Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.14443 del 15/06/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 4516-2005 proposto da:

COND VIA *****, in persona dell’Amministratore pro tempore Geom. B.F. P.I. *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA MERCEDE 52, presso lo studio dell’avvocato MENGHINI MARIO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato BRUYERE GABRIELE;

– ricorrente –

contro

CLERINDA SS, ALLSECURES ASSIC SPA, C.L.M., J.

V. (contumace), ANUCILI SS;

– intimati –

sul ricorso 6757-2005 proposto da:

C.L.M. ***** elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MERULANA 215, presso lo studio dell’avvocato MACORI GIORGIO, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati PIPAN ALDO, LOVATO DASSETTO LIVIO;

– ricorrenti –

e contro

COND VIA *****;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1682/2003 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 29/12/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/04/2010 dal Consigliere Dott. EMILIO MIGLIUCCI;

udito l’Avvocato MENGHINI Mario, difensore del ricorrente che ha si riporta agli atti;

udito l’Avvocato LOVATO DASSETTO Livio, difensore della resistente che si riporta agli atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARINELLI VINCENZO che ha concluso per ricorso principale rigetto, ricorso incidentale assorbito.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

C.L.M. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Torino J.V., le società semplici Anucili e Clerinda nonchè il Condominio ubicato in quella città via ***** per sentirli condannare al risarcimento dei danni derivanti al locale di sua proprietà, sito al quinto piano dell’edificio condominale, dalle infiltrazioni provenienti dal tetto. Faceva al riguardo presente che: a seguito delle sue rimostranze, il Condominio aveva fatto eseguire, in più riprese, lavori di riparazione del tetto condominiale, con esito negativo fino a che, da ultimo, li aveva commissionati a J.V. titolare dell’omonima ditta individuale; contestualmente le società Anucili e Clerinda, proprietarie delle soffitte soprastanti, avevano affidato alla stessa impresa la ristrutturazione delle medesime; si era verificato l’allagamento del proprio appartamento per acqua penetrata dal tetto attraverso le soffitte il 10 gennaio 1994 ed ancora il 5 febbraio 1994, quando fu necessario l’intervento dei vigili del fuoco; quindi il successivo 5 aprile il soffitto dell’alloggio dell’attrice, oramai marcio per le infiltrazioni e gli allagamenti, era crollato; che era evidente la responsabilità del Condominio, essendo il tetto un bene comune, delle società, nelle cui soffitte erano stati effettuati i lavori, e dello J..

Pertanto, l’istante chiedeva la condanna dei convenuti, in solido tra loro, al risarcimento dei danni subiti vuoi per le riparazioni, vuoi per il restauro.

I convenuti, costituendosi in giudizio, chiedevano il rigetto delle domande, contestando le rispettive responsabilità.

Al presente giudizio era riunito quello promosso dallo J. nei confronti della C. per il pagamento del saldo dei lavori eseguiti nell’immobile di quest’ultima.

Con sentenza depositata il 29 gennaio 2002 il Tribunale riteneva la responsabilità del Condominio e dello J. nella misura del 40% e delle società in quella del 20%, liquidando i danni patiti dall’attrice. In particolare, la responsabilità del Condominio era affermata in considerazione della condotta negligente tenuta dal medesimo nel risolvere il problema del tetto che non era stato affrontato con la dovuta diligenza, essendovi stati una serie di interventi a piccole fasi.

Con sentenza dep. il 29 dicembre 2003 la Corte di appello rigettava l’impugnazione principale proposta dal Condominio nonchè quelle incidentali spiegate dalle società convenute.

