Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.1894 del 27/01/2011

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 9951-2005 proposto da:

M.A. *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NAPOLEONE III 75, presso lo studio dell’avvocato BESI ALFREDO, rappresentato e difeso dall’avvocato CARBONARA ANTONELLO;

– ricorrente –

contro

C.E. *****, T.S.

*****, elettivamente domiciliate in ROMA, VIA PAOLO EMILIO 71, presso lo studio dell’avvocato MARCHETTI ALESSANDRO, che le rappresenta e difende;

– controricorrenti –

e contro

C.P.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 188/2004 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 16/04/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/11/2010 dal Consigliere Dott. PASQUALE D’ASCOLA;

udito l’Avvocato ALFREDO BESI con delega dell’avvocato CARBONARA ANTONELLO difensore del ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DESTRO CARLO che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Nel novembre 1991 i signori E. e C.P. e T.S. chiedevano la reintegrazione nel possesso di un fondo sito in località valle ***** nel quale si era abusivamente introdotto M.A..

Lamentavano il taglio di alcuni alberi e l’esecuzione di movimenti di terra.

La domanda veniva respinta dal pretore di L’Aquila il 19 maggio 1998.

La Corte d’appello locale con sentenza 16 aprile 2004 riformava la decisione, in quanto riteneva sussistente in atti la prova del possesso e dello spoglio, fornita essenzialmente a mezzo di testimonianze.

L’appellato soccombente ha proposto con unico motivo tempestivo ricorso per cassazione, al quale C.E. e T.S. hanno resistito con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il M. deduce che la motivazione della sentenza aquilana sarebbe viziata perchè apoditticamente ha attribuito preferenza alle testimonianze che hanno riferito di “ripetuti e costanti atti di coltivazione del fondo con particolare riferimento alla cura degli alberi e alla raccolta dei frutti” e non invece ad altre testimonianze. Queste ultime, riferisce lo stesso ricorso, avrebbero riportato che in paese esisteva la “diffusa convinzione” che si trattasse di un fondo abbandonato.

La censura è manifestamente priva di fondamento. Giova chiarire che quanto alle deposizioni dei testi indotti dalle parti, è inammissibile in sede di legittimità la rivalutazione delle testimonianze sollecitata in ricorso. Ciò in primo luogo per il vizio di autosufficienza di quest’ultimo, che non contiene l’integrale trascrizione di detti atti – indispensabile perchè il controllo deve essere consentito alla Corte sulla base delle sole deduzioni contenute nel ricorso, senza necessità di indagini integrative (Cass 11886/06; 8960/06; 7610/06) -. In secondo luogo perchè i vizi della motivazione non possono consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in cui un valore legale è assegnato alla prova (Cass. 6064/08;

18709/07).

Nella specie dalla stessa sintesi sopraesposta emerge come le risultanze alle quali la Corte territoriale ha dato preferenza fossero ancorate a specifici atti di manifestazione del possesso – e dunque fossero circostanziate e mnemonicamente verificabili; per contro le deposizioni indotte dal ricorrente avrebbero solo dato conto di una diceria, di una opinione popolare, senza poter negare l’esistenza di comportamenti atti a esercitare il possesso del bene, possesso il cui esercizio era da intendere ovviamente in relazione alla consistenza del bene.

Pertanto per mantenere il possesso su un vecchio e poco produttivo noceto erano sufficienti pochi e brevi atti, non necessitando di una presenza costante e assidua sul fondo.

Irrilevanti restano le considerazioni relative all’errore nella lettura dei documenti che avrebbero indotto la Corte a ritenere la sussistenza della proprietà in capo a un avo C.. Ciò va affermato, sia perchè la sentenza vi ha fatto esplicito riferimento solo ad abundantiam, sia perchè l’assetto proprietario del bene non incide di regola sulla tutela del possesso.

Segue da quanto esposto il rigetto del ricorso e la condanna di parte soccombente alla refusione delle spese di lite in favore dei controricorrenti costituiti, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite liquidate in favore di controparte in Euro 2.000 di cui 1800 per onorari e 200 per esborsi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 18 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2011

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