LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –
Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –
Dott. CENICCOLA Aldo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28449/2014 R.G. proposto da:
AGENZIA NAZIONALE PER L’ATTRAZIONE DEGLI INVESTIMENTI E LO SVILUPPO D’IMPRESA SPA (“INVITALIA”), SVILUPPO ITALIA CAMPANIA SPA IN LIQUIDAZIONE, rappresentate e difese dall’avv. Raffaello Lupi, elettivamente domiciliate in Roma, via Fregene, n. 67, presso lo studio ACTA.
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato.
– resistente –
Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, sezione n. 49, n. 3572/49/14, pronunciata il 04/04/2014, depositata l’08/04/2014.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 febbraio 2021 dal Consigliere Riccardo Guida.
RILEVATO
che:
1. Invitalia e la controllata Sviluppo Italia Campania, aderenti al regime di tassazione dei redditi su base consolidata (art. 117, t.u.i.r.), impugnarono dinanzi alla CTP di Napoli l’avviso di accertamento che, per quanto qui rileva (vale a dire a prescindere dalla contestazione relativa alla deduzione di costi in violazione del principio di competenza), recuperava a tassazione maggiore imponibile, ai fini IRES, IRAP, IVA, per il 2005, sul presupposto che, in violazione delle prescrizioni del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis le due compagini avessero posto in essere una serie di contratti al solo fine di trasferire imponibile alla controllante (Invitalia) onde consentirle di compensare i propri redditi con perdite pregresse;
1.1. l’antefatto (tratto dalla narrativa della sentenza qui impugnata) è che Invitalia è una società interamente partecipata dal MEF, creata per accrescere la competitività del Paese, la quale si avvale della collaborazione di una serie di “controllate”, tra cui Sviluppo Italia Campania, per lo svolgimento di attività di assistenza tecnica e di formazione nei confronti di soggetti potenzialmente interessati all’innovazione e alla crescita del sistema produttivo, selezionati attraverso specifici bandi pubblici. I rapporti tra le due compagini erano regolati da una fitta trama negoziale, ossia: (i) dal contratto tra Invitalia e Ministero del lavoro datato 20/12/2002 e da quello tra Invitalia e Sviluppo Italia Campania datato 07/12/2004; oltre alla disciplina delle modalità con cui la “controllata” erogava i servizi di assistenza (tecnica, contabile, amministrativa e legale) nei confronti dei vincitori di concorso, nel primo contratto era previsto che Sviluppo Italia Campania fatturasse direttamente al Ministero; il secondo contratto determinava il corrispettivo delle prestazioni tra le due società e conteneva la “clausola d’immutabilità” del corrispettivo; (ii) dalla convenzione tra Invitalia e Ministero del lavoro datata 28/01/2005 che, modificando le precedenti pattuizioni, sanciva che la fatturazione delle prestazioni della “controllata” fosse effettuata dalla “controllante” Invitalia; (iii) dal contratto datato 21/05/2005, con il quale, in difformità dal principio di immutabilità del corrispettivo per tutta la durata del rapporto, si conveniva la riduzione del corrispettivo delle prestazioni rese dalla “controllata” nei confronti della “controllante” e una maggiore onerosità della funzione in capo a Invitalia;
2. la CTP di Napoli accolse il ricorso (limitatamente alla ripresa fiscale oggetto di questo giudizio), con sentenza (n. 689/11/11), riformata (in parte qua) dalla CTR della Campania, la quale, con la sentenza indicata in epigrafe, ha accolto l’appello dell’ufficio, in base alla considerazione che (cfr. pag. 4 della sentenza) “Tale stravolgimento dei rapporti economici originari, in limitato lasso di tempo, non giustificato da alcuna logica economica in favore della controllata, trasferisce materie imponibili della controllata, da creditrice di importi delle prestazioni verso il ministero, nei confronti della controllante. Questa per effetto di tale mutazione, potrà così utilizzare in compensazione i redditi successivi alla fatturazione con le perdite pregresse”. In sostanza, prosegue la CTR, la rapida successione di questi contratti mirava a fare conseguire a Invitalia vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto di strumenti negoziali, in vista di un risparmio d’imposta e in difetto di apprezzabili ragioni economiche che giustificassero l’operazione; per converso, le appellanti, che avevano fatto ricorso a “tali atti giuridici non usuali” (ibidem), non avevano assolto all’onere, su di esse gravante, di dimostrare l’esistenza di valide ragioni economiche sottese alle descritte operazioni;
3. le società contribuenti ricorrono con due motivi e l’Agenzia ha depositato un atto ai sensi e per gli effetti dell’art. 370 c.p.c., comma 1.
