LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI NANNI Luigi Francesco – Presidente –
Dott. PETTI Giovanni Battista – Consigliere –
Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –
Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –
Dott. D’AMICO Paolo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 18089/2005 proposto da:
C.S., ***** elettivamente domiciliato in ROMA, VIA E.TAZZOLI 2, presso lo studio dell’avvocato POLTRONIERI MARIA LUDOVICA, rappresentato e difeso dall’avvocato ROSSI Stefano con delega a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
C.A., *****, C.M.R., *****, C.L.L., *****, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DI PIETRALATA 320-D, presso lo studio dell’avvocato MAZZA RICCI GIGLIOLA, rappresentati e difesi dall’avvocato DE ROSSI Guido Raffaele con delega in calce al controricorso;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 881/2004 della CORTE D’APPELLO di BARI, Sezione Terza Civile, emessa il 19/07/2004; depositata il 16/10/2004;
R.G.N. 331/2001;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 25/11/2009 dal Consigliere Dott. PAOLO D’AMICO;
udito l’Avvocato LILIANA SALEMME (per delega Avvocato RAFFAELE DE ROSSI);
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARINELLI Vincenzo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
C.S. conveniva in giudizio C.A. e C.N. esponendo: a) di essere proprietario di un immobile occupato a titolo di comodato precario da C.A. e dal di lei marito C.N.; b) di avere manifestato ai predetti coniugi la volontà di riottenere l’immobile e di non aver avuto risposta in senso affermativo.
Tanto premesso il C. chiedeva pertanto: 1) di dichiarare la legittimità della richiesta di restituzione del suddetto immobile;
2) di condannare i convenuti al rilascio dello stesso libero da persone e cose.
Si costituivano i convenuti i quali affermavano: che l’immobile “de quo” era da loro occupato non a titolo di comodato ma in quanto la C. era promittente acquirente in virtù di un preliminare inter partes; che l’attore si era sempre rifiutato di comparire dinanzi al notaio per stipulare il contratto definitivo.
I convenuti chiedevano il totale rigetto della domanda e, in via riconvenzionale, che l’adito giudice pronunciasse sentenza dichiarativa del trasferimento dell’immobile in oggetto, in favore di C.A. e da parte di C.S. e delle germane M.R. e C.L..
Si costituivano in giudizio M.R. e C.L. che aderivano alla domanda riconvenzionale spiegata ex art. 2932 c.c., da C.A..
Il Tribunale di Foggia rigettava la domanda principale nonchè quella riconvenzionale.
Proponeva impugnazione C.S. chiedendo di condannare C.A. e C.N. al rilascio dell’immobile per cui è causa nonchè al pagamento di L. 25.000.000 quale somma derivante dal mancato rilascio dell’immobile stesso. Si costituivano gli appellati C.A. e C.N. i quali chiedevano il rigetto dell’appello principale nonchè l’accoglimento di quello incidentale spiegato da C.A. avverso il rigetto della domanda riconvenzionale proposta.
La Corte distrettuale rigettava l’appello principale ed accoglieva quello incidentale; accoglieva la domanda riconvenzionale e dichiarava trasferito da C.S. ad C.A. l’immobile per cui è causa.
Proponeva ricorso per cassazione C.S..
Resistevano con controricorso C.A., C.N., C.M.R., C.L.L..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo mezzo d’impugnazione parte ricorrente denuncia “Violazione e falsa interpretazione degli artt. 1343 e 1362 c.c., anche in relazione all’art. 1723 c.c. e alla L. n. 865 del 1971, art. 35 e successive modificazione”.
Sostiene C.S. che il mandato a lui conferito era nullo nella parte in cui era finalizzato a garantire anche alle sorelle, non aventi diritto, l’acquisto illegale di un bene non commerciabile:
nella specie un appartamento di edilizia economica e popolare. Tale patto infatti era in frode alla legge (art. 1344 c.c.) e comunque caratterizzato da illiceità della causa (art. 1343 c.c.); perciò, inidoneo a produrre alcun effetto giuridico e sicuramente non idoneo ad attribuire alle sorelle C. una qualunque situazione giuridica tutelabile o che le facoltizzasse successivamente a disporre dell’appartamento. Le stesse, allora, non potevano cedere o compromettere quote dell’edificio poichè non ne erano mai divenute proprietarie e mai avrebbero potuto divenirlo, per i motivi appena indicati.
E’ indubitabile, in breve: che il mandato avrebbe dovuto consentire il superamento immediato del ben noto divieto in tema di alienazione di abitazioni di edilizia economica e popolare; che l’intento si rivelò presto fallace perchè le sorelle C. non divennero titolari di nulla; che il successivo preliminare altro non fu che il tentativo di ovviare al divieto medesimo; che dunque lo stesso non valse a restituire liceità al patto in questione.
Il ricorso è infondato.
Si deve infatti osservare che il contratto preliminare stipulato dall’assegnatario di un alloggio costruito da una cooperativa edilizia con il contributo dello stato prima dello scadere del decennio dall’assegnazione, e con il quale l’assegnatario si obbliga a concludere il contratto di trasferimento della proprietà dell’alloggio con il promissario acquirente, non ha efficacia reale ma meramente obbligatoria e pertanto non è nullo per contrasto con le norme imperative contenute nelle leggi sull’edilizia residenziale sovvenzionata, anche quando sia convenuto l’anticipato trasferimento del possesso del bene (Cass., 26.9. 2000, n. 12749).
Con il secondo motivo, (indicato con il numero 3) si denuncia “Motivazione insufficiente per valutazione manifestamente errata delle risultanze. Illogicità della stessa”.
Sostiene parte ricorrente che nel preliminare del 1986 non risulta attribuito alla promissaria acquirente il possesso immediato dell’alloggio e che di conseguenza si deve fondatamente ritenere che il trasferimento ebbe origine differente, non escluso, dunque, il comodato.
Anche questa tesi è infondata e la diversa soluzione proposta dall’impugnata sentenza secondo la quale la detenzione dell’immobile da parte dei convenuti trova titolo nel preliminare di compravendita anzichè in quello di comodato gratuito, è correttamente motivata dalla Corte d’Appello di Bari, con argomentazione immune da vizi logici o giuridici e come tale insindacabile in sede di legittimità.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato con condanna di parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che vengono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che liquida in complessivi Euro 3.200,00 di cui Euro 3.000,00 per onorari, oltre rimborso forfettario delle spese generali ed accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 25 novembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2010