Per quel che interessa nella presente sede i Giudici di appello peraltro, in accoglimento del motivo al riguardo formulato dal Condominio, escludevano la responsabilità al medesimo ascritta ai sensi dell’art. 2051 cod. civ. sul rilievo che, pur essendo risultata la presenza di infiltrazioni dal tetto condominiale nelle soffitte sovrastanti l’appartamento dell’attrice sin dal 1987 e poi verificatesi anche negli anni 1988,1989, 1990, 1991 e 1992, circostanze ammesse dal Condominio, non era dimostrato che l’allagamento dell’immobile dell’attrice fosse collegato da un nesso di causalità con queste ovverossia che le stesse avessero dapprima interessato gli immobili delle società e da queste ultime l’alloggio dell’attrice.

Nel respingere il motivo con cui il Condominio aveva contestato i presupposti per l’applicazione dell’art. 2049 cod. civ. la Corte riteneva che gli addebiti ascritti rientravano comunque nell’ipotesi di cui all’art. 2043 cod. civ., per cui a tale titolo doveva considerarsi responsabile il Condominio in concorso con l’appaltatore che, nell’eseguire il rifacimento del tetto che doveva essere smantellato, aveva costruito una struttura tubolare ricoperta da un telone che nel gennaio 1994, strappato dal vento, era stato disancorato dalla predetta struttura: in considerazione di ciò l’appartamento dell’attrice si allagò. In proposito, la sentenza evidenziava la palese negligenza di entrambi i convenuti consistita nella mancata considerazione dei prevedibili esiti delle precipitazioni atmosferiche sulla protezione che era manifestamente del tutto inadeguata: la verifica della tenuta del telone era imposta da elementari regole di prudenza, ma ciò nonostante nè l’appaltatore nè l’amministrazione del Condominio,che era una società con sede a poca distanza da dove è ubicato il Condominio, intervennero; il che dimostrava la sussistenza di un comportamento commissivio mediante omissione tenuto specificamente dal Condominio in modo diretto. E non diversamente era accaduto a proposito del successivo allagamento del febbraio 1994 che richiese l’intervento dei Vigili del Fuoco, allagamento provocato dell’inefficace protezione; in entrambi i casi era evidente il nesso di causalità fra il fatto e l’evento.

Nell’affermare la concorrente responsabilità delle società proprietarie delle soffitte sovrastanti, la Corte evidenziava lo stato di elevato degrado e marcescenza del relativo pavimento che non aveva impedito all’acqua proveniente dal tetto di passare nell’alloggio sottostante, chiarendo in proposito che tale stato era addebitabile alla mancata manutenzione protrattasi per anni e non ai precedenti episodi di allagamento.

Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione il Condominio sulla base di due motivi.

Resiste la C. con controricorso incidentale condizionato affidato a un unico motivo.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente il ricorso principale e quello incidentale vanno riuniti, ex art. 335 cod. proc. civ., perchè sono stati proposti avverso la stessa sentenza. Con il primo motivo il ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., art. 329 c.p.c., comma 2 e art. 345 cod. proc. civ. (nonchè dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), censura la decisione gravata che aveva posto a base della decisione un’azione, quella di cui all’art. 2043 cod. civ., che non era stata mai proposta, essendosi l’attrice limitata ad individuare la responsabilità del Condominio, quale proprietario del tetto, ex art. 2051 e, per culpa in eligendo dell’appaltatore, ai sensi dell’art. 2049 cod. civ..

Il motivo è infondato.

Con la domanda introduttiva del giudizio era stato dedotto che, nonostante le rimostranze formulate dall’istante, il Condominio, quale proprietario del tetto del fabbricato, non aveva proceduto ad eseguire i lavori necessari ad impedire il perpetuarsi delle infiltrazioni provenienti da tempo nell’immobile dell’attrice, che aveva chiesto il risarcimento del danno provocato da tale condotta lesiva del suo diritto di proprietà: in tal modo, a base dell’azione, era stato posto, quale fatto costitutivo della pretesa risarcitoria, il comportamento omissivo del Condominio, consistito nel non avere colpevolmente adottato quelle cautele che il proprietario deve predisporre per evitare che dalla cosa derivino danni a terzi. Pertanto, alla stregua dei fatti costitutivi della domanda, in relazione ai quali il giudice deve procedere alla qualificazione dell’azione proposta indipendentemente dal riferimento alla norma indicata dalla parte, l’attrice non si era limitata ad invocare la responsabilità oggettiva per i danni derivanti dalla cosa in custodia – che prescinde dalla condotta colpevole del proprietario – ma aveva altresì denunciato la condotta illecita posta in essere dal proprietario ex art. 2043 cod. civ..

