo del 5 agosto 1999”), l’appellante medesimo chiedeva dichiararsi l’inadempimento dell’obbligo ex art. 1381 c.c. e, unicamente, la condanna dei convenuti al relativo indennizzo, e quindi, dovendosi escludere l’applicabilità dell’art. 1381 c.c. alla fattispecie in esame e, in difetto di una domanda generica di condanna al risarcimento del danno per inadempimento, le domande attoree, espressamente qualificate solo come di indennizzo ex art. 1381 c.c., dovevano essere respinte, sia pure non per intervenuta prescrizione, come statuito in primo grado.

Avverso la suddetta pronuncia, non notificata, B.E. propone ricorso per cassazione, notificato il 23/12/2016, affidato a tre motivi, nei confronti di S.P., C.F. ed C.E. (che resistono con controricorso e ricorso incidentale condizionato in sei motivi, notificato il 30/1/2017). Il ricorrente ha replicato con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente principale lamenta,: a) con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c., in materia di giudicato, deducendo che, con la sentenza del Tribunale di Milano n. 8096/2006 e l’ordinanza del Tribunale di Milano del 10/10/2011 (di primo grado, non impugnata in parte de qua), rese in giudizi tra le stesse parti, aventi valenza di cosa giudicata, l’accordo del 5/8/1999, che costituiva la fonte dei trasferimenti di quote sociali vicendevolmente promessi tra B. e Ca., da una parte, e i resistenti, dall’altra, e quindi rappresentava oggetto del presente giudizio come di quello del 2003 (nel quale il B. agiva quale cessionario, in forza della scrittura privata del novembre 2002, del credito vantato dal cedente Ca., sempre però sulla base dell’accordo del 1999), era stato qualificato come promessa del fatto del terzo, ex art. 1381 c.c., il che rappresentava vincolo, che precludeva una diversa qualificazione ad opera della Corte di merito; b) con il secondo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, degli artt. 112 e 113 c.p.c., in tema di qualificazione della domanda e di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, nonché degli artt. 1381 c.c., in tema di promessa dell’obbligazione o del fatto del terzo, e 1362 c.c., in tema di interpretazione del contratto (l’Accordo del 1999); c) con il terzo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 1381 c.c., in tema di promessa dell’obbligazione o del fatto del terzo, 1362 c.c., in tema di interpretazione del contratto, e 2935 c.c., in tema di decorrenza della prescrizione, laddove possa ritenersi che la Corte d’appello abbia altresì, per il caso in cui fosse corretta la qualificazione ai sensi dell’art. 1381 c.c., inteso respingere la domanda di indennizzo, confermando, con richiamo per relationem alla motivazione del Tribunale, la statuizione di primo grado in punto di prescrizione del diritto azionato.

2. I ricorrenti incidentali lamentano, in via subordinata all’accoglimento dell’avverso ricorso principale: a) con il primo motivo, la nullità della sentenza, ex art. 360 c.p.c., n. 4, relativamente al difetto di legittimazione attiva del B., eccezione non esaminata dalla Corte di merito; b) con il secondo motivo, la nullità della sentenza, ex art. 360 c.p.c., n. 4, relativamente al difetto di legittimazione passiva della S., per non essere stata parte dell’Accordo del 5/3/1999, non esaminata dalla Corte territoriale; c) con il terzo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 132 e 1363 c.c., relativamente al difetto di legittimazione passiva degli odierni controricorrenti; d) con il quarto motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 1362 e 1363 c.c., relativamente alla mancata qualificazione del contratto inter partes come accordo preliminare di trasferimento di quote societarie; e) con il quinto motivo, l’omessa e contraddittoria motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, relativamente alla legittimazione passiva degli odierni controricorrenti; f) con il sesto motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 4, dell’art. 92 c.p.c., comma 2 in punto di compensazione tra le parti delle spese processuali.

