LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – Presidente –
Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – Consigliere –
Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –
Dott. AMOROSO Giovanni – rel. Consigliere –
Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
D.A.K., nella qualità di erede di K.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO 20, presso lo studio dell’avvocato TRALICCI GINA, che lo rappresenta e difende, giusta mandato a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati PULLI CLEMENTINA, RICCIO ALESSANDRO, VALENTE NICOLA, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 6369/2007 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 6/12/2007 R.G.N. 4910/06;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/04/2010 dal Consigliere Dott. GIOVANNI AMOROSO;
udito l’Avvocato CLEMENTINA PULLI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ABBRITTI Pietro che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con ricorso ex art. 414 c.p.c., ritualmente notificato il ricorrente D.A.K., quale coerede di K.M., ha dedotto che l’INPS non aveva mai provveduto a liquidargli i ratei di pensione VOS a seguito di domanda del 28/02/1985.
Incardinatosi il giudizio avanti il Tribunale di Roma, si è costituito in giudizio l’INPS insistendo per il rigetto della domanda.
Il giudice di primo grado, con sentenza, ha respinto la domanda per difetto di prova della qualità di erede.
Avverso la predetta sentenza ha proposto appello l’originario ricorrente.
L’Inps è rimasto contumace.
2. Con sentenza n. 6369 del 3 ottobre 2007 la Corte d’appello ha respinto l’impugnazione sul presupposto che l’appellante non avesse provato la sua qualità di crede in considerazione del fatto che il decreto di successione, prodotto, non aveva efficacia a tal fine in quanto non risultava provata la nazionalità croata o jugoslava del de cuius.
3. Avverso questa pronuncia propone ricorso per cassazione l’originario ricorrente.
Resiste con controricorso la parte intimata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso è articolato in due motivi con cui il ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione delle norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3, con riguardo all’art. 2697 c.c. e art. 112 c.p.c., nonchè vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5.
Sostiene che la qualità di erede doveva ritenersi provata in base all’atto di successione prodotto in giudizio, rimasto privo di contestazione.
2. Il ricorso – i cui due motivi possono essere esaminati congiuntamente – è fondato.
Innanzi tutto deve considerarsi che ove l’attore, con la proposizione dell’azione, alleghi la propria qualità di erede onde ottenere dall’ente previdenziale l’adempimento di un’obbligazione nascente dal rapporto pensionistico del dante causa, la contestazione del convenuto in ordine alla esistenza, in concreto, di tale qualità si configura come contestazione di un fatto costitutivo, che si identifica con la successione nel rapporto obbligatorio (Cass., sez. lav., 27 marzo 2009, n. 7521).
Va poi osservato che il giudice italiano ha giurisdizione e può accertare incidenter tantum la qualità di erede sulla base delle norme di un diverso ordinamento giuridico (Cass., sez. un., 20 dicembre 2006, n. 27182).
Nella specie il ricorrente, per poter invocare le norme dell’ordinamento croato che sono quelle che consentono di dare valore al decreto di successione prodotto dal ricorrente stesso, doveva provare la cittadinanza croata del de cuius L. n. 218 del 1995, ex art. 46; prova che il ricorrente nella specie ha fornito con il depositato decreto di successione, che attesta la cittadinanza croata del de cuius ed il cui valore probatorio non viene contestato dall’INPS. 3. Il ricorso va quindi accolto.
L’impugnata sentenza va pertanto cassata con rinvio anche per le spese alla Corte d’appello di Roma.
PQM
La Corte accoglie il ricorso; cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 7 aprile 2010.
Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2010