LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GORJAN Sergio – Presidente –
Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –
Dott. VARRONE Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 17396 – 2016 R.G. proposto da:
P.M., – c.f. ***** – P.L., – c.f.
***** – G.S., – c.f. ***** – elettivamente domiciliati in Roma, alla via Cola di Rienzo, n. 297, presso lo studio dell’avvocato Bruno Tassone che disgiuntamente e congiuntamente all’avvocato Andrea Danti, li rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
M.S., – c.f. ***** – elettivamente domiciliato in Roma, alla via Eleonora d’Arborea, n. 30, presso lo studio dell’avvocato Bernardo Cartoni, che disgiuntamente e congiuntamente all’avvocato Angelo Angeloni, lo rappresenta e difende in virtù di procura speciale su foglio allegato in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3432/2015 della Corte d’Appello di Roma;
udita la relazione nella camera di consiglio del 17 marzo 2021 del consigliere Dott. Luigi Abete.
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO 1. Con ricorso ex artt. 1168 c.c. e art. 703 c.p.c. P.M., P.L. e G.S., proprietari e possessori di un terreno in località “*****”, in territorio del Comune di ***** (in catasto al fol. *****, partt. *****), adivano il Tribunale di Viterbo.
Esponevano che il loro fondo fruiva, ai fini del collegamento alla strada provinciale “*****”, di servitù di passaggio lungo una strada interpoderale attraversante terreni di proprietà diversa; che al loro fondo si aveva accesso dalla strada interpoderale tramite due distinti varchi, di cui il secondo, utilizzato con minore frequenza, collocato a 33 metri del primo.
Esponevano che M.S. aveva arbitrariamente modificato, a seguito dell’esecuzione di lavori di aratura, il percorso della strada interpoderale nel tratto che correva attraverso il suo terreno.
Esponevano che, con riferimento al primo dei due accessi, avevano intrapreso dinanzi al Tribunale di Viterbo giudizio petitorio, onde ottenere il ripristino dell’originario percorso della strada interpoderale limitatamente al tratto ricompreso nella proprietà di M.S. e di M.A..
Chiedevano, con riferimento al secondo accesso, disporsi la reintegrazione nel possesso della servitù di passaggio merce’ ripristino dell’originario percorso della strada interpoderale limitatamente al tratto ricompreso nella proprietà di M.S..
2. Resisteva M.S..
3. Con ordinanza in data 7.8.2003, all’esito dell’escussione dei sommari informatori, veniva denegata la tutela interdittale.
4. Introdotto il giudizio di merito, respinta l’istanza di ammissione della prova per testimoni, con sentenza n. 412/2006 l’adito tribunale dichiarava inammissibile la domanda possessoria a motivo dell’avvenuta definizione del correlato giudizio petitorio.
5. M.S. proponeva appello.
Resistevano P.M., P.L. e G.S.; esperivano appello incidentale.
6. Con sentenza n. 3432/2015 la Corte d’Appello di Roma rigettava la domanda di reintegrazione possessoria esperita dagli appellanti incidentali e li condannava a rimborsare all’appellante principale le spese del doppio grado.
Premetteva la corte che la servitù di passaggio fatta valere in sede possessoria riguardava il transito sulle particelle ***** del fol. ***** di proprietà di M.S.; che viceversa la servitù di passaggio fatta valere in sede petitoria riguardava il transito sulle particelle ***** del fol. ***** di proprietà di M.S. e di M.A.; che dunque l’azione petitoria e l’azione possessoria erano del tutto diverse, sicché nessuna preclusione poteva scaturire, in sede possessoria, dalla decisione di ripristino dell’originario tracciato, assunta in sede petitoria.
Indi evidenziava che, alla luce delle dichiarazioni rese dalle parti in sede di libero interrogatorio nonché delle dichiarazioni rese dagli informatori escussi nella fase interdittale, doveva disconoscersi, nell’anno precedente il preteso spoglio, la sussistenza del possesso della servitù di passaggio sul terreno di M.S. con riferimento al secondo accesso.
Evidenziava in particolare che nessuno degli informatori escussi si era espresso nel senso di una stabile relazione di fatto sul fondo servente corrispondente all’esercizio di una servitù di passaggio.
Evidenziava poi, in ordine alla prova per testimoni invocata dagli appellati, appellanti incidentali, a mezzo testi in parte coincidenti nominativamente con gli informatori escussi in fase sommaria, che ai capitoli all’uopo articolati non risultava correlato il nominativo del teste, dei testi chiamati a deporvi; che i capitoli risultavano generici in dipendenza della omessa indicazione dei soggetti avvalsisi del secondo accesso e dell’omessa indicazione delle modalità, anche temporali, del prospettato transito; che i capitoli sollecitavano i testi – alla stregua delle espressioni “frequentemente”, “maggiormente” che vi figuravano – alla formulazione di valutazioni.
