Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.9325 del 20/04/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI NANNI Luigi Francesco – Presidente –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 3616/2006 proposto da:

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA in persona del Ministro in carica, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui è

difeso per legge;

– ricorrente –

contro

G.G. *****, G.O.

*****, V.M. *****, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GREGORIO VII 269, presso lo studio dell’avvocato TESTORI Carlo, che li rappresenta e difende giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 4157/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA, Sezione Prima Civile, emessa il 21/9/2005, depositata il 03/10/2005, R.G.N. 8011/2003;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 11/03/2010 dal Consigliere Dott. ADELAIDE AMENDOLA;

udito l’Avvocato CARLO TESTORI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione notificata il 5 marzo 1999 G.G., G.O. e V.M.G. convenivano in giudizio innanzi al Tribunale di Roma il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, per ivi sentirlo condannare al risarcimento dei danni subiti da G.G. il giorno *****, allorchè, nell’eseguire, durante l’ora di educazione fisica, un salto in alto, con caduta di spalle, aveva riportato lesioni.

Resisteva il Ministero, che contestava l’avversa pretesa, sostenendo che l’infortunio si era verificato per cause imprevedibili.

Con sentenza dell’11 giugno 2002 il giudice adito condannava il Ministero al pagamento della somma di Euro 13.149,08, oltre accessori.

Proposto gravame principale dal Ministero e incidentale dai G. e dalla V., la Corte d’appello di Roma, in data 3 ottobre 2005, accoglieva) l’appello principale e in parte l’appello incidentale e, alla stregua di quanto specificato in motivazione, conferma(va) il dispositivo della sentenza appellata.

Così motivava il decidente la scelta decisoria adottata.

Erroneamente il giudice di prime cure aveva fondato la sua decisione sulla presunzione di responsabilità del precettore e sulla carenza della prova liberatoria richiesta dall’art. 2048 cod. civ.. Tale norma, infatti, non disciplina l’ipotesi del danno che l’allievo, con la propria condotta, provochi a se stesso, ma solo quella del danno cagionato a un terzo dal fatto illecito dell’allievo.

Posto tuttavia che gli appellati, con l’appello incidentale, avevano chiesto, per il caso che si fosse ritenuta inapplicabile la presunzione di cui alla norma codicistica innanzi richiamata, l’affermazione della responsabilità contrattuale del convenuto, andava confermato il dispositivo della sentenza appellata, essendo fondata la loro domanda: gli attori avevano invero dimostrato che l’evento dannoso si era verificato durante lo svolgimento della lezione di educazione fisica; era inoltre certo il nesso causale tra il salto richiesto dall’insegnante e le lesioni subite dall’allievo, mentre la controparte non aveva provato nè l’impossibilità di impedire l’evento, nè la predisposizione di misure adeguate ad evitare la situazione di pericolo. Non mancava infine di evidenziare la Corte che nessuna mutatio libelli era dato riscontrare nella formulazione dell’appello incidentale, avendo gli appellati correlato la loro domanda allo svolgimento dei fatti che avevano dato luogo all’infortunio, senza alcun riferimento alla normativa applicabile.

Avverso detta pronuncia propone ricorso per cassazione il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, articolando un unico motivo.

Resistono con controricorso G.G., G.O. e V.M.G..

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con un unico motivo l’impugnante lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 345 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, perchè nell’atto introduttivo del giudizio gli attori avevano sostenuto la responsabilità dell’insegnante, e per esso del Ministero, sulla base del disposto dell’art. 2048 cod. civ., e, in ogni caso, del principio generale del neminem laedere, di cui all’art. 2043 cod. civ., laddove con l’appello incidentale, operando una inammissibile mutatio libelli, avevano posto a fondamento della loro domanda la responsabilità contrattuale.

2. Osserva il collegio che la censura è, per certi aspetti inammissibile, per altri infondata.

E’ anzitutto giuridicamente corretta la qualificazione della responsabilità dell’istituto scolastico operata dalla Corte territoriale.

