Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.20036 del 22/09/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. MALZONE Ennio – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 1986-2005 proposto da:

B.S. *****, BA.SE.

*****, D.D.M. *****, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DOMENICO BARONE 31, presso lo Studio dell’avvocato BOTTAI ENRICO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato ZANOTTO ANTONIO;

– ricorrenti –

e contro

V.D. *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 76, presso lo studio dell’avvocato SPADARO MARCO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato TESSAROLO ALFREDO;

– resistente –

avverso la sentenza n. 963/2004 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 07/06/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/01/2010 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA SAN GIORGIO;

udito l’Avvocato BOTTAI Enrico, difensore dei ricorrenti che ha chiesto l’accoglimento del ricorso e chiede l’inammissibilità della memoria avversarie;

udito l’Avvocato Mario SPADARO, difensore della resistente che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUCCI Costantino che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con atto di citazione notificato il 19 luglio 1986, V. D. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Bassano Del Grappa D.M.D. ed i figli di costei, B. S. e Si., per sentir dichiarare l’annullamento per incapacità di intendere e di volere o, in via alternativa, la nullità ex art. 1418 cod. civ. della donazione di un immobile eseguita con rogito del *****, sostenendo che tale atto, con il quale ella aveva trasferito ai B. la nuda proprietà di una casa ed annesso terreno in *****, era stato da lei sottoscritto in uno stato di deperimento mentale, tale da escluderne la capacità di intendere e di volere, e che comunque vi era stata spinta dalle pressioni esercitate dalla D., presso la quale viveva da alcuni anni in una camera in affitto.

I convenuti, costituitisi in giudizio, eccepirono preliminarmente la violazione del principio del ne bis in idem, per essere la domanda coperta dal giudicato di cui alla sentenza n. 349 del 1996 dello stesso Tribunale, e nel merito, chiesero il rigetto della domanda.

Con sentenza depositata il 24 agosto 2000, fu dichiarato l’annullamento dell’atto, essendo stato escluso l’effetto preclusivo del giudicato in quanto la sentenza n. 349 aveva ad oggetto la revocazione per ingratitudine della donazione, e non l’annullamento della liberalità ex art. 775 cd. civ.. Inoltre, osservò il giudice di primo grado che sia le cartelle cliniche, sia le deposizioni testimoniali avevano provato che la V. non era, all’epoca di cui si tratta, nel pieno possesso delle proprie facoltà intellettive; e la incapacità dell’attrice era stata confermata dalla consulenza tecnica disposta.

2. – La sentenza fu impugnata da B.S. e Se. e da D.M.D.. Il gravame fu rigettato dalla Corte d’appello di Venezia con sentenza depositata il 7 giugno 2004.

Osservò la Corte, quanto al primo motivo di censura, avente ad oggetto la preclusione da giudicato esterno formatosi sulla sentenza del 1996, che questa aveva conosciuto di un petitum diverso da quello introdotto nel nuovo processo.

Circa il secondo motivo, con il quale i fratelli B. lamentavano che il Tribunale avesse utilizzato per la motivazione del proprio convincimento prove raccolte nel procedimento penale a carico della D., al quale essi erano estranei, la Corte territoriale invocò il potere del giudice, in difetto di particolari divieti normativi, di utilizzare risultanze istruttorie formate in un diverso giudizio. Quanto al terzo ed al quarto motivo, con i quali i fratelli B. deducevano la mancanza di una prova rigorosa della incapacità naturale della V., e richiamavano le critiche del consulente di parte al metodo seguito dal c.t.u., il giudice di secondo grado rilevò una corretta valutazione da parte del Tribunale delle prove documentali, costituite dalle cartelle cliniche relative ai ricoveri ospedalieri subiti dalla V. il *****, dalle quali emergeva che la donna dal ***** era affetta da “parkinsonismo in arteriosclerotica”, e che già da quell’anno evidenziava un deterioramento mentale via via aggravatosi:

diagnosi confermata dai testi e dal c.t.u., e che trovava altresì riscontro negli accertamenti eseguiti nel corso del procedimento penale a carico della D. per circonvenzione di incapace, concluso con una sentenza di “patteggiamento”.