7. Avverso tale sentenza P.M., P.L. e G.S. hanno proposto ricorso; ne hanno chiesto sulla scorta di tre motivi la cassazione con ogni conseguente statuizione.
M.S. ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.
8. I ricorrenti hanno depositato memoria.
Del pari ha depositato memoria il controricorrente.
9. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza e del procedimento in relazione agli artt. 24 e 111 Cost. nonché agli artt. 244,251 e 253 c.p.c.
Deducono che ha errato la Corte di Roma a non ammettere la prova orale all’uopo articolata con otto testimoni.
Deducono in primo luogo che la corte di merito ha errato ad accomunare il ruolo degli informatori e quello dei testimoni, sicché nessun ostacolo si prefigurava all’audizione in veste di testimoni di coloro che erano già stati sentiti come informatori.
Deducono segnatamente che quattro testimoni non era stati sentiti come informatori, sicché la loro audizione ben avrebbe potuto indurre ad un diverso esito del giudizio.
Deducono in secondo luogo che la corte di merito ha errato a reputare generici e valutativi i capitoli di prova, viepiù che l’indicazione specifica dei fatti da provare non va intesa in senso rigorosamente formalistico ed è sufficiente che i fatti siano rappresentati nei loro elementi essenziali.
Deducono segnatamente che i capitoli di prova individuano il luogo ed il momento temporale di esercizio della servitù, i soggetti che ne fruivano e le modalità con cui e le ragioni per cui ne fruivano.
Deducono che del resto la corte di merito ben avrebbe potuto richiedere ai testi da escutere chiarimenti e precisazioni, viepiù che agli atti erano state depositate due planimetrie catastali.
Deducono in terzo luogo che la corte di merito ha errato ad attribuire rilievo alla circostanza per cui a ciascun capitolo non era correlato il nome del teste, dei testi chiamati a deporre.
Deducono segnatamente che comunque tutti i testimoni indicati erano chiamati a deporre su tutti i capitoli articolati.
10. Con il secondo motivo – formulato in via subordinata – i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost. e degli artt. 244, 251 e 253 c.p.c.
Deducono sub specie di violazione di legge sostanziale le medesime censure addotte con il primo motivo.
11. Con il terzo motivo – in via ulteriormente subordinata – i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione delle norme in tema di servitù di passaggio, segnatamente degli artt. 1032 c.c. e ss., art. 1051 c.c. e ss. e art. 1063 c.c. e ss..
Deducono che, nonostante la mancata ammissione della prova per testimoni, la corte distrettuale, alla luce delle risultanze istruttorie, avrebbe dovuto accogliere la domanda di reintegra nel possesso della servitù.
Deducono che la corte distrettuale avrebbe dovuto dar corso alla domanda di reintegrazione alla stregua delle risultanze delle allegate planimetrie catastali, alla stregua delle dichiarazioni rese dal geometra N.M., alla stregua delle dichiarazioni rese dal consulente tecnico nominato nel giudizio petitorio, alla stregua delle dichiarazioni rese da Pa.Cl. e da Sc.An..
12. Il primo motivo di ricorso va respinto e le argomentazioni che inducono al rigetto del primo mezzo, esplicano valenza pur con riferimento al secondo mezzo ovvero pur con riferimento alla riproposizione delle medesime ragioni di censura sub specie di error in iudicando; anche il secondo motivo di ricorso va dunque respinto.
13. Va innanzitutto ribadito che le dichiarazioni rese dagli informatori nella fase a cognizione sommaria del giudizio possessorio sono comunque idonee a fornire, in sede di decisione di merito, elementi indiziari liberamente valutabili dal giudice, elementi cui il giudice può validamente fare ricorso per la formazione del proprio convincimento (cfr. Cass. (ord.) 8.5.2019, n. 12089; Cass. 20.1.2009, n. 1386, ove si afferma, peraltro, che nel procedimento possessorio la sentenza che definisce il giudizio a cognizione piena può basarsi esclusivamente sugli elementi raccolti in fase di cognizione sommaria).
Su tale scorta si rimarca che la corte territoriale ha congruamente ed ineccepibilmente vagliato le dichiarazioni rese dagli informatori unitamente alle dichiarazioni rese dalle parti in sede di libero interrogatorio.
In questi termini a nulla vale che i ricorrenti adducano che la corte territoriale ha erroneamente parificato gli informatori e i testimoni, “posto che il valore del giuramento e la deduzione dei fatti in capitoli separati rendono la prova orale del testimone di per sé non assimilabile alla esposizione libera” (così ricorso, pag. 8).
