Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.11593 del 13/05/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI NANNI Luigi Francesco – Presidente –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – rel. Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.C. *****, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA F. MOROSINI 12, presso lo studio dell’avvocato STRIANI ERMINIO, rappresentata e difesa dall’avvocato AMBROSINO CLEMENTINA giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

ANAS SPA già ANAS ENTE NAZIONALE PER LE STRADE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui

è difesa per legge;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 137/2005 della CORTE D’APPELLO di POTENZA, emessa il 5/4/2005, depositata il 23/05/2005, R.G.N. 579/2002;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/03/2010 dal Consigliere Dott. BRUNO SPAGNA MUSSO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato in data 8 febbraio 1994, C. C. conveniva in giudizio l’Azienda Nazionale Autonoma delle Strade – A.n.a.s., assumendo: che in data 26.6.1993, mentre percorreva con la propria autovettura la strada statale n. *****, veniva investita da alcuni massi staccatisi dalla montagna, sita al lato destro rispetto al senso di marcia, riportando danni a detta autovettura per un importo di L. 6.696.700, in esso compreso l’esborso per il soccorso stradale, oltre sosta tecnica e deprezzamento; che i massi si erano staccati in un punto in cui mancava la rete metallica; che tale insidia non era assolutamente segnalata e che pertanto la responsabilità dell’incidente doveva essere attribuita all’Anas, compartimento di Sapri.

Chiedeva, pertanto, che previa declaratoria di responsabilità dell’ente convenuto, lo stesso fosse condannato al pagamento di Euro 3.406,92, oltre rivalutazioni ed interessi, dall’incidente al soddisfo.

Si costituiva l’Anas che eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva e faceva presente che nel tratto di strada in questione era installata un’idonea rete di protezione e un cartello di segnalazione del pericolo di “caduta massi”; faceva inoltre rilevare che la causa del danno era ascrivibile ad una caduta di massi oltre le “competenze” stradali proprie.

Con sentenza in data 15.6.2002, il Goa del Tribunale di Potenza, in parziale accoglimento della domanda, dichiarata la responsabilità dell’Anas, la condannava al pagamento di Euro 2.336,97 oltre Euro 55,26 per soccorso stradale ed interessi legali dalla domanda al soddisfo.

A seguito dell’appello dell’Anas e costituitasi la C., che a sua volta proponeva appello incidentale, la Corte d’Appello di Potenza, con la decisione in esame n. 137/2005, in riforma di quanto statuito in primo grado, e in accoglimento dell’appello principale, rigettava la domanda della C.; affermava in particolare la Corte di merito che, contrariamente a quanto sostenuto in primo grado, il D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 31, fa obbligo ai proprietari delle ripe dei fondi laterali alle strade di mantenerle in modo da impedire e prevenire situazioni di pericolo connesse a franamenti o cedimenti del corpo stradale … dove per ripe si debbono intendere le zone di terreno immediatamente sovrastanti o sottostanti la scarpata del corpo stradale.

Ricorre per cassazione la C. con cinque motivi; resiste con controricorso l’Anas.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., comma 2, in relazione agli artt. 100 e 101 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5”. Si afferma in proposito che “la Corte di Appello di Potenza, partendo dall’erroneo presupposto che l’Anas, nell’eccepire in primo grado il proprio difetto di legittimazione passiva avesse provato tale assunto, ha ritenuto che la causa dell’evento era da ascriversi alla caduta di massi dalle pendici che vanno oltre le pertinenze stradali e che non sono di proprietà di essa Anas, ma di altri enti o organi competenti”.

Con il secondo motivo si deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., nullità della sentenza per errore in procedendo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 “. Si afferma in proposito che “l’attività istruttoria espletata dall’Anas, assolutamente inadeguata, non ha condotto a raggiungere la prova, anch’essa assolutamente inesistente dei fatti e delle eccezioni dedotte, per cui il comportamento processuale dell’ente può e doveva costituire unica e sufficiente fonte di prova e di convincimento del giudice”.

Con il terzo motivo si deduce “violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, vizio ed omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, errore di procedimento, travisamento dei fatti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5”. Si rileva che “nel caso di specie, la Corte di Appello di Potenza non ha proceduto, nel giudizio di valutazione delle prove testimoniali, alla valutazione dell’attendibilità dei testi, avendo assolutamente ignorato il fatto che i testi forniti dall’Anas, tali C.A. e G.C., avevano reso delle dichiarazioni assolutamente generiche, e che, comunque, essi stessi non erano testi oculari del sinistro occorso”.

Con il quarto motivo si deduce “violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., anche in riferimento all’art. 111 Cost., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, sotto altra prospettazione, travisamento dei fatti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4”. Si afferma di proposito che la Corte di Appello “ha illegittimamente posto a base del suo convincimento la dichiarazione a firma dell’App. M.R., non ammesso e non escusso come teste in primo grado”.

Con il quinto motivo si deduce “violazione e falsa applicazione del combinato disposto di cui agli artt. 2051 e 2697 c.c.; illogicità, contraddittorietà e insufficienza di motivazione”. Si afferma che “la Corte di Appello di Potenza, nell’ escludere la responsabilità dell’Anas perchè non proprietaria della parte della montagna da cui si sarebbero staccati i massi (prova che, comunque, non emerge dagli atti di processo), ha escluso l’applicazione dell’art. 2051 c.c., anche perchè, a suo dire, la stessa sig.ra C. avrebbe invocato la tutela derivante dal principio del neminem laedere. Al contrario, così come sostenuta sia in primo che in secondo grado, anche quando si tratti di P.A., opera la norma di cui all’art. 2051 c.c., atteso che la stessa, non solo ha l’obbligo di manutenzione R.D. n. 2056 del 1923, ex art. 5, ma anche quello di custodia”.

Il ricorso non merita accoglimento in relazione a tutte le suesposte censure, aventi ad oggetto la rivisitazione, non consentita ovviamente in questa sede di legittimità, delle risultanze processuali e delle circostanze di fatto in base alle quali la Corte di merito ha disatteso la domanda della C..

A fronte, infatti, della ratio decidendi dell’impugnata decisione, secondo cui applicabili al caso di specie sono “le disposizioni previste dal Codice della Strada che non pongono a carico dell’ente proprietario della strada o del concessionario uno specifico obbligo di attivazione per l’eliminazione di situazioni di pericolo a danno degli utenti connesse a franamenti o caduta di massi quando interessino zone poste a distanza dalla sede stradale”, la ricorrente, con tutti i motivi, non “contrasta” detta ragione della decisione e il relativo principio di diritto in essa enunciato, ma si limita a censurare la valutazione effettuata in sede di merito degli elementi che hanno indotto i giudici della Corte territoriale a ritenere insussistente la responsabilità dell’Anas (caduta di massi provenienti da zone escluse dalla manutenzione dell’Anas, prove testimoniali, dichiarazione a firma di un carabiniere, nesso causale tra massi e danni).

Del resto la Corte di merito ha logicamente e sufficientemente motivato il proprio convincimento.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come dispositivo.

PQM

La Corte rigetta le spese e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in complessivi Euro 2.200,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 11 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2010

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