3. La prima censura del ricorso principale è inammissibile.

3.1. Lamenta il ricorrente che, nel giudizio instaurato dal medesimo B. nel 2003, quale cessionario del credito vantato dal Ca., sempre in forza dell’accordo del 1999 e derivante dal trasferimento di quote sociali, definito con la sentenza n. 8096 del 2006, passata in giudicato, la domanda era stata respinta dal Tribunale di Milano sulla base della ritenuta inesistenza attuale del credito (derivante dagli artt. 2 e 3 dell’Accordo dell’agosto del 1999 e dagli obblighi di pagamento delle somme assunti dai resistenti C. e S.) ceduto o dell’inefficacia della cessione, avendo il Tribunale ritenuto che il credito ceduto era da porsi in rapporto sinallagmatico con la cessione delle quote di Caluma ed il relativo acquisto promesso dai C. dalla S., tramite le società dagli stessi rappresentate, obbligazione questa non ancora adempiuta o eseguita dal B. e dal Ca., non essendo sufficienti mere attività preparatorie. Il Tribunale aveva quindi fondato la propria decisione su unica ratio decidendi le obbligazioni assunte dalle persone fisiche sottoscrittrici dell’Accorgo del 1999, con riguardo al trasferimento delle partecipazioni sociali, integravano una promessa del fatto del terzo, ex art. 1381 c.c., cosicché, essendo questa obbligazione di risultato e non di mezzo, il credito vantato dal cedente Ca., costituito da parte del corrispettivo che il medesimo avrebbe ottenuto dalla progettata cessione delle quote sociali, non poteva sorgere “prima della cessione delle quote” ed il B. in qualità di cessionario doveva attivarsi propedeuticamente per ottenere l’esecuzione dell’accordo – in caso di esito negativo semmai reclamando il pagamento dell’indennizzo previsto dall’art. 1381 c.c.”.

Alla luce di tale statuizione, il B., con comunicazione del 22/7/2009, ottenuta la titolarità dell’intero capitale sociale di Caluma, aveva intimato ai C. ed alla S. di comparire presso il Notaio rogante in data 29/7/2009 per procedere al trasferimento delle quote di Caluma, richiesta rimasta senza esito, e quindi aveva depositato, nel novembre 2010, ricorso ex art. 702 bis c.p.c., chiedendo, a fronte dell’inadempimento dei resistenti a quanto promesso, la condanna degli stessi al pagamento dell’indennizzo ex art. 1381 c.c., corrispondente alla somma della parte B. e, originariamente, della parte Ca..

Il Tribunale di Milano, con ordinanza del 10/11/2011, ritenendo che, quanto al trasferimento delle quote di Caluma, l’Accordo del 1999 e “impegno assunto dalle parti integrassero una doppia e reciproca promessa del fatto del terzo, ai sensi dell’art. 1381 c.c., dai quali derivava, per il promissario B., anche per la parte del credito cedutogli dal Ca., il diritto di ottenere, dai fratelli C. e dalla S., il risultato promesso (l’acquisto delle quote di Caluma) ovvero un adeguato indennizzo, avrebbe affermato che tali diritti erano azionabili entrambi al momento della promessa, con conseguente decorrenza del termine decennale di prescrizione dal 5/8/1999, e che il termine non era stato interrotto dalla comunicazione del 22/7/2009, indirizzata ai resistenti e non alla società Comepar, terzo il cui fatto era stato promesso, con conseguente prescrizione del diritto di indennizzo azionato in giudizio. L’ordinanza in oggetto era stata impugnata, dinanzi alla Corte d’appello, unicamente in relazione all’erronea o falsa applicazione delle norme disciplinanti la promessa dell’obbligazione o del fatto del terzo e la decorrenza della prescrizione dei diritti ivi previsti ed all’identificazione del soggetto che doveva acquistare Caluma o del contenuto delle comunicazioni di diffida del 2009, non anche sulla qualificazione delle obbligazioni oggetto dell’accordo del 1999 come promessa del fatto del terzo; né era stato proposto appello incidentale sul punto.

3.2. I controricorrenti hanno, in replica, dedotto, oltre l’inammissibilità della doglianza per difetto di autosufficienza, che: a) non sussisteva un giudicato esterno vincolante riguardo alla sentenza n. 8096/2006, atteso che, da un lato, il petitum e la causa petendi azionati nel 2003 dal B. erano diversi da quelli del giudizio del 2010, avendo ad oggetto, il primo giudizio, l’adempimento contrattuale di obbligazione pecuniaria direttamente nascente dall’accordo del 1999, non di un’obbligazione indennitaria, ex art. 1381 c.c., tanto che il Tribunale aveva affermato che, seppure l’accordo avrebbe consentito, in astratto, al B. ed al Ca. di attivarsi per ottenerne l’esecuzione o reclamare l’indennizzo, ex art. 1381 c.c., “diversa tuttavia essendo la domanda di fatto proposta, non può che concludersi nel senso dell’inesistenza attuale del credito ceduto, pertanto quantomeno dell’inefficacia della cessione”, con mero obiter dictum circa la qualificazione come obbligazione del fatto del terzo di quelle assunte dalle parti nel 1999, e, dall’altro lato, vi era anche diversità di soggetti, avendo il B. agito, nel 2003, soltanto in veste di cessionario del credito del Ca.; b) in relazione all’ordinanza del Tribunale di Milano del 2011, la stessa non aveva, in punto di qualificazione giuridica delle obbligazioni assunte nell’Accordo del 1999, valenza di giudicato interno, considerato che la S. ed i C. avevano proposto gravame incidentale anche sotto il profilo dell’infondatezza della domanda di indennizzo ex art. 1381 c.c., assumendo che l’accordo dovesse essere qualificato come di natura meramente preliminare tra le società coinvolte rispetto ad una complessa operazione di cessione di quote.