Quanto, infine, all’appello proposto da D.M.D., avente ad oggetto la asseritamente ingiusta condanna della stessa al pagamento della rifusione delle spese del giudizio di primo grado, in quanto ella non si sarebbe potuta considerare soccombente poichè la sentenza non la riguardava, la Corte di merito, premesso che nell’atto di donazione di cui si trattava era intervenuta anche la D., che aveva accettato in nome e per conto dei figli minori B.S. e Se. la donazione della V. poi annullata, osservò che, attraverso tale intervento, la D. aveva dato causa al processo, e che, pertanto, correttamente la stessa era stata condannata a rimborsare le spese del giudizio alla V..

La Corte, infine, condannò gli appellanti, in solido tra loro, al pagamento delle spese del grado.

3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorrono la D. e B.S. e Se. sulla base di cinque motivi. Resiste la Denzo a mezzo della propria tutrice. Sono state depositate memorie.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.. Sarebbe stato disatteso il principio della disponibilità della prova, essendo state utilizzate per la formazione del convincimento del giudice prove raccolte nel giudizio penale a carico della D. per circonvenzione di incapace, concluso con sentenza di patteggiamento, vicenda che avrebbe pervaso tutti i provvedimenti istruttori del giudice di primo grado, l’attività del c.t.u. e la stessa motivazione della sentenza.

2.1. – La doglianza è destituita di fondamento.

2.2. – Come ripetutamente affermato da questa Corte, il giudice di merito, in difetto dì particolari divieti normativi, può utilizzare, per la formazione del proprio convincimento, anche prove e, più in genere, risultanze istruttorie (tra cui in particolare la consulenza tecnica), formate in un diverso giudizio, tra le stesse parti o anche tra altre parti, da considerare quali semplici indizi idonei a fornire utili e concorrenti elementi di giudizio (v., tra le altre, Cass., sentt. n. 2737 del 2002, n. 5013 del 1996).

Con particolare riferimento alla utilizzabilità in sede civile di una consulenza disposta in sede penale, questa Corte ha poi precisato che il giudice di merito può anche avvalersi delle risultanze derivanti da atti di indagini preliminari, la cui concreta efficacia sintomatica dei singoli fatti noti deve essere valutata – in conformità con la regola dettata in tema di prova per presunzioni – non solo analiticamente, ma anche nella loro convergenza globale, accertandone la pregnanza conclusiva in base ad un apprezzamento che, se sorretto da adeguata e corretta motivazione sotto il profilo logico e giuridico, non è sindacabile in sede di legittimità. Ne consegue che anche una consulenza tecnica disposta dal P.M. in un procedimento penale, se ritualmente prodotta dalla parte interessata, può essere liberamente valutata come elemento indiziario idoneo alla dimostrazione di un fatto determinato (Cass., sentt. n. 11013 del 2004, n. 15181 del 2003, n. 16069 del 2001).

2.3. – Nella specie, la Corte di merito ha esaminato minuziosamente il materiale probatorio emergente dalla istruttoria disposta in primo grado, soffermandosi in modo dettagliato sul contenuto delle due cartelle cliniche riferite ai ricoveri della V. risalenti al *****, ed ha rilevato che esso trovava riscontro nelle deposizioni testimoniali rese. Ha quindi esaminato le risultanze della c.t.u., del tutto concordanti con esse, e, da ultimo, e solo ad ulteriore suffragio del proprio convincimento, ha fatto non scorrettamente riferimento agli accertamenti eseguiti dal consulente del P.M. nel corso del procedimento penale a carico della D. per circonvenzione di incapace.

3. – Con il secondo motivo si denuncia la violazione degli artt. 2697 e 2727 cod. civ.. In mancanza della prova diretta della incapacità di intendere e di volere della V. antecedentemente al primo ricovero, si sarebbe fatto ricorso ad una mera praesumptio de praesumpto, in cui si sarebbe sostanziata l’affermata prova indiretta, in realtà insussistente, poichè la cosiddetta prova indiretta in subiecta materia presupporrebbe una prova certa della incapacità del soggetto in un momento storico precedente il tempo di riferimento, ed identica prova diretta della ridotta capacità in un momento successivo.