E’ ormai affermazione consolidata nella giurisprudenza di legittimità che, in caso di danno cagionato dall’alunno a se stesso, la responsabilità dell’istituto scolastico e dell’insegnante non ha natura extracontrattuale, bensì contrattuale, atteso che – quanto all’istituto l’accoglimento della domanda di iscrizione determina l’instaurazione di un vincolo negoziale, dal quale sorge l’obbligazione dell’Istituto di vigilare sulla sicurezza e sull’incolumità del discepolo nel tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni; e quanto al precettore – che tra insegnante e allievo si instaura, per contatto sociale, un rapporto giuridico nell’ambito del quale il prime assume, nel quadro del complessivo obbligo di istruire ed educare, anche uno specifico obbligo di protezione e vigilanza, onde evitare che l’alunno si procuri da solo un danno alla persona. Ne deriva che, nelle controversie instaurate per il risarcimento del danno da autolesione nei confronti dell’istituto scolastico e dell’insegnante, è applicabile il regime probatorio imposto dall’art. 1218 cod. civ., sicchè, mentre l’attore deve provare che il danno si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto, sull’altra parte incombe l’onere di dimostrare che l’evento dannoso è stato determinato da causa non imputabile nè alla scuola nè all’insegnante (Cass. civ. 18 novembre 2005 n. 24456).

Pacifico, dunque, che la disciplina di riferimento è stata correttamente enucleata dal giudice a quo, ciò di cui si duole la difesa erariale è che la responsabilità contrattuale dell’amministrazione sia stata evocata solo in sede di gravame, avendo per contro gli attori in citazione fondato la loro pretesa sul disposto dell’art. 2048 cod. civ..

Ora, come esposto innanzi, il giudice di secondo grado ha precisato, in parte qua, che il richiamo alla responsabilità contrattuale contenuto nell’appello incidentale non poteva ritenersi processualmente precluso perchè gli attori nell’atto introduttivo avevano correlato la loro domanda risarcitoria alla mera eziologia dell’incidente.

L’affermazione è in linea con quanto già enunciato da questa Corte:

è stato invero ritenuto che, se la parte che agisce in via risarcitoria deduce a sostegno della propria domanda fatti che possono indifferentemente comportare responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, il suo esclusivo riferimento alle norme sulla responsabilità extracontrattuale non impedisce al giudice di qualificare diversamente la domanda a condizione che i fatti coincidano con quelli dedotti dalla parte e non vengano in rilievo elementi di differenziazione della disciplina delle due forme di responsabilità sui quali non si sia formato il contraddittorio (confr. Cass. civ. 11 maggio 2007, n. 10830). E in tale prospettiva non è superfluo evidenziare che nessuna lesione, in concreto, delle garanzie difensive si è verificata nè poteva, in ipotesi verificarsi, posto che, a ben vedere, in tema di responsabilità dei soggetti obbligati alla sorveglianza di minori, nel caso di danno cagionato dall’alunno a se stesso, sia che si invochi la presunzione di responsabilità sancita dell’art. 2048 cod. civ., comma 2, sia che si configuri la responsabilità come di natura contrattuale, la ripartizione dell’onere della prova non muta, poichè il regime probatorio desumibile dall’art. 1218 cod. civ., impone che, mentre l’attore deve provare che il danno si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto, all’altra parte spetta dimostrare che l’evento dannoso è stato determinato da causa non imputabile all’obbligato (confr. Cass. civ. 31 marzo 2007, n. 8067).

3 Tanto esposto in punto di insussistenza, nei fatti, di qualsivoglia violazione delle regole del contraddittorio, osserva il collegio che il motivo è comunque inammissibile, in quanto gravemente carente sotto il profilo dell’autosufficienza, non avendo il ricorrente specificato, attraverso l’esatta indicazione e riproduzione degli atti di causa, dove, quando e in che termini gli attori avevano richiamato le norme sulla responsabilità aquiliana, così affidando in definitiva alla Corte il compito di verificare la rispondenza al vero delle sue allegazioni.

Il ricorso è respinto. Segue la condanna del pagamento delle spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in complessivi Euro 2.200,00 (di cui Euro 200,00 per spese), oltre I.V.A. e C.P.A., come per legge.

Così deciso in Roma, il 11 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 20 aprile 2010

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