3.3. Ora, il giudicato sostanziale (art. 2909 c.c.) fa stato a ogni effetto tra le parti per l’accertamento di merito positivo o negativo del diritto controverso, e si forma, su tutto ciò che ha costituito oggetto della decisione, compresi gli accertamenti di fatto che ne rappresentano le premesse necessarie e il fondamento logico e giuridico, il che determina un effetto preclusivo dell’esame delle stesse circostanze in un successivo giudizio, che abbia gli identici elementi costitutivi della relativa azione e cioè i soggetti, la causa petendi e il petitum (cfr. di recente Cass. n. 5138/2019).

Tuttavia, l’accertamento su un punto di fatto o di diritto costituente la premessa necessaria della decisione divenuta definitiva, quando sia comune a una causa introdotta posteriormente, preclude il riesame della questione (v. già Cass. n. 9695/2003), anche se il giudizio successivo abbia finalità diverse da quelle del primo e a condizione che i due giudizi abbiano identici elementi costitutivi dell’azione; la preclusione a riesaminare la questione implica il vincolo del giudice a decidere la propria regiudicanda in conformità di ciò che si desume dal giudicato, vale a dire implica l’impossibilità di decidere la questione in modo diverso. E’ stato invero riconosciuto dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte che, qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano ad oggetto un medesimo rapporto giuridico e uno dei due pervenga al giudicato, l’accertamento di una situazione giuridica comune a entrambe le cause preclude il riesame del punto accertato e risolto con il giudicato suddetto – che esplica quindi gli effetti del giudicato esterno -, anche se il giudizio successivo sia instaurato per (Ndr: testo originale non comprensibile) diverse da quelle costituenti lo scopo e il petitum del primo. Se infatti l’autorità del giudicato non osta all’allegazione e alla cognizione di nuovi e posteriori eventi che incidano sul diritto deciso, essa impedisce peraltro il riesame della controversia già risolta nel provvedimento definitivo mediante la deduzione di questioni anteriori al giudicato stesso (v. S.U. 16 giugno 2006 n. 13916; Cass. n. 10623/ 2009; Cass. n. 8650/2010; Cass. 13498/2015; Cass. n. 11754/2018; Cass. n. 37/2019).

3.4. Tanto precisato, deve essere tuttavia qui ribadito che “poiché la sentenza prodotta in un giudizio per dimostrare l’esistenza di un giudicato esterno rilevante ai fini della decisione assume rispetto ad esso – in ragione della sua oggettiva intrinseca natura di documento la natura di una produzione documentale, il requisito di ammissibilità del ricorso per cassazione indicato dall’art. 366 c.p.c., n. 6 concerne in tutte le sue implicazioni anche una sentenza prodotta nel giudizio di merito, riguardo alla quale il motivo di ricorso per cassazione argomenti la censura della sentenza di merito quanto all’esistenza, alla negazione o all’interpretazione del suo valore di giudicato esterno” (Cass. 21560/2011; conf. Cass. 12658/2014).

Così si è affermato (Cass., 26627/2006; conf. Cass. 6184/2009; Cass. 5508/2018) che “l’interpretazione di un giudicato esterno può essere effettuata anche direttamente dalla Corte di cassazione con cognizione piena, nei limiti, però, in cui il giudicato sia riprodotto nel ricorso per cassazione, in forza del principio di autosufficienza di questo mezzo di impugnazione, con la conseguenza che, qualora l’interpretazione che abbia dato il giudice di merito sia ritenuta scorretta, il predetto ricorso deve riportare il testo del giudicato che si assume erroneamente interpretato, con richiamo congiunto della motivazione e del dispositivo, atteso che il solo dispositivo non può essere sufficiente alla comprensione del comando giudiziale”. Sulla non sufficienza della mera riproduzione di stralci della sentenza che si assume passata in giudicato – salvo che il giudicato esterno fra le stesse parti si sia formato a seguito di una sentenza della Corte di cassazione (Cass. 8614/2011; Cass. 29923/2020), stante i poteri cognitivi del giudice in tale specifica ipotesi – si sono espressi anche Cass. 2617/2015, Cass. 15737/2012, Cass. 13988/2018, Cass. 17310/2020.