4.1. – Il motivo non può trovare ingresso nel giudizio di legittimità.

4.2. – Esso, invero, attraverso la invocazione di alcune norme codicistiche in tema dì valutazione delle prove, è sostanzialmente volto a sottoporre a critica il governo che del suo potere discrezionale nell’apprezzamento del materiale probatorio ha fatto il giudice di secondo grado: ciò che è inibito nella presente sede di legittimità in presenza di adeguata e congrua ricostruzione da parte del giudice di merito – come è avvenuto nella specie – delle fonti del proprio convincimento, e di valida motivazione della valutazione operata.

5. – La terza doglianza ha ad oggetto la omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia, nonchè la mancata valutazione di elementi di prova contrari all’accertamento della sussistenza dell’incapacità di intendere e di volere dell’appellata. Avrebbe errato la Corte di merito nel valutare lo stato psichico della V., quale emergente da alcune deposizioni testimoniali, come il fatto secondario certo dal quale inferire il fatto principale della incapacità di intendere e di volere della stessa al momento della donazione, senza considerare altri elementi obiettivi di assoluta rilevanza, e di segno opposto, quali, tra l’altro, il verbale di udienza dell’11 aprile 1990 innanzi al Pretore di Bassano, chiamato a decidere sulla istanza di interdizione della V. proposta dalle nipoti della stessa, dal quale risulterebbe che il magistrato aveva rilevato che la donna appariva lucida e ben orientata; o il mandato conferito nel marzo 2001 al legale di difenderla nei giudizi contro la D. ed i B.; o ancora la limitazione dell’oggetto della donazione alla nuda proprietà; il contratto di locazione concluso in data ***** tra la V. e la nipote; il mini meritai test cui era stata sottoposta la donna all’epoca del suo primo ricovero, dal quale sarebbe risultato che la sua condizione era ai limiti della normalità; la circostanza che detto ricovero fosse stato sollecitato dalla stessa D..

6. – Anche tale censura si rivela inammissibile, sol che si consideri che con essa si intende sostituire ai criteri di selezione del materiale probatorio da apprezzare utilizzati dal giudice di merito quelli ritenuti prevalenti dai ricorrenti. Una siffatta operazione è, invece, inibita in sede di legittimità, trovando applicazione al riguardo il consolidato principio giurisprudenziale secondo il quale la valutazione delle prove, e con essa il controllo sulla loro attendibilità e concludenza, e la scelta, tra le varie risultanze istruttorie, di quelle ritenute idonee ad acclarare i fatti oggetto della controversia, sono rimessi al giudice del merito, e sono sindacabili in cassazione solo sotto il profilo della adeguata e congrua motivazione che sostiene la scelta nell’attribuire valore probatorio ad un elemento emergente dall’istruttoria piuttosto che ad un altro.

In particolare, ai fini di una corretta decisione adeguatamente motivata, il giudice non è tenuto a dare conto in motivazione del fatto di aver valutato analiticamente tutte le risultanze processuali, nè a confutare ogni singola argomentazione prospettata dalle parti, essendo, invece, sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l’iter logico seguito nella valutazione degli stessi per giungere alle proprie conclusioni, implicitamente disattendendo quelli morfologicamente incompatibili con la decisione adottata. In tema di valutazione delle prove, infatti, nel nostro ordinamento, fondato sul principio del libero convincimento del giudice, non esiste una gerarchia delle prove stesse, nel senso che (fuori dai casi di prova legale) esse, anche se a carattere indiziario, sono tutte liberamente valutabili dal giudice di merito per essere poste a fondamento del suo convincimento (v., ex plurimis, Cass., sentt. n. 9245 del 2007, n. 14972 del 2006, n. 22985 del 2004).

7. – Con il quarto motivo si denuncia la omessa motivazione circa punti decisivi della controversia, nonchè il mancato esame della relazione del consulente tecnico di parte. Si lamenta, in particolare, che la Corte veneta non avrebbe fornito alcuna risposta ai rilievi critici svolti da quest’ultimo in ordine alle conclusioni del c.t.u., che sarebbero state condizionate dall’erroneo convincimento che la D. fosse stata condannata per il reato di circonvenzione di incapace, laddove la sentenza emessa ex art. 444 cod. proc. pen. non potrebbe essere equiparata a quella di condanna.

