LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PREDEN Roberto – Presidente –
Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –
Dott. CHIARINI M. Margherita – rel. Consigliere –
Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –
Dott. AMBROSIO Annamaria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
R.V. *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA P. EMILIO 7, presso lo studio dell’avvocato PIATTELLI FABRIZIO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CIANFLONE FRANCESCO giusta delega in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
C.F., C.R., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA F. CORRIDONI 4, presso lo studio dell’avvocato MALDARI PAOLO, che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati ZANZARELLI PIETRO, MAZZUTI GIUSEPPE giusta delega a margine del controricorso;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 4459/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA, 4^
SEZIONE CIVILE, emessa il 12/7/2005, depositata il 19/10/2005, R.G.N. 3561/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/03/2010 dal Consigliere Dott. MARIA MARGHERITA CHIARINI;
udito l’Avvocato GIUSEPPE LAURO GROTTO per delega dell’Avvocato PIETRO ZANZARELLI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARINELLI Vincenzo che ha concluso peri il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
F. e C.R. chiedevano al Tribunale di Roma la risoluzione del contratto con cui avevano concesso a R. V. l’uso del punto vendita di distribuzione del carburante invocando l’art. 15 poichè violato l’obbligo di tenere aperto al pubblico l’impianto.
Il Tribunale accoglieva la domanda e la Corte di appello di Roma, con sentenza del 19 ottobre 2005 rigettava l’appello del gestore sulle seguenti considerazioni: 1) la clausola di deroga della competenza territoriale era valida perchè il contratto era atipico e quindi non rientrava nella normativa di cui all’art. 447 c.p.c., comma 2) gli impianti elettrici e meccanici per l’erogazione dei carburanti erano stati riparati e collaudati dalla USL e le relative prove rendevano superflue le istanze istruttorie; 3) perciò la mancata riapertura dell’impianto era ingiustificata e peraltro il comodatario, benchè diffidato fin dal gennaio 2000, aveva restituito l’impianto soltanto nel novembre 2000.
Ricorre per cassazione R.V. cui resistono C. F. e R..
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia: “Violazione e falsa applicazione della normativa di cui al combinato disposto dell’art. 21 c.p.c. e art. 447 bis c.p.c., comma 2, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 2, 3 e 5”.
Il rapporto principale con il C. era di comodato mentre la somministrazione riguardava la compagnia rifornitrice dei prodotti petroliferi di cui i C. erano concessionari; pertanto il rapporto era di comodato.
La censura è inammissibile.
Infatti la ratio decidendi è che il rapporto derivato dal contratto intercorso è unico, atipico, e non parasubordinato e perciò di competenza del giudice ordinario. Conseguentemente la censura, per esser ad essa attinente, doveva involgere fatti, non esaminati o erroneamente esaminati, comprovanti l’esercizio da parte del gestore di un’attività prevalente personale e coordinata con il concedente, idonea a configurare la parasubordinazione, con conseguente inderogabile competenza a norma dell’art. 413 cod. proc. civ., mentre, com’ è formulata, è del tutto estranea a detta questione.
2.- Con il secondo motivo deduce: “Violazione, mancata o falsa applicazione della normativa di cui agli artt. 409, 447/bis, 429 e 437 c.p.c. con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”.
Anche in appello il processo era proseguito con il rito del lavoro e su di esso si era formato il giudicato, e perciò la decisione doveva esser emessa ai sensi dell’art. 429 c.p.c. con conseguente nullità del processo.
Il motivo è infondato.
Dall’esame degli atti risulta che all’udienza collegiale del 3 maggio 2005 la Corte di merito ha disposto: “Rilevato che la causa va trattata con rito ordinario e non con rito locativo, dispone il mutamento del rito e rinvia all’udienza del 12 luglio 2005 per la decisione invocando le parti il termine per il deposito delle conclusionali e delle repliche”. Conseguentemente anche la sentenza è stata emessa secondo il rito ordinario.
3.- Con il terzo motivo deduce: “Violazione e falsa applicazione della normativa di cui all’artt. 115 e 116, e del capo 2^, sez. 3^, art. 230, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5.
Error in procedendo”.
La terza cisterna, bucata, non era stata riparata e la documentazione riguardava le altre due cisterne, riparate quando la clientela era stata persa, e quindi le prove non erano state valutate dal giudice secondo il suo prudente apprezzamento e in modo completo e perciò erano state formulate le istanze istruttorie non ammesse; infatti l’interrogatorio formale era volto ad accertare che i C. non avevano la licenza per gestire l’impianto e le concessioni erano state ottenute per un quantitativo diverso, non comprendendo la terza cisterna che inquinava l’ambiente e avrebbe perciò messo fuori legge l’impianto e tutto ciò risultava dalla documentazione fotografica non esaminata.
Il motivo, non correlato alla ratio decidendi evidenziata al punto 2) della sentenza riassunta in narrativa, è inammissibile.
Concludendo il ricorso va respinto ed il ricorrente condannato a pagare le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente a pagare le spese del giudizio di cassazione pari ad Euro 2.500 di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 23 marzo 2010.
Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2010