3.5. Ora, il ricorrente si è limitato a riprodurre stralci della sentenza del 2006, il cui contenuto è stato contestato dai controricorrenti, che hanno riportato ulteriori paragrafi, assumendo un differente iter logico e decisionale della sentenza del 2006; invocata ex adverso come giudicato esterno.

La stessa sentenza, qui impugnata, della Corte d’appello riporta altro stralcio della decisione del 2006 (a pag. 12) a sostegno della tesi, che sarebbe stata pure ivi espressa, circa la natura anche personale delle obbligazioni assunte dalle parti in proprio, quali “garanti”, nella fase prodromica, della successiva realizzazione della complessa operazione commerciale.

La doglianza risulta pertanto inammissibile.

Le stesse considerazioni valgono anche per l’ordinanza adottata dal Tribunale, in questo stesso giudizio, nel 2011; peraltro, i controricorrenti hanno dedotto di avere proposto appello incidentale, con conseguente insussistenza del dedotto giudicato, contestando l’infondatezza, in toto, della pretesa creditoria, anche sotto il profilo della qualificazione dell’Accordo del 1999 come promessa di fatto del terzo, anziché come accordo preliminare tra le società relativamente ad una complessa operazione di cessione di quote.

4. La seconda censura è inammissibile.

Assume il ricorrente che la Corte di merito, da un lato, non abbia correttamente interpretato la propria domanda, azionata nel 2010, atteso che egli non aveva chiesto “l’adempimento di quanto previsto agli artt. 2 e 3 dell’Accordo”, ma aveva chiesto l’indennizzo, ex art. 1381 c.c., parametrato sugli importi indicati negli artt. 2 e 3 dell’Accordo, poiché l’obbligazione o il fatto del terzo promesso dai resistenti non si era verificato, per rifiuto dei promittenti stessi, impedendo così il sorgere del credito del B. “diretto”, e, dall’altro lato, non abbia proceduto a qualificare, sulla base degli stessi fatti storici (l’inadempimento dell’obbligazione di facere gravante sui promittenti), la domanda come anche di condanna al risarcimento del danno.

La Corte di merito ha ritenuto che l’unica domanda proposta era quella di indennizzo ex art. 1381 c.c. e che essa fosse infondata, in quanto, non di promessa del fatto del terzo doveva parlarsi, rimasta ineseguita a causa del rifiuto del terzo, quanto, semmai, di inadempimento alle obbligazioni personali delle parti resistenti (quella di pagamento degli importi indicati negli artt. 2 e 3 dell’Accordo).

Ora, come chiarito da questa Corte, con il vizio di ultrapetizione o non corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., non si può introdurre un’interpretazione alternativa della domanda, essendo a tal fine necessario proporre una specifica censura di vizio motivazionale.

Si è infatti affermato che “in sede di legittimità occorre tenere distinta l’ipotesi in cui si lamenti l’omesso esame di una domanda, o la pronuncia su domanda non proposta, dal caso in cui si censuri l’interpretazione data dal giudice di merito alla domanda stessa: solo nel primo caso si verte propriamente in tema di violazione dell’art. 112 c.p.c. per mancanza della necessaria corrispondenza tra chiesto e pronunciato, prospettandosi che il giudice di merito sia incorso in un error in procedendo, in relazione al quale la Corte di Cassazione ha il potere – dovere di procedere all’esame diretto degli atti giudiziari onde acquisire gli elementi di giudizio necessari ai fini della pronuncia richiestale. Nel caso in cui venga invece in contestazione l’interpretazione del contenuto o dell’ampiezza della domanda, tali attività integrano un tipico accertamento in fatto” insindacabile in cassazione salvo che sotto il profilo della correttezza della motivazione della decisione impugnata sul punto” (Cass. 12259/2002; Cass. 16596/2005; Cass. 7932/2012; Cass. 2630/2014; Cass. 30684/2017). Si è quindi precisato che “l’interpretazione della domanda spetta al giudice del merito, per cui, ove questi abbia espressamente ritenuto che una certa domanda era stata avanzata ed era compresa nel “thema decidendum”, tale statuizione, ancorché erronea, non può essere direttamente censurata per ultrapetizione, atteso che, avendo comunque il giudice svolto una motivazione sul punto, dimostrando come una certa questione debba ritenersi ricompresa tra quelle da decidere, il difetto di ultrapetizione non è logicamente verificabile prima di avere accertato che quella medesima motivazione sia erronea. In tal caso, il dedotto errore del giudice non si configura come “error in procedendo”, ma attiene al momento logico relativo all’accertamento in concreto della volontà della parte” (Cass. 20718/2018).