Il ct. di parte aveva anzitutto censurato l’approccio scientifico del c.t.u., il quale, dopo aver affermato di non disporre di dati clinici idonei a condurre a valutazioni motivate, aveva raggiunto le proprie conclusioni esclusivamente su base deduttiva, risalendo alle condizioni mentali della V. nel ***** da quelle che erano le condizioni della stessa nel *****. Inoltre, il consulente di parte aveva riferito di precise evenienze documentali riferibili all’epoca in cui l’atto in questione era stato stipulato, e, perciò, particolarmente significative, consistenti nelle cartelle cliniche relative ai due ricoveri della V. del *****, dalle quali sarebbe desumibile una condizione mentale della donna sostanzialmente normale. Si lamenta, in definitiva, una non corretta valutazione, ed, anzi, una parziale pretermissione, di tali cartelle cliniche da parte del c.t.u., la cui contestazione da parte del consulente di parte avrebbe imposto una rinnovazione della consulenza.

8. – La censura è inammissibile, risolvendosi in una richiesta di riesame degli elementi di giudizio già valutati dal c.t.u., cui il giudice di secondo grado ha aderito in modo non acritico, pur senza soffermarsi sulle contrarie allegazioni del consulente tecnico di parte che, seppur non espressamente confutate, sono state, all’evidenza, implicitamente disattese perchè incompatibili con le conclusioni tratte.

E che l’adesione alla ricostruzione operata dal c.t.u. non sia stata immotivata è dimostrato con chiarezza dall’esame della sentenza impugnata, dalla quale risulta che la Corte veneta ha passato puntigliosamente in rassegna le produzioni documentali e le deposizioni testimoniali in atti, sottolineando che dalle prime (cartelle cliniche) fosse emerso che la V. risultava affetta da “parkinsonismo in arteriosclerotica” (cartella relativa al ricovero del *****) con alternanza di momenti di lucidità a momenti di confusione e qualche modesto segno di decadimento psichico (cartella relativa al ricovero del *****); e che tali risultanze trovavano riscontro nella deposizione di un medico che aveva visitato la donna nell’estate del ***** e poi qualche mese dopo trovandola affetta da deterioramento mentale, e di altri testi, che avevano riferito di anomalie comportamentali della stessa. La Corte ha infine concluso che tali elementi avevano condotto alla diagnosi dì incapacità mentale operata dal c.t.u..

In presenza di un siffatto quadro, deve escludersi che il giudice di secondo grado si sia attenuto acriticamente alle conclusioni della consulenza tecnica di ufficio, e ritenersi, al contrario, che egli abbia fornito corretta e congrua motivazione del proprio convincimento: con la conseguenza che in sede di legittimità non è ammissibile un riesame di tale appezzamento.

9. – Con il quinto motivo si lamenta la violazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ.. La Corte veneta, nel respingere la impugnazione della D. ritenendo che essa dovesse essere condannata alla rifusione delle spese, stante la sua partecipazione all’atto di donazione di cui si tratta, non avrebbe considerato che costei non era totalmente soccombente, essendo stata respinta la domanda di nullità ex art. 1418 cod. civ..

10.1. – Anche tale censura è inammissibile.

10.2. – E’ sufficiente, al riguardo, richiamare il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale la decisione del giudice di merito in materia di spese processuali è censurabile in sede di legittimità solo per violazione di legge, sotto il profilo della violazione del precetto di cui all’art. 91 cod. proc. civ. – che impone di condannare la parte soccombente al pagamento totale delle spese giudiziali, salvi i casi di compensazione totale o parziale delle stesse, come consentito dal successivo art. 92 cod. proc. civ. – ogni qualvolta il giudice ponga, anche parzialmente, le spese di lite a carico della parte risultata totalmente vittoriosa (v., ex plurimis, Cass., sentt. n. 12963 del 2007, n. 18757 del 2004, n. 12413 del 2003).

Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. Alla stregua del principio della soccombenza, i ricorrenti vanno condannati in solido al pagamento delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 1.700,00, di cui Euro 1.500,00 per onorari.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda Sezione civile, il 25 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2010

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