Con il secondo motivo il ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 1655 e ss., 2043, 2049, 2051 cod. civ. nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), censura la sentenza impugnata laddove non aveva considerato che i lavori in oggetto riguardavano il tetto del fabbricato ed il potere di fatto relativamente ad esso era stato trasferito all’impresa appaltatrice che, non essendo un nudus minister, come ritenuto dalla stessa decisione gravata, era il custode del bene; in effetti, le infiltrazioni erano derivate non da carenza del tetto ma erano conseguenza dello strappo del telo di copertura apposto dall’impresa e, dopo il ripristino dello strappo, dei trafilamenti di acqua penetrati dal medesimo telone. L’appaltatore aveva posto in essere un segno di doverosa prudenza per scongiurare il danno e la sentenza impugnata non aveva neppure verificato se le regole dell’arte, ordinariamente ascrivibili all’appaltatore e non al committente, fossero state o meno rispettate; non si comprendeva in che cosa sarebbe consistito l’intervento dell’amministratore, proprio in considerazione del fatto che in quel periodo vi erano state precipitazioni intense e notorie: in ogni caso, l’appaltatore è responsabile in via esclusiva nei confronti dei terzi in considerazione dell’autonomia e della libertà di gestione, a meno che non sia un nudus minister: in tal caso non trova applicazione l’art. 2049 cod. civ., atteso che il dovere di custodia e di vigilanza si trasferisce all’appaltatore e il committente non può controllare l’organizzazione dei lavori.

Il motivo è fondato.

Occorre premettere che, nell’affermare la responsabilità concorrente del Condominio e dell’appaltatore, la sentenza ha ritenuto che il danno lamentato dall’attrice era derivato – in considerazione della mancata adozione di misure idonee alla protezione del tetto condominiale – dalle infiltrazioni d’acqua provenienti dallo stesso, verificatesi durante l’esecuzione dei lavori necessari per il suo totale rifacimento e che ne avevano determinato lo smantellamento.

La responsabilità del Condominio, in concorso con quella dell’appaltatore, è stata riconosciuta per non avere l’amministratore evitato che la condizione del bene condominiale fosse idonea ad arrecare danni a terzi. In particolare, la responsabilità del proprietario del bene e committente dei lavori è stata ravvisata nell’omissione del dovere di controllo e di sorveglianza da parte dell’amministratore del Condominio, il quale avrebbe dovuto verificare la tenuta del telone, trattandosi di una misura manifestamente inadeguata. Ma, così opinando, la sentenza ha addebitato all’amministratore il fatto di non essersi assicurato che le misure adottate dall’appaltatore fossero state tali da scongiurare il pericolo di danni in considerazione delle condizioni climatiche:

in sostanza, i Giudici hanno rimproverato all’amministratore di non essere intervenuto sui luoghi, pur risiedendo a poca distanza. Tale assunto è erroneo.

