Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.20039 del 22/09/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 25509-2008 proposto da:

S.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MUZIO CLEMENTI 9, presso lo studio dell’avvocato RAGUSO GIUSEPPE, rappresentato e difeso dall’avvocato CLEMENTE NATALE, giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TOSCANA 10, presso lo studio degli avvocati PERSIANI ROMOLO e RIZZO ANTONIO, che la rappresentano e difendono, giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

V.V., MOLINO DI MARE SAS DI CAVALIERE ANNA MARIA LUISA

& C., C.A.M.L., nella qualità di socio accomandatario della società MOLINO DI MARE SAS di CAVALIERE ANNA MARIA LUISA & C.;

– intimate –

avverso la sentenza n. 537/2008 della CORTE D’APPELLO di BARI del 23.5.08, depositata il 29/05/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/05/2010 dal Consigliere Relatore Dott. PASQUALE D’ASCOLA;

udito per il ricorrente l’Avvocato Giuseppe Raguso (per delega avv. Natale Clemente) che si riporta ai motivi del ricorso;

udito per la controricorrente l’Avvocato Antonio Rizzo che si riporta ai motivi del controricorso.

E’ presente il P.G. in persona del Dott. EDUARDO VITTORIO SCARDACCIONE che nulla osserva rispetto alla relazione scritta.

FATTO E DIRITTO

La Corte di appello di Bari il 29 maggio 2 008 ha respinto l’appello proposto da S.M. avverso C.A.M., V. V. e la Molino di Mare sas di Cavaliere Anna Maria Luisa per la riforma della sentenza del tribunale di Lucera 21.8.2002. Detta pronuncia aveva rigettato sia la domanda di risarcimento danni per lavori eseguiti in un canale di deflusso delle acque, la cui comproprietà era stata acquistata nel *****; sia la domanda di accertamento della proprietà, anche per intervenuta usucapione, di detto canale. Il tribunale aveva riconosciuto all’appellante il diritto di attingimento di acque dal canale, compensando le spese di causa.

Il S. ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 24 e 29 ottobre 2008. C.A.M. ha resistito con controricorso; le altre parti sono rimaste intimate. Il giudice relatore ha avviato la causa a decisione con il rito previsto per il procedimento in camera di consiglio. La tecnica di redazione del ricorso ha indotto la relazione a individuare erroneamente un primo motivo di ricorso che era invece afferente alla sintesi dello svolgimento del processo. A pag. 12 del ricorso si legge che il primo motivo del ricorso per cassazione denuncia vizi di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 e violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. “sull’onere della prova”. Il motivo non si conclude con la formulazione del quesito di diritto, che è indispensabilmente previsto, a norma dell’art. 366 bis c.p.c., a pena di inammissibilità, per l’illustrazione di ciascun motivo nei casi previsti dall’art. 360, comma 1, nn. 1), 2), 3), e 4). Quanto alla parte di questo motivo che espone omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione all’art 360, n. 5, si rileva la mancata indicazione del fatto controverso su cui cadrebbe il vizio di motivazione. In proposito la giurisprudenza (SU n. 20603/07; Cass. 4309/08; 16528/08) ha chiarito che la censura ex art 360, n. 5 deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, per consentire una pronta identificazione delle questioni da risolvere. Anche questa omissione è sanzionata con l’inammissibilità dall’art. 366 bis c.p.c..

Analoga carenza è riscontrabile nel secondo motivo, che denuncia in rubrica violazione dell’art. 360, n. 5 (dunque un vizio di motivazione) e “omissione di pronuncia”, vizi alternativamente e congiuntamente proposti (cfr ricorso p. 20), sebbene diano luogo a censure nettamente diverse (cfr Cass. 11844/06; 24856/06). Va ricordato che è contraddittoria la denuncia, in un unico motivo, dei due distinti vizi di omessa pronuncia e di omessa motivazione su un punto decisivo della controversia. Il primo, infatti, implica la completa omissione del provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto e si traduce in una violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., che deve essere fatta valere esclusivamente a norma dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 4, non con la denuncia della violazione di norme di diritto sostanziale, ovvero del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5. Il secondo presuppone, invece, l’esame della questione oggetto di doglianza da parte del giudice di merito, seppure se ne lamenti la soluzione in modo giuridicamente non corretto, ovvero senza adeguata giustificazione e va denunciato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5. (Cass. 15882/07).

Riguardata sotto entrambi i profili, la censura è carente tanto della formulazione del quesito di diritto, quale sintesi logico giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità (SU 20360/07), quanto della chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione. Manca infatti quel momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) di cui già si è detto nell’esaminare il primo motivo.

Va aggiunto che il ricorso nel suo complesso si risolve nella inammissibile richiesta di una nuova valutazione nel merito della controversia, riproponendo, in guisa di atto rivolto a un giudice di merito, argomentazioni e richiami documentali.

Giova allora ricordare che i vizi della motivazione non possono consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in cui un valore legale è assegnato alla prova (Cass. 6064/08; 18709/07). Occorre inoltre evidenziare un ulteriore motivo di inammissibilità, costituito dalla omissione della specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti sui quali il ricorso si fonda (dell’art. 366 c.p.c., n. 6). Il gran numero di documenti e atti citati nei motivi e il continuo rinvio ad essi, oltre in alcuni casi a violare il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, imponeva tale precisazione. In tema di ricorso per cassazione, a seguito della riforma ad opera del D.Lgs. n. 40 del 2006, il novellato art. 366 cod. proc. civ. richiede la “specifica” indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, al fine di realizzare l’assoluta precisa delimitazione del “thema decidendum”, attraverso la preclusione per il giudice di legittimità1 di esorbitare dall’ambito dei quesiti che gli vengono sottoposti e di porre a fondamento della sua decisione risultanze diverse da quelle emergenti dagli atti e dai documenti specificamente indicati dal ricorrente. Nè può ritenersi sufficiente la generica indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso nella narrativa che precede la formulazione dei motivi. Si è quindi precisato che la norma suddetta, oltre a richiedere la “specifica” indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur individuato in ricorso, risulti prodotto. Tale specifica indicazione, quando riguardi un documento prodotto in giudizio, postula che si individui dove sia stato prodotto nelle fasi di merito e, in ragione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, anche che esso sia prodotto in sede di legittimità (SU 28547/08).

Discende da quanto esposto la declaratoria di inammissibilità del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla refusione a controparte delle spese di lite liquidate in Euro 2.500 per onorari, 200 per esborsi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della seconda sezione civile tenuta, il 13 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2010

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