Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.7194 del 25/03/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 17748-2006 proposto da:

V.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PREMUDA 6, presso lo studio dell’avvocato GRAZIANI ALESSANDRO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato OLIVETTI MAURIZIO, giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA FREZZA N. 17, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati CORETTI ANTONIETTA, CORRERA FABRIZIO, SGROI ANTONINO, giusta delega in calce alla copia notificata del ricorso;

– resistente con mandato –

e sul ricorso 17755-2006 proposto da:

CASA DI CURA ***** S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PREMUDA 6, presso lo studio dell’avvocato GRAZIANI ALESSANDRO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato OLIVETTI MAURIZIO, giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA FREZZA N. 17, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati CORETTI ANTONIETTA, CORRERA’ FABRIZIO, SGROI ANTONINO, giusta delega in calce alla copia notificata del ricorso;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza non definitiva n. 520/05 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA depositata il 13/07/05 e avverso la sentenza definitiva n. 995/2005 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 13/01/2006 R.G.N. 670/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/02/2010 dal Consigliere Dott. PIETRO CURZIO;

udito l’Avvocato GRAZIANI ALESSANDRO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE Ignazio che ha concluso per: accoglimento del ricorso V., rigetto del ricorso CASA DI CURA ***** S.R.L..

FATTO E DIRITTO

La Casa di cura ***** srl, in persona del suo amministratore delegato V.L., e quest’ultimo di persona, con distinti ricorsi chiedono l’annullamento di due sentenze, la prima non definitiva, la seconda definitiva, emesse, nella medesima controversia, dalla Corte d’Appello di Venezia e pubblicate il 13 luglio 2005 e il 13 gennaio 2006.

La vicenda giudiziaria nasce con tre opposizioni nei confronti di un decreto ingiuntivo e di una ordinanza ingiunzione per omissioni contributive proposte, le prime due, dalla srl, la terza dall’amministratore delegato in persona, V.L.. I ricorsi vennero riuniti e decisi con sentenza del Pretore di Padova, che accolse in parte le opposizioni, revocò decreto ed ordinanza e restrinse la condanna al pagamento in favore dell’INPS a solo alcune delle voci oggetto dei provvedimenti ingiuntivi (quelle relative ai punti n. 5 e 6 del verbale ispettivo INPS), compensando le spese per tre quarti e condannando gli opponenti al pagamenti del quarto residuo. L’INPS propose appello, chiedendo il rigetto integrale dell’opposizione. Gli opponenti proposero appello incidentale.

La Corte con le due sentenze in sequenza, non definitiva e definitiva, riformò in parte la decisione di primo grado, accogliendo in parte l’appello principale dell’INPS. All’esito dei due gradi del giudizio risultavano confermati i seguenti capi delle richieste dell’INPS (e rigettate le relative opposizioni):

a) natura subordinata del rapporto di lavoro con il direttore sanitario e conseguente obbligo di versare all’INPS i contributi (negato dal tribunale e riconosciuto dalla Corte in accoglimento dell’appello dell’INPS).

b) Obbligo di versare all’INPS i contributi sulle differenze retributive tra quanto versato alle Suore della ***** e le retribuzioni minime previste dalla contrattazione collettiva (riconosciuto dal tribunale e confermato dalla Corte respingendo l’appello incidentale).

c) Obbligo di versare all’INPS i contributi sul lavoro straordinario svolto dal dott. T. (riconosciuto dal tribunale e confermato dalla Corte respingendo l’appello incidentale).

I ricorrenti chiedono la cassazione della sentenza della Corte per quattro motivi (del tutto coincidenti, nonostante la duplicità dei ricorsi).

L’INPS ha depositato atto di delega.

II primo motivo concerne la posizione del direttore sanitario. Si assume che la Corte, nel qualificare il rapporto di natura subordinata;avrebbe violato la legge e deciso con vizio di omessa, insufficiente contraddittoria motivazione.