Nella specie, invece, viene proposto solo un vizio da error in procedendo o di violazione di legge, in relazione però ai criteri ermeneutici di interpretazione dell’Accordo del 1999.

5. La terza censura del ricorso principale, peraltro formulata in via perplessa, per l’ipotesi in cui potesse ritenersi che la Corte d’appello abbia inteso anche comunque confermare la statuizione di rigetto del Tribunale, per prescrizione del diritto azionato, è inammissibile, in quanto non pertinente al decisum.

Invero, la Corte d’appello ha espressamente inteso modificare la motivazione del Tribunale, in punto di rigetto della domanda per prescrizione, giungendo ad una stessa conclusione reiettiva della pretesa, ma sotto il profilo della non configurabilità di una domanda di indennizzo ex art. 1381 c.c., in relazione alle obbligazioni di pagamento assunte nell’Accordo del 1999, personalmente, dalla S. e dai C. nei riguardi del Ca. e del B., ma semmai di una pretesa risarcitoria da inadempimento di obbligazioni personali dei resistenti, nella specie non azionata dall’attore in primo grado.

6. Venendo all’esame del ricorso incidentale, espressamente qualificato come condizionato, – “per la denegata ipotesi in cui il ricorso venisse anche in parte accolto”, si specifica in memoria -, sono inammissibili, per carenza di interesse, i motivi primo, secondo, terzo e quinto, in punto di carenza di legittimazione attiva del B. e passiva della S. (per essere questa rimasta estranea all’Accordo, non avendovi partecipato in alcun modo, neppure tramite rappresentanti) e di tutti i controricorrenti (per avere i C. operato nell’Accordo non impegnandosi personalmente ma quali rappresentanti di altre società, proprietarie del 100% delle quote della Comepar s.a.r.l.), questioni queste rimaste assorbite nella decisione impugnata, ancorché in virtù del principio c.d. della ragione più liquida, nonché il quarto motivo, in punto di erronea qualificazione ed interpretazione dell’Accordo del 1999 come accordo preliminare di trasferimento di quote societarie, questione pure rimasta assorbita o non esaminata dalla Corte d’appello, stante il rigetto della domanda attorea.

7. Il sesto motivo del ricorso incidentale, in punto di compensazione delle spese processuali operata in appello, da ritenersi come tale di rilievo autonomo e non condizionato, è invece infondato.

La Corte d’appello ha ritenuto che, stante l’operata riforma della motivazione, in relazione alla diversa qualificazione giuridica dell’Accordo del 1999 sia rispetto al precedente, passato in giudicato, del 2006 sia rispetto all’ordinanza impugnata, vi fossero giusti motivi per compensare tra le parti le spese processuali.

Assumono i ricorrenti incidentali che tale motivazione non integrerebbe le gravi ed eccezionali ragioni richieste dall’attuale formulazione dell’art. 92 c.p.c.

Ora, anche in relazione al testo dell’art. 92 c.p.c. novellato, secondo cui la compensazione delle spese legali può essere disposta, in difetto di soccombenza reciproca, per “gravi ed eccezionali ragioni”, si deve ritenere che tra dette ragioni, trattandosi di nozione elastica, rientri pure la situazione di obiettiva incertezza sul diritto controverso (cfr. Cass. 21157/2019).

9. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso principale e vanno dichiarati inammissibili i primi cinque motivi del ricorso incidentale condizionato ed infondato il sesto motivo del medesimo ricorso incidentale.

Attesa la soccombenza reciproca e l’oggettiva controvertibilità delle questioni oggetto della lite, ricorrono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso principale e dichiara inammissibili i primi cinque motivi del ricorso incidentale condizionato ed infondato il sesto motivo del medesimo ricorso incidentale; dichiara compensate integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale e dei ricorrenti incidentali dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 26 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2021

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