CONSIDERATO
che:
1. con il primo motivo di ricorso (“1. Violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, comma 5 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per contrasto con le norme a tutela di un effettivo contraddittorio tra Fisco e contribuente”), si censura l’errore di diritto della sentenza impugnata che non ha rilevato la nullità dell’avviso di accertamento per difetto di una specifica motivazione, in quanto l’ufficio non ha preso posizione sui puntuali chiarimenti circa le ragioni economiche delle operazioni contestate offerti dalle contribuenti nella risposta al questionario fornita in fase amministrativa;
2. con il secondo motivo (“2. Violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, comma 1 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per l’insussistenza di qualsiasi vantaggio tributario, di un aggiramento dei principi del sistema e degli altri presupposti richiesti ai fini di una valida contestazione antielusiva”), le ricorrenti censurano la sentenza impugnata per non avere meticolosamente verificato la sussistenza o meno dei rigorosi presupposti normativi dell’elusione fiscale, senza per altro riuscire a sconfessare le ragioni economiche addotte dalle interessate e nemmeno ad individuare un vantaggio fiscale indebito, fruito da una o dall’altra società. Dal primo punto di vista, s’addebita alla CTR di non avere preso posizione sulle motivazioni fornite dalle contribuenti a sostegno del proprio operato, specificamente con riguardo all’illustrata esigenza di razionalizzare l’attività di assistenza tecnica e gestionale a favore delle nuove imprese e di semplificare l’organigramma societario, concentrando le funzioni nella struttura centrale (Invitalia), fino alla liquidazione e cessazione delle controllate (donde la messa in liquidazione di Sviluppo Italia Campania). Dal secondo punto di vista, si critica la Commissione regionale per non avere spiegato quale vantaggio fiscale indebito fosse stato conseguito dalle due società, dovendosi comunque precisare che, per costante giurisprudenza di legittimità, ai fini dell’elusione o dell’abuso, non è sufficiente delineare un certo risparmio di imposta, ma è necessario che tale risultato sia raggiunto in modo indebito, tramite operazioni altrimenti prive di qualsiasi logica organizzativa o imprenditoriale, laddove, invece, nella specie, il comportamento delle società (svolgenti funzioni di supporto alle nuove iniziative imprenditoriali con la supervisione di enti statali e della magistratura contabile) rispondeva ad apprezzabili logiche gestionali;
3. il primo motivo è fondato ed il secondo è assorbito;
3.1. risulta dall’autosufficiente (prima) doglianza che, in fase amministrativa, in replica al questionario dell’A.F., la quale ipotizzava condotte elusive, Sviluppo Italia Campania (con memoria scritta) aveva fornito chiarimenti, enunciando le valide ragioni economiche a sostegno delle modifiche contrattuali, riconducibili alla necessità di rivedere il modello organizzativo adottato in precedenza, per la prevalenza delle funzioni gestite “dal centro”, direttamente dalla capogruppo Invitalia. Il successivo avviso di accertamento, che pure dà atto della memoria difensiva dell’interessata, testualmente si limita ad affermare che “Dall’analisi effettuata non emergono ulteriori elementi che provino l’assenza di fini elusivi, pertanto l’Ufficio ritiene sussistere i presupposti previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis in merito ai ricavi non dichiarati constatati dai verbalizzanti”;
3.2. costituisce ius receptum di questa Corte che “In tema d’imposte sui redditi, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, commi 4 e 5, prevede un rigoroso procedimento d’instaurazione del contraddittorio, caratterizzato da scansioni predeterminate, in cui, a pena di nullità, l’avviso di accertamento deve essere emanato previa richiesta di chiarimenti al contribuente e deve essere specificamente motivato in relazione alle giustificazioni fornite” (Cass. 30/01/2018, n. 2239, in continuità con Cass. 16/01/2015, n. 693; conf., ex aliis, Cass. 28/11/2018, n. 30770);
3.2. la CTR non vi è attenuta a tale principio di diritto in quanto non ha rilevato la nullità dell’avviso d’accertamento per difetto di specifica motivazione, in relazione alle giustificazioni fornite dalla contribuente circa l’esistenza di valide ragioni economiche, o, specularmente, circa l’assenza di finalità elusive delle operazioni contestate;
4. ne consegue che, accolto il primo motivo e assorbito il secondo, la sentenza è cassata; non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con l’accoglimento del ricorso introduttivo, limitatamente alla ripresa fiscale in esame;
5. per la particolarità della dinamica processuale, le spese processuali dei gradi di merito debbono essere compensate, tra le parti, mentre quelle del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso; compensa, tra le parti, le spese dei gradi di merito, e condanna l’Agenzia delle entrate a corrispondere alle ricorrenti le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00, a titolo di compenso, Euro 200,00, per esborsi, oltre al 15% sul compenso, a titolo di rimborso forfetario delle spese generali, e agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 24 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2021