La Corte di Venezia ha ritenuto (pagg. 16-18 della sentenza) la subordinazione richiamando la normativa sul direttore sanitario delle Case di cura dettata dalla L. n. 132 del 1968, art. 53 e della L.R. del Veneto n. 68 del 1985. Gli elementi a sostegno della natura subordinata del rapporto secondo la Corte sono i seguenti. Le funzioni di natura tecnico-organizzativa (organizzare e coordinare i servizi sanitari, i turni di servizio del personale, seguire gli acquisti delle attrezzature, esercitare il potere gerarchico e disciplinare del personale) si pongono necessariamente come strettamente inseriti nell’organizzazione sanitaria e funzionali alla stessa produttività della struttura, con i corollari della presenza quotidiana e della responsabilità nei confronti della proprietà.

Questo in generale. In particolare poi nella Casa di cura ***** il direttore sanitario redigeva anche le circolari e comunicazioni per il personale e (pur non esercitando direttamente il potere disciplinare segnalava liberamente le manchevolezze accertate a carico del personale, dando impulso all’azione disciplinare.

La situazione così ricostruita è del tutto sovrapponibile a quella oggetto di altra decisione della medesima Corte riguardante il direttore sanitario di un’altra clinica della medesima regione. I concetti e le espressioni usate per affermare la natura subordinata del rapporto sono identici.

Non può di conseguenza che ribadirsi quanto già affermato nella sentenza di questa Sezione della Corte di cassazione n. 5645 del 2009, che puntualizzò quanto segue: “si discute tra le parti se il direttore sanitario di una casa di cura privata debba essere legato con la società proprietaria della struttura da un rapporto di lavoro subordinato o autonomo. La questione non merita di essere posta in termini assoluti, poichè le funzioni attribuite al direttore sanitario possono formare oggetto sia di un rapporto di lavoro subordinato che di un rapporto di lavoro autonomo, atteso che nessuna norma di legge impone l’adozione di un determinato tipo di rapporto e che non vi sono ragioni che possano indurre a ritenere che le mansioni del direttore sanitario rientrino ontologicamente in una delle due tipologie.

La L. 2 febbraio 1968, n. 132, art. 53, dispone che ogni casa di cura privata deve avere un direttore sanitario responsabile che risponde personalmente al medico provinciale (ora alla ASL) dell’organizzazione tecnico – funzionale e del buon andamento dei servizi igienico – sanitari.

La L.R. Veneto 30 dicembre 1985, n. 68, art. 23, dispone che ogni casa di cura privata deve avere un direttore sanitario responsabile dell’organizzazione tecnico sanitaria sotto il profilo igienico e organizzativo nei confronti dell’amministrazione e dell’autorità sanitaria competente. La norma precisa che al direttore sanitario di una casa di cura di oltre 150 posti letto “è vietata ogni attività di diagnosi e cura”, consentite invece nelle strutture di dimensioni inferiori. Precisa infine che “la funzione di direttore sanitario è incompatibile con la qualità di proprietario, socio o azionista della casa di cura privata”. L’art. 24 stabilisce i requisiti del direttore sanitario ed il successivo art. 25, ne specifica le attribuzioni.

La legge regionale non prevede per il direttore sanitario di casa di cura privata la necessità di un particolare tipo di rapporto di lavoro, mentre il precedente art. 17, prevede per il personale medico la possibilità sia di un rapporto di lavoro subordinato che autonomo, in forma di collaborazione continuativa e coordinata. Al direttore sanitario di casa di cura privata non è applicabile il disposto del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 3 bis, comma 8, introdotto dal D.Lgs. 19 giugno 1999, n. 229, art. 3, il quale dispone che il rapporto di lavoro del direttore sanitario delle unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere è regolato da contratto di diritto privato, di durata non inferiore a tre e non superiore a cinque anni, stipulato in osservanza delle norme del titolo terzo del libro 5^ del c.c. Detta norma statale, diretta a regolare le mansioni ed i rapporti di lavoro degli organi amministrativi e tecnici di strutture ben più ampie e compiesse di una clinica privata, non è applicabile a queste ultime neppure in via analogica, non essendovi alcuna lacuna da colmare, vista la dettagliata normativa regionale.