In proposito, occorre ricordare che l’appaltatore è di regola l’unico responsabile dei danni derivati a terzi dall’esecuzione delle opere appaltate in considerazione dell’autonomia gestionale del rischio con riferimento all’assetto organizzativo dell’impresa, alla scelta ed all’utilizzo dei mezzi ritenuti necessari ed alle modalità di esecuzione dell’opera commissionata. L’autonomia e la libertà di gestione dell’appaltatore – che si obbliga verso il committente a fornirgli il risultato della sua opera – comportano che il rischio inerente alla cosa oggetto delle opere appaltate si sposta dal committente all’assuntore dell’esecuzione dell'”opus”, con inapplicabilità della responsabilità del committente ex art. 2049 cod. civ.. Ne consegue che, durante tutto il tempo dell’esecuzione dell’opera e fino alla consegna all’appaltante, il dovere di custodia e di vigilanza sulla cosa da consegnare passa dal committente all’appaltatore il quale è tenuto sia ad impedire che la cosa sia distrutta o si deteriori, sia a rispettare il principio del “neminem laedere”, ossia evitare di arrecare danni a terzi a causa dell’esecuzione dell’opera commissionata. Di regola, è da escludere, in relazione ai danni arrecati a terzi nel corso ed a causa dell’esecuzione dei lavori, una responsabilità anche del committente non potendo questi controllare le modalità dell’organizzazione che si è data l’impresa appaltatrice. 11 potere di vigilanza e controllo che, all’interno del contratto di appalto, il committente può esercitare nel proprio interesse, è irrilevante sul piano della responsabilità extracontrattuale derivante dall’esecuzione delle opere commissionate. In realtà, a carico del committente è configurabile la corresponsabilità in caso di specifiche violazioni di regole di cautela nascenti ex art. 2043 cod. civ. ovvero in caso di una riferibilità dell’evento al committente stesso per “culpa in eligendo” per essere stata affidata l’opera ad un’impresa assolutamente inidonea, ovvero quando l’appaltatore, in base ai patti contrattuali, sia stato un semplice esecutore degli ordini del committente ed abbia agito quale “nudus minister” del committente medesimo attuandone specifiche direttive, ovvero ancora quando il committente si sia fattualmente ingerito nell’esecuzione del lavoro materialmente cooperando all’impresa appaltatrice palesemente priva delle necessarie capacità e dei mezzi tecnici, indispensabili per eseguire la prestazione, senza il pericolo di arrecare danni a terzi.

Pertanto, la corresponsabilità del committente verso i terzi non può essere fatta discendere dalla mancata sorveglianza dell’attività dell’appaltatore ovvero dalla mancata verifica dell’idoneità delle misure adottate dall’appaltatore a tutela dei terzi: il committente (nel caso del condominio, l’amministratore) intanto può essere chiamato a rispondere dei danni derivanti dalla condizione della cosa di sua proprietà (o di proprietà dei condomini, nel caso dell’amministratore) in quanto, per sopravvenute circostanze di cui sia venuto a conoscenza – come, ad es., nel caso di abbandono del cantiere o di sospensione dei lavori da parte dell’appaltatore -, sorga a carico del medesimo il dovere di apprestare quelle precauzioni che il proprietario della cosa deve adottare per evitare che dal bene derivino pregiudizi a terzi.

Nella specie, con l’appalto era stata trasferita la (necessaria) detenzione del tetto relativamente al quale dovevano essere eseguiti i lavori: d’altra parte, la sentenza ha altresì accertato che l’appaltatore non era un nudus minister, per cui nessun dovere di vigilanza e di controllo poteva esigersi da parte dell’amministratore del Condominio che quindi non era tenuto ad effettuare sopralluoghi per verificare l’adozione da parte dell’appaltatore delle misure idonee ad evitare che dall’esecuzione dei lavori derivassero danni a terzi. La sentenza ha ritenuto la condotta omissiva del Condominio senza avere individuato l’obbligo in violazione del quale si sarebbe realizzata tale condotta posto che, come si è detto, ha erroneamente ricollegato il dovere di evitare la situazione di pericolo lesiva del diritto dell’attrice al mancato intervento volto a verificare la tenuta del telone predisposto dall’appaltatore. In realtà i Giudici, pur facendo riferimento all’art. 2043 cod. civ., non hanno individuato i presupposti fattuali in base ai quali sarebbe stata configurabile la violazione del principio del neminem laedere.