14. Va altresì ribadito che la mancata ammissione della prova testimoniale può essere denunciata per cassazione solo nel caso in cui essa abbia determinato l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di fondamento (cfr. Cass. (ord.) 7.3.2017, n. 5654; Cass. (ord.) 17.6.2019, n. 16214).
In questi termini a nulla vale che i ricorrenti adducano che tra le persone indicate come testimoni ve ne erano quattro che non erano state sentite a sommarie informazioni.
Difatti sono stati gli stessi ricorrenti a prospettare come meramente “possibile” un diverso esito probatorio (“la loro escussione avrebbe a maggior ragione potuto portare ad un diverso esito probatorio”: così ricorso, pag. 8).
15. Va inoltre ribadito che l’accertamento della specificità della formulazione dei capitoli di prova – specificità postulante, ben vero, pur l’assenza, nei capitoli, di sollecitazioni ai testi ad esprimere valutazioni – involge un giudizio di fatto sottratto al sindacato di legittimità, quando è sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici (cfr. Cass. 4.2.1969, n. 356; Cass. 19.2.1997, n. 1513; Cass. 31.1.2007, n. 2201).
Su tale scorta è in toto congrua ed ineccepibile pur la motivazione alla cui stregua la Corte di Roma ha denegato l’ammissione della prova per testimoni in dipendenza del carattere generico e valutativo delle circostanze riprodotte nei capitoli di prova.
D’altronde questo Giudice del diritto spiega che la richiesta di provare per testimoni un fatto esige non solo che questo sia dedotto in un capitolo specifico e determinato, ma anche che sia collocato univocamente nel tempo e nello spazio, al duplice scopo di consentire al giudice la valutazione della concludenza della prova ed alla controparte la preparazione di un’adeguata difesa (cfr. Cass. (ord.) 12.10.2011, n. 20997, ove si è ritenuto inammissibile il capitolo di prova per testimoni volto a dimostrare il compimento di una dichiarazione ammissiva fatta dal debitore ad un terzo, ai fini dell’interruzione del termine di prescrizione, qualora non sia indicato nel capo di prova il giorno in cui tale dichiarazione sarebbe stata resa).
16. Va infine puntualizzato che la ragione di inammissibilità della prova per testimoni correlata alla “mancata indicazione del nominativo/i del/i singolo/i testimone/i chiamato/i a deporre sui diversi capitoli” (così sentenza impugnata, pag. 6) è stata in certa qual misura espressa dalla corte capitolina ad abundantiam, giacché la stessa corte di seconde cure ha dato atto della sua non peculiare valenza alla stregua del prioritario orientamento giurisprudenziale.
In questi termini i ricorrenti non hanno un precipuo interesse a censurare in parte qua il dictum di seconde cure.
Ovvero, più esattamente, la doglianza al riguardo espressa è inammissibile (cfr. Cass. sez. lav. 22.11.2010, n. 23635, secondo cui è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione che censuri un’argomentazione della sentenza impugnata svolta “ad abundantiam” e pertanto non costituente “ratio decidendi” della medesima).
17. Il terzo motivo di ricorso va del pari respinto.
18. Evidentemente con il terzo mezzo i ricorrenti censurano l’asserita omessa erronea valutazione delle risultanze istruttorie.
E tuttavia il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, né in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892; Cass. (ord.) 26.9.2018, n. 23153).
D’altronde, già nel vigore dell’abrogato n. 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 1 si spiegava che, al fine di adempiere all’obbligo della motivazione, il giudice del merito non è tenuto a valutare singolarmente tutte le risultanze processuali ed a confutare tutte le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo aver vagliato le une e le altre nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il proprio convincimento, dovendosi ritenere disattesi, per implicito, tutti gli altri rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. Cass. 15.4.2011, n. 8767; Cass. 10.5.2000, n. 6023).
19. In dipendenza del rigetto del ricorso i ricorrenti vanno in solido condannati a rimborsare al controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo.
20. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, con vincolo solidale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis D.P.R. cit., se dovuto (cfr. Cass. sez. un. 20.2.2020, n. 4315, secondo cui la debenza dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione è normativamente condizionata a due presupposti: il primo, di natura processuale, costituito dall’adozione di una pronuncia di integrale rigetto o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione, la cui sussistenza è oggetto dell’attestazione resa dal giudice dell’impugnazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater; il secondo, di diritto sostanziale tributario, consistente nell’obbligo della parte impugnante di versare il contributo unificato iniziale, il cui accertamento spetta invece all’amministrazione giudiziaria).
PQM
La Corte rigetta il ricorso; condanna in solido i ricorrenti, P.M., P.L. e G.S., a rimborsare al controricorrente, M.S., le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti con vincolo solidale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis D.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sez. seconda civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 17 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2021
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