Poichè nè la legge statale nè quella regionale impongono per i direttore sanitario di casa di cura privata l’adozione di un particolare tipo di rapporto di lavoro, la controversia può essere risolta avendo riguardo al contratto stipulato dalle parti ed al l’nomen iuris da queste indicato, oltre che a comportamenti di fatto da queste tenuto nello svolgimento del rapporto. Tenendo conto che la prestazione di una attività è un connotato comune alla obbligazione sia del lavoratore subordinato che di quello autonomo e che i criteri distintivi delle due tipologie contrattuali sono stati dettagliatamente precisati dal giurisprudenza.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte l’elemento decisivo che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato dal lavoro autonomo è l’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro ed il conseguente inserimento del lavoratore in modo stabile ed esclusivo nell’organizzazione aziendale. Costituiscono poi indici sintomatici della subordinazione, valutabili dal Giudice del merito sia singolarmente che complessivamente, l’assenza del rischio di impresa, la continuità della prestazione, l’obbligo di osservare un orario di lavoro, la cadenza e la forma della retribuzione, l’utilizzazione di strumenti di lavoro e lo svolgimento della prestazione in ambienti messi a disposizione dal datore di lavoro (vedi tra le tante Cass. n. 21028/2006, n. 4171/2006, n. 20669/2004).

Ai fini della distinzione tra lavoro subordinato e lavoro autonomo non si può comunque prescindere dalla volontà delle parti contraenti e sotto questo profilo va tenuto presente il nomen iuris utilizzato, il quale però non ha mai un rilievo assorbente, poichè deve tenersi conto, sul piano della interpretazione della volontà delle parti, del comportamento complessivo delle stesse, anche posteriore alla conclusione del contratto, con la conseguenza che in caso di contrasto tra dati formali e dati fattuali relativi alle modalità della prestazione, occorre dare prevalenza ai secondi (Cass. n. 13884/2004).

In presenza di una espressa volontà negoziale delle parti, della cui spontaneità e non dissimulazione non vi è ragione di dubitare, è possibile affermare la sussistenza di un diverso schema negoziale soltanto sulla base di un inequivoco comportamento delle parti che dimostri la successiva formazione di una diversa volontà negoziale.

Spetta dunque al Giudice di merito accertare in maniera rigorosa se tutto quanto dichiarato nel documento contrattuale si sia poi tradotto nella realtà fattuale attraverso un coerente comportamento delle parti, ovvero se quest’ultimo possa ragionevolmente indurre a ravvisare la formazione di una diversa volontà negoziale (Cass. n. 9264/2007).

Nel caso di specie risulta dalla parte narrativa della sentenza impugnata, e non è contestato, che tra la casa di cura ed il direttore sanitario è stato stipulato un contratto di lavoro autonomo di collaborazione professionale in forma continuativa e coordinata.

La Corte di Appello, dopo aver richiamato la giurisprudenza di legittimità sui criteri distintivi del lavoro subordinato, e dopo aver preso atto che le parti avevano stipulato un contratto di collaborazione professionale, ha ritenuto che la prestazione di lavoro del direttore sanitario dovesse essere qualificata come subordinata per la sola circostanza che “le funzioni di natura tecnico – organizzativa del direttore sanitario … si pongono necessariamente come strettamente inseriti nell’organizzazione sanitaria e funzionali alla stessa produttività della struttura con i conseguenti corollari … della necessità di una presenza quotidiana e della responsabilità nei confronti della proprietà. La Corte territoriale in sostanza ha ritenuto che le mansioni assegnate al direttore sanitario (organizzazione del lavoro dei sanitari, vigilanza sul comportamento del personale, proposta di provvedimenti disciplinari all’amministrazione ecc.) di per se non possono che inerire ad un rapporto di lavoro subordinato perchè “strettamente inseriti nell’organizzazione sanitaria e funzionali alla stessa produttività della struttura”.

