Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.1885 del 27/01/2011

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 9689/2005 proposto da:

G.M., S.A. *****, elettivamente domiciliate in ROMA, VIA BERTOLONI 26/B, presso lo studio dell’avvocato PIERMARTIRI Enrico, che le rappresenta e difende unitamente agli avvocati MIONE PAOLO, PICCI GIUSEPPE;

– ricorrenti –

contro

V.E. *****, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA S. TOMMASO D’AQUINO 116, presso lo studio dell’avvocato CASTELLANO Adriano, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato LAZZONI GIUSEPPE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 905/2004 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 25/11/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 30/09/2010 dal Consigliere Dott. ETTORE BUCCIANTE;

udito l’Avvocato Stefano FIORELLI, con delega depositata in udienza dell’Avvocato Adriano CASTELLANO, difensore della resistente che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SCARDACCIONE Eduardo Vittorio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato il 13 novembre 1996 S.A. e G.M., quali potenziali eredi legittime della defunta loro sorella Sp.Ar., citarono davanti al Tribunale della Spezia V.E., A.G. e A.P., chiedendo che fosse dichiarato invalido, per incapacità naturale, il testamento pubblico del 19 giugno 1995, con cui la de cuius aveva chiamato a succederle la prima convenuta e in caso di sua premorienza gli altri due. La domanda fu contrastata nel merito sia da V. E. sia da A.G. e A.P., i quali ultimi eccepirono altresì il proprio difetto di legittimazione passiva.

Con sentenza del 21 maggio 2002 il Tribunale dichiarò non legittimati passivamente A.G. e A.P. e rigettò la domanda nei riguardi di V.E..

Impugnata nei confronti della sola V.E. dalle soccombenti, la decisione è stata confermata dalla Corte d’appello di Genova, che con sentenza del 25 novembre 2004 ha rigettato il gravame.

S.A. e G.M. hanno proposto ricorso per cassazione, in base a tre motivi.

V.E. si è costituita con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con i primi due motivi di ricorso S.A. e G. M. si dolgono del mancato accoglimento della loro richiesta di ammissione della prova testimoniale che avevano dedotto, per dimostrare che Sp.Ar. versava in stato di incapacità naturale al momento della formazione del testamento.

La censura va disattesa.

In proposito la Corte d’appello ha rilevato che l’istanza istruttoria di cui si tratta, formulata nel corso del giudizio di primo grado, era stata respinta dal giudice istruttore e non riproposta in sede di precisazione delle conclusioni, sicchè non poteva avere ingresso in sede di gravame. Il richiamo all’art. 208 c.p.c., contenuto nella sentenza impugnata, è effettivamente incongruo, come le ricorrenti deducono, ma si tratta di una improprietà – probabilmente dovuta a un lapsus di digitazione – che non inficia la correttezza della decisione, stante la sua conformità alla costante giurisprudenza di legittimità (v., tra le più recenti, Cass. 14 ottobre 2008 n. 25157) secondo cui “la parte che si sia vista rigettare dal giudice di primo grado le proprie richieste istruttorie ha l’onere di reiterarle al momento della precisazione delle conclusioni, poichè, diversamente, le stesse dovranno ritenersi abbandonate e non potranno essere riproposte in appello”. Sarebbe stato quindi necessario che l’istanza in questione fosse stata specificamente rinnovata all’atto della precisazione delle conclusioni, nè quindi può essere considerata implicita, come le ricorrenti sostengono, nella semplice ripetizione della domanda di merito, diretta ad ottenere la dichiarazione di invalidità del testamento di Sp.Ar..

Con il terzo motivo di ricorso S.A. e G.M. lamentano che la Corte d’appello non ha disposto la consulenza tecnica di ufficio da loro richiesta, la cui opportunità e necessità era desumibile dalla “corposa documentazione medica” che avevano prodotto, a sostegno della tesi dell’incapacità della de cuius all’epoca della redazione dell’atto di ultima volontà.

Neppure questa censura può essere accolta, poichè le ricorrenti non hanno adempiuto l’onere – da cui erano gravate, in forza del principio di “autosufficienza” – di trascrivere o quanto meno indicare il preciso contenuto dei documenti da cui, a loro dire, sarebbe risultata l’utilità di una indagine peritale in ordine alle condizioni di mente della testatrice.

Il ricorso viene pertanto rigettato, con conseguente condanna delle ricorrenti – in solido, stante il loro comune interesse nella causa – a rimborsare alla resistente le spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in 200,00 Euro, oltre a 3.000,00 Euro per onorari, con gli accessori di legge.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna le ricorrenti in solido a rimborsare alla resistente le spese del giudizio di cassazione, liquidate in 200,00 Euro, oltre a 3.000,00 Euro per onorari, con gli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 30 settembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2011

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