Evidentemente l’indagine avrebbe dovuto verificare le (e dare conto delle specifiche circostanze, in base alle quali l’amministratore avrebbe avuto la conoscenza effettiva della situazione di pericolo e di abbandono del cantiere da parte dell’appaltatore, così da rendere esigibile un comportamento idoneo ad impedire di ledere l’altrui sfera giuridica, secondo quanto previsto dall’art. 2043 citato: al riguardo, la motivazione è del tutto carente laddove la sentenza in modo apodittico ha ritenuto “la negligenza palese, derivata dalla mancata considerazione di prevedibili esiti delle precipitazioni meteoriche sulla protezione che tutti sapevano provvisoria e temporanea”.

RICORSO INCIDENTALE CONDIZIONATO. L’accoglimento del ricorso principale rende necessario l’esame di quello incidentale condizionato.

Con l’unico motivo la ricorrente incidentale, denunciando violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 in relazione all’art. 2051 cod. civ., censura la sentenza impugnata laddove, nell’escludere la responsabilità del Condominio ex art. 2051 cod. civ., aveva ritenuto non provato che le infiltrazioni per anni provenienti dal tetto condominiale, indebolendo la soletta del pavimento delle sovrastanti soffitte poi crollato, erano penetrate nell’appartamento dell’attrice, quando tali infiltrazioni erano state ammesse dallo stesso condominio ed accertate anche dal consulente tecnico d’ufficio.

La sentenza si era rivelata contraddittoria giacchè, pur avendo accertato l’elevato degrado della soletta del pavimento delle sovrastanti soffitte non ascrivibile ad isolati episodi, aveva poi escluso che il crollo del soffitto e gli allagamenti dell’immobile dell’attrice fossero dipesi dall’indebolimento delle relative strutture, provocato dalle infiltrazioni provenienti dal tetto.

Il motivo è fondato.

Nell’escludere la responsabilità del Condomino ex art. 2051 cod. civ. la sentenza, pur avendo accertato la esistenza di infiltrazioni provenienti nel corso degli anni dal tetto nelle soffitte delle società convenute sovrastanti l’appartamento dell’attrice, ha ritenuto non provato che le stesse avessero indebolito nel corso degli anni le strutture del pavimento delle unità sovrastanti e, quindi, avessero avuto un’ efficienza causale nel verificarsi degli allagamenti e poi del crollo. Ed invero, al riguardo i Giudici non hanno preso in considerazione e valutato l’incidenza della circostanza – peraltro accertata ed esaminata dalla stessa sentenza impugnata esclusivamente a proposito della (pur affermata) corresponsabilità delle predette società – dello stato di elevato degrado e di marcescenza del pavimento delle unità sovrastanti l’appartamento dell’attrice, e ciò nonostante che la stessa sentenza avesse ritenuto che tale condizione non poteva ascriversi agli episodi di allagamento verificati nel 1994 ma doveva essere il frutto dell’omessa manutenzione del pavimento protrattasi per anni. Ed allora sarebbe stato necessario verificare se: a) la condizione di degrado del pavimento delle soffitte potesse essere o meno ascrivibile alle infiltrazioni provenienti dal tetto; b) se per effetto di tale situazione le infiltrazioni provenienti dal tetto fossero penetrate nell’immobile dell’attrice Tale indagine è mancata per cui la motivazione è in proposito del tutto carente.

Anche il ricorso incidentale va accolto.

La sentenza va cassata in relazione al secondo motivo del ricorso principale e al ricorso incidentale con rinvio, anche per le spese della presente fase, ad altra sezione della Corte di appello di Torino.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi accoglie il secondo motivo del ricorso principale rigetta il primo, accoglie il ricorso incidentale cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto del ricorso principale e al ricorso incidentale e rinvia, anche per le spese della presente fase, ad altra sezione della Corte di appello di Torino.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2010

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