Al riguardo deve però osservarsi che la presenza di un collegamento funzionale del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa con l’organizzazione imprenditoriale del datore di lavoro non fa venir meno il requisito dell’autonomia che caratterizza detto rapporto e che ne determina la disciplina sostanziale. E’ stato rilevato in dottrina che l’inserimento del prestatore nell’organizzazione aziendale sotto forma di collaborazione coordinata e continuativa è stato previsto dal legislatore come elemento di atipicità che l’autonomia delle parti può legittimamente introdurre nei contratti di lavoro autonomo. D’altro canto la necessità di una presenza quotidiana nella struttura per l’espletamento dei propri compiti e la responsabilità verso l’amministrazione sono elementi non esclusivi del rapporto di lavoro subordinato, che ricorrono anche nel lavoro autonomo. Gli elementi evidenziati dalla Corte territoriale per affermare la natura subordinata del rapporto non sono dunque di per se solo idonei a sostenere la decisione.

Dalla motivazione della sentenza impugnata non risulta, peraltro, che i Giudici di appello abbiano posto in dubbio la volontà delle parti di stipulare un contratto di collaborazione professionale autonoma.

In presenza di una non equivoca manifestazione di volontà delle parti in tal senso è mancata da parte dei Giudice di appello una valutazione del materiale probatorio raccolto al fine di stabilire se il comportamento delle medesime parti, contemporaneo o successivo al contratto, possa ragionevolmente far ritenere che il rapporto di fatto si sia svolto nelle forme della subordinazione, per la ricorrenza degli elementi caratteristici di tale forma negoziale, come evidenziati dalla giurisprudenza sopra richiamata. La motivazione della sentenza impugnata si presenta dunque viziata da manifesta insufficienza”. Per queste stesse ragioni il primo motivo di ricorso deve essere accolto. Al contrario, non devono essere accolti il secondo ed il terzo motivo. Il secondo motivo concerne i contributi relativi al rapporto di lavoro delle Suore impiegate nella clinica. Le suore percepiscono, in base ad una convenzione, salari inferiori rispetto a quelli previsti dalla contrattazione collettiva.

L’INPS sostiene che la datrice di lavoro deve pagare i contributi anche sulle differenze tra il salario percepito dalla suore e quello più elevato fissato dalla contrattazione collettiva di settore.

Tribunale e Corte d’Appello hanno dato ragione all’INPS. La soluzione, in effetti, non può che essere questa, alla luce di quanto disposto in materia dal D.L. n. 338 del 1989, art. 1 convertito nella L. n. 389 del 1989, che così si esprime: “La retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi di previdenza e di assistenza sociale non può essere inferiore all’importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, ovvero da accordi collettivi o contratti individuali, qualora ne derivi una retribuzione di importo superiore a quello previsto dal contratto collettivo. In questo caso il contratto individuale non prevede una retribuzione più elevata, bensì meno elevata rispetto al contratto collettivo, che quindi deve essere assunto come elemento di riferimento per il calcolo dei contributi.

Il terzo motivo attiene ai contributi sul lavoro straordinario svolto dal medico T..

La sentenza della Corte, che conferma anche sul punto la decisione del Tribunale, è adeguatamente motivata e il tema è prettamente di merito.

Il quarto motivo concerne la ripartizione delle spese. Non può essere oggetto di valutazione perchè la decisione sulle spese dovrà essere integralmente ripensata dal giudice di rinvio, all’esito della decisione sul motivo di ricorso accolto.

In conclusione, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto (primo motivo) e la causa rinviata per un nuovo esame ad altro Giudice, designato in dispositivo, che, nella valutazione del materiale probatorio raccolto, si atterrà ai principi di diritto sopra enunciati. Il giudice di rinvio provvederà anche al regolamento delle spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, accoglie il primo motivo di entrambi, rigetta il secondo ed il terzo di entrambi, assorbito il quarto.

Cassa in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Trieste anche per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2010

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