Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.24374 del 09/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7420-2016 proposto da:

P.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CELIMONTANA 38, presso lo studio dell’avvocato PAOLO PANARITI, rappresentato e difeso dagli avv.ti ANTONLINDO DOMINICI, GIUSEPPE FRANCHI;

– ricorrente –

contro

CURATELA FALLIMENTARE ***** SPA, rappresentata e difesa dall’avv. LUIGI DI LIBERATORE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1169/2015 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 21/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 03/03/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO;

lette le conclusioni del Procuratore generale in persona del Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

L’ingegnere P.D. chiamava in giudizio la ***** S.r.l. (*****) e con la citazione a comparire dinanzi al Tribunale di Teramo chiedeva accertarsi l’insussistenza del rapporto professionale con la società convenuta; in conseguenza di tale preliminare accertamento, chiedeva dichiararsi l’erroneità della emissione della fattura n. ***** da parte della stessa società, tenuta pertanto ad emettere la relativa nota di accredito. Costituitasi, la convenuta chiedeva in riconvenzionale la condanna dell’attore al pagamento della somma di Euro 21.437,29, portata dalla fattura, somma che assumeva dovuta a titolo di compenso per l’avvenuta esecuzione dell’attività professionale svolta su incarico del P..

La Corte d’appello dell’Aquila, adita dalla parte soccombente, confermava la decisione di primo grado. Essa – dopo avere ritenuto infondato l’assunto del professionista, secondo il quale l’incarico non era stato conferito alla società, ma a una persona fisica (l’ingegnere Adamoli, sentito come testimone), retribuito mediante compensazione con un credito derivante da un diverso incarico conferito congiuntamente ai due professionisti – accertava l’esistenza del rapporto fra l’attore e la società convenuta, riconosciuta come società di progettazione, legittimata a svolgere la prestazione oggetto dell’incarico. Per la cassazione della sentenza P.D. propone ricorso per cassazione, affidato a un unico motivo, con il quale denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 109 del 2014, art. 17, comma 8, (c.d. Legge Merloni). Si sostiene che la società convenuta non aveva i requisiti richiesti per potere operare in sede progettuale come società di ingegneria. Dal momento che i progetti non erano stati neanche firmati, il giudice non avrebbe potuto liquidare il compenso sulla base delle tariffe professionali.

La Curatela fallimentare della ***** S.r.l., già costituita nella fase di merito a seguito del dichiarato fallimento della società, ha resistito con controricorso.

Il ricorrente ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso è infondato, anche se per una ragione diversa da quella indicata dalla sentenza impugnata, la cui motivazione deve essere pertanto corretta ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 4. Invero, secondo l’accertamento in fatto operato dalla stessa Corte d’appello, il ricorrente ingegner P., avendo ricevuto un incarico di progettazione da parte del Consorzio per l’industrializzazione delle valli del Tronto, dell’Aso e del Tesino, si era rivolto alla ***** per il compimento di alcune attività che richiedevano competenze specialistiche. E’, un fatto pacifico che gli elaborati furono consegnati al professionista senza firma, né timbro professionale. Lo stesso ricorrente sottolinea che gli elaborati, sviluppati sotto la sua costante e personale supervisione, furono consegnati in forma “anonima”, privi, appunto, di timbro professionale e sottoscrizione. Nella memoria il ricorrente insiste ancora nel rimarcare come l’assenza del timbro e della firma fosse state giustamente evidenziata dal medesimo consulente tecnico d’ufficio, “inopinatamente disattesa dai giudici di merito”.

Così identificati in sintesi i fatti essenziali ai fini della decisione (essendo in questa sede fatto oramai acquisito che il rapporto non si svolse con la persona fisica, ma con la società), è giocoforza riconoscere che il ruolo della ***** nella vicenda fu quello del soggetto del quale il professionista si era avvalso nell’esecuzione dell’incarico conferitogli dal committente. La fattispecie è prevista dall’art. 2232 c.c.: “Il prestatore d’opera deve eseguire personalmente l’incarico assunto. Può tuttavia valersi, sotto la propria direzione e responsabilità, di sostituti e ausiliari, se la collaborazione di altri è consentita dal contratto o dagli usi e non è incompatibile con l’oggetto della prestazione”.

La giurisprudenza si è occupata prevalentemente della fattispecie per affermare che la facoltà per il professionista di servirsi, ai sensi dell’art. 2232 c.c., della collaborazione di sostituti ed ausiliari, non comporta mai che costoro diventino parte del rapporto di clientela, restando invece la loro attività giuridicamente assorbita da quella del prestatore d’opera che ha concluso il contratto con il cliente. Il sostituto non è pertanto legittimato ad agire contro il cliente medesimo per la corresponsione del suo compenso, il cui obbligo resta a carico del professionista che sia avvalso della sua collaborazione, (Cass. n. 1847/2006; n. 5248/1986; n. 4767/1984).

In questa prospettiva, che emerge dalla stessa esposizione dei fatti operata con il ricorso, poco importa che la ***** fosse o no abilitata alla progettazione. Ciò che conta è che fosse abilitato il professionista incaricato (Cass. n. 3108/1995): nel caso di specie l’ingegner P.. E’ indubbio che la ***** non ha svolto attività nei confronti del cliente, ma per conto del P., il quale si è assunto la piena paternità e responsabilità dell’attività compiuta (cfr. Cass. n. 1929/1976).

Consegue dalle precedenti considerazioni che il rapporto, instauratosi fra professionista e società, va ricondotto al contratto d’opera. Il contratto d’opera, non venendo in considerazione un’attività dell’ausiliario a rilevanza esterna, ma un’attività destinata ad essere recepita dal professionista abilitato, ben poteva essere concluso con una società (Cass. n. 26264/2018).

E’ vero solamente che il compenso in favore del prestatore d’opera che non sia iscritto negli albi professionali, va liquidato secondo i criteri fissati dall’art. 2225 c.c. e non secondo quelli di cui all’art. 2233 c.c., presupponenti l’iscrizione (Cass. n. 1929/1976 cit).

E’ stato chiarito che, in tema di contratto d’opera, ai sensi dell’art. 2225 c.c., ove non sia stato convenuto dalle parti, il corrispettivo deve essere stabilito dal giudice in relazione alla natura, quantità e qualità delle prestazioni eseguite, nonché al tempo e ai costi occorrenti per il relativo espletamento, secondo il duplice parametro del risultato per il committente e del lavoro per il prestatore d’opera (Cass. n. 13440/2007). In particolare, nel caso di attività assimilabile alla normale prestazione di opera o di lavoro subordinato, sarà assunto come parametro principale il livello generale delle mercedi per prestazioni di tipo analogo, mentre, nel caso di opera o di servizio autonomo, si ricorrerà ai criteri di cui agli artt. 2225 e 2233 c.c. (Cass. n. 3389/1972). Pertanto il giudice può assumere come parametro le tariffe vigenti per analoghe prestazioni di esercizio di una professione “protetta” (Cass. n. 15805/2016). Esattamente ciò che è avvenuto nel caso di specie, avendo la Corte d’appello ritenuto che, a prescindere dalla “mancanza, in relazione agli elaborati processuali, della firma di un professionista”, la somma fosse “congrua rispetto all’attività documentata”.

Tale statuizione integra un apprezzamento in fatto incensurabile in questa sede.

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, con addebito di spese.

Ci sono le condizioni per dare atto D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto”.

PQM

rigetta il ricorso; condanna il ricorrente, al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida nell’importo di Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte suprema di cassazione, il 3 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2021

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