LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –
Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –
Dott. PARZIALE Ippolisto – rel. Consigliere –
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –
Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 26655-2006 proposto da:
Z.Z., elettivamente domiciliato in ROMA, LARGO TRIONFALE 7, presso lo studio dell’avvocato FIORINI GIANCARLO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato PICCONE FERNANDO, giusta delega a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
MULTI SYSTEM di NISI SERGIO & C. SAS in liquidazione in persona del liquidatore e legale rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIOACCHINO ROSSINI 18, presso lo studio dell’avvocato VACCAI GIOIA, rappresentata e difesa dall’avvocato RINALDI GABRIO, giusta mandato e procura ad litem a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 393/2005 della CORTE D’APPELLO di ANCONA del 19.5.05, depositata il 16/07/2005;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/06/2009 dal Consigliere Relatore Dott. IPPOLISTO PARZIALE;
lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale Dott. Rosario Giovanni RUSSO che ha concluso che con ordinanza venga disposta la trattazione in pubblica udienza del ricorso.
FATTO E DIRITTO
Parte ricorrente, Z.Z., impugna la sentenza n. 393 del 2005 della Corte di appello di Ancona con la quale veniva accolto l’appello dell’odierna intimata, MULTI SYSTEM di NISI Giorgio & C. sas, e riformata la sentenza del Tribunale di Ancona.
In fatto precisa di aver citato in giudizio avanti il Tribunale di Ancona l’odierna intimata, chiedendone la condanna al pagamento della somma di Lit 51.732.806 relativamente alla vendita di una partita di pellame, che non veniva interamente pagata.
La convenuta contestava d’aver acquistato la merce e deduceva di aver soltanto ricevuto un mandato a vendere in relazione al quale aveva venduto la merce ad altra società per l’importo di Lit. 152.628.924.
Tale ultima società aveva poi contestato la qualità della merce e successivamente era intervenuto un accordo tra le parti per una riduzione del prezzo al Lit. 105.599.172. Avendo ricevuto soltanto il pagamento di Lit. 54.748.929 la convenuta aveva cercato di recuperare la differenza, ottenendo anche decreto ingiuntivo, rimasto senza esito per il fallimento della società acquirente. Aveva, quindi, versato all’attore la somma di Lit. 20.173.973, operando una compensazione con le spese sostenute e il proprio compenso.
Il Tribunale accoglieva la domanda dell’odierno ricorrente, mentre la Corte d’appello, adita dalla odierna intimata, respingeva le domande, ritenendo provato il contratto di mandato e non quello di vendita.
L’impugnazione è affidata ad un articolato motivo col quale si deducono violazione di norme di diritto e insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.
In particolare lamenta il ricorrente che la Corte territoriale ha erroneamente ritenuto legittimato alla impugnazione il legale rappresentante della società liquidata e cancellata dal registro imprese, non risultando anche suo liquidatore. Lamenta, inoltre, che la Corte territoriale abbia riconosciuto provato il contratto di mandato senza alcuna prova al riguardo, nonchè di aver erroneamente valutato il quadro probatorio.
Resiste con controricorso l’intimata.
Attivatasi procedura ex art. 375 c.p.c., il Procuratore Generale invia requisitoria scritta nella quale conclude con richiesta di trattazione del ricorso in pubblica udienza.
Occorre rilevare che tali conclusioni della Procura Generale non ostano alla pronuncia in camera di consiglio. Infatti, l’inammissibilità della pronuncia in camera di consiglio è ravvisabile solo ove la Corte ritenga che non ricorrano le ipotesi di cui all’art. 375 c.p.c., commi 1 e 2, oppure emergano condizioni incompatibili con una trattazione abbreviata. In tali casi la causa deve essere rinviata alla pubblica udienza. Nel caso in cui, invece, la Corte ritenga, come nella specie, che la decisione del ricorso presenta aspetti di evidenza compatibili con l’immediata decisione, può pronunciarsi la manifesta infondatezza o la manifesta fondatezza dell’impugnazione, anche ove le conclusioni del pubblico ministero siano, all’opposto, per la trattazione in pubblica udienza (Cass. 2007 n. 23842; Cass. 2007, n. 1255).
Il ricorso è infondato e va respinto.
Il primo motivo è inammissibile, avendo riguardo ad una questione nuova rispetto a quella sollevata in appello, che – come risulta dalla sentenza in esame, non impugnata anche per omessa pronunzia sulla questione de qua o per erronea interpretazione degli atti – era relativa alla legittimazione della società in quanto cancellata e non già del suo rappresentante legale, in quanto non investito della funzione di liquidatore.
Il secondo motivo è infondato. Infatti, occorre osservare quanto al vizio denunciato che:
“Il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione denunciatile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5, si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione; tali vizi non possono consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo al giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, mentre alla Corte di Cassazione non è conferito il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensì solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui è riservato l’apprezzamento dei fatti”, (Cass. 2007 n. 15489) “Il ricorso per cassazione con il quale si facciano valere vizi della motivazione della sentenza deve contenere la precisa indicazione di carenze o di lacune nelle argomentazioni sulle quali si basano la decisione o il capo di essa censurato ovvero la specificazione di illogicità, consistente nell’attribuire agli elementi di giudizio considerati un significato fuori dal senso comune, od ancora la mancanza di coerenza fra le varie ragioni esposte, quindi l’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti e l’insanabile contrasto degli stessi. Ne consegue che risulta inidoneo allo scopo il far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice di merito all’opinione che di essi abbia la parte ed, in particolare, il prospettare un soggettivo preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e degli apprezzamenti del fatto, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Diversamente il motivo del ricorso per cassazione si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni effettuate ed, in base ad esse, delle conclusioni raggiunte dal giudice di merito cui non può imputarsi di aver omesso l’esplicita confutazione delle tesi non accolte e la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio ritenuti non significativi giacchè nè l’una nè l’altra gli sono richieste, mentre soddisfa all’esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento risulti da un esame logico e coerente di quelle tra le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie che siano state ritenute di per se sole idonee e sufficienti a giustificarlo”. (Cass. 2006 n. 12446).
Nel caso in questione, il ricorrente prospetta una propria personale ricostruzione del quadro probatorio e il motivo di ricorso si risolve in una ingiustificata ed inammissibile richiesta di nuova valutazione del materiale probatorio disponibile a fronte di una sentenza ampiamente ed adeguatamente motivata che ha dato pienamente conto delle conclusioni raggiunte.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
LA CORTE rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente alle spese di giudizio, liquidate in complessivi 2.500,00 Euro per onorari e 200,00 per spese, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 giugno 2009.
Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2010