LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ODDO Massimo – Presidente –
Dott. BURSESE Gaetano Antonio – rel. Consigliere –
Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –
Dott. MANNA Felice – Consigliere –
Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 13100-2005 proposto da:
S.A.N., S.O.P. C.F.
*****, in qualità di eredi di S.P., elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE REGINA MARGHERITA 278, presso lo studio dell’avvocato GIOVE STEFANO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato FUGAZZOLA FRANCESCO;
– ricorrenti –
contro
R.F. C.F. *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 38, presso lo studio dell’avvocato MONZINI MARIO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato DONADONI PIETRO;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 327/2004 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 03/04/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/11/2010 dal Consigliere Dott. GAETANO ANTONIO BURSESE;
udito l’Avvocato Monzini Mario difensore del resistente che ha chiesto l’accoglimento delle proprie conclusioni depositate in atti;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. LETTIERI NICOLA che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificato il 18.7.1996 S.P., premesso di essere proprietario in ***** di un fondo confinante con i mappali n. 587 e 5517 di proprietà di R.F. e che quest’ultimo, nel costruire una recinzione in prossimità dal confine, aveva occupato una piccola striscia di terreno di proprietà di esso attore, chiedeva, all’adito Pretore di Bergamo, di procedere all’accertamento dell’esatto confine tra i due fondi e far opporre i relativi termini. Si costituiva in giudizio il convenuto, il quale, nel contestare le avverse pretese, deduceva che l’attore aveva realizzato una scaletta ed un muro di recinzione del suo fondo che sconfinavano nella sua proprietà, per cui chiedeva in via riconvenzionale la rimozione del muretto, dicendosi altresì disponibile a pagare parte del prezzo per la costruzione della scala, ovvero il maggiore valore del fondo.
Espletata l’istruttoria della causa mediante l’assunzione dei testi ed espletamento della CTU, il Tribunale di Bergamo, con la sentenza n. 2200/2001 del 30.6/20.9.01, determinava il confine tra i due fondi e disponeva l’apposizione dei termini lungo tale confine; rigettava altresì la domanda dell’attore tesa al riconoscimento – chiesto in via subordinata – dell’avvenuto acquisto per usucapione della proprietà di quella parte del terreno su cui insistevano la scala ed il muretto, ritenendo che il S. non aveva provato il suo asserito possesso esclusivo.
Avverso la suddetta sentenza proponeva appello il S. deducendone l’erroneità per avere il giudice aderito acriticamente alle risultanze delle mappe catastali trasfuse nella CTU, omettendo di valutare gli esiti delle prove testimoniali da lui offerte, tese a comprovare un intervenuto accordo stragiudiziale in base al quale l’intera scala in calcestruzzo fungeva da confine tra le due proprietà. Si costituiva in giudizio il R. chiedendo il rigetto dell’impugnazione.
L’adita Corte d’Appello di Brescia con sentenza n. 327/04 depositata in data 3.4.2004, rigettava l’appello, confermando le precedenti statuizioni e condannando l’appellante al pagamento delle spese del grado. Ribadiva in specie che, sulla base della dichiarazione dei testi, non era stato dimostrato che tra le parti non era mai intervenuto alcun accordo amichevole in ordine alla regolamentazione dei confini in quanto detto accordo poteva al più riferirsi al posizionamento dell’erigenda scala.
S.O.P. e S.A.N. in qualità di eredi di S.P., ricorrono per la cassazione della predetta statuizione, con ricorso fondato su n. 3 censure; resiste con controricorso il R.. Le parti hanno depositato memorie illustrative ex art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo del ricorso gli esponenti denunciano la violazione e falsa applicazione del combinato disposto di cui agli artt. 950, 1068 e 2727 c.c. e art. 116 c.p.c.; nonchè la contraddittorietà ed illogicità della motivazione. Assumono di avere provato tramite testi, l’esistenza di un amichevole regolamento circa il posizionamento della scala e lo spostamento del confine, intervenuto tra l’appellante e il dante causa dell’appellato e lamentano che tale convenzione non era stata adeguatamente valutata dal tribunale seppure circostanza determinante nella prospettazione dell’attore. In forza di tale accordo in sostanza le parti avevano concordato lo spostamento ex art. 1068 c.c. della preesistente servitù di passaggio esistente sulla proprietà S. (nella parte centrale) mediante la costruzione della più comoda scala di accesso, ubicata in luogo meno gravoso per il fondo servente, attraverso la quale continuava ad esercitarsi la detta servitù di passaggio. Ciò posto, appare opportuno al Collegio passare all’esame dei terzo motivo, attesa la sua stretta correlazione con quello appena esaminato.
Con il terzo motivo gli esponenti denunciano la violazione e falsa applicazione del combinato disposto di cui agli artt. 950 e 2727 c.c. e art. 116 c.p.c.; nonchè la contraddittorietà ed illogicità della motivazione. Sostengono che proprio in forza del suddetto accordo di edificare al confine tra i due fondi la scalinata, dovrebbe “presumersi” che, contestualmente alla convenzione circa il posizionamento del predetto manufatto, le stesse parti avessero voluto individuare e riconoscere nel margine esterno verso la proprietà R. il confine tra i due fondi. Secondo i ricorrenti, interpretando correttamente il combinato disposto degli artt. 950 e 927 c.c. non può escludersi – come fa la corte d’appello – che “fra l’appellante ed il dante causa dell’appellato, non intervenne mai alcun accordo amichevole in ordine alla regolamentazione dei confini” potendosi anzi ragionevolmente presumere che in effetti, siffatta convenzione fosse realmente avvenuta. Entrambe le doglianze non hanno fondamento.
Non v’è dubbio che l’interpretazione delle emergenze istruttorie (le dichiarazione dei testi) è compito del giudice di merito, come tale incensurabile in sede di legittimità, stante la motivazione congrua e priva di vizi del giudicante. D’altra parte è d’uopo precisare che, in ogni caso, l’asserito accordo avente ad oggetto lo spostamento dei confine richiedeva pur sempre ad substantiam la forma scritta ai sensi dell’art. 1350 c.c., n. 1, mentre nella fattispecie si sarebbe trattato solo di un amichevole transazione, non consacrata da alcun atto scritto.
Passando all’esame dell’altro motivo, i ricorrenti denunziano la violazione e falsa applicazione del combinato disposto di cui agli artt. 1158, 1068 e 2727 c.c. e art. 116 c.p.c., nonchè la contraddittorietà ed illogicità della motivazione. Criticano la sentenza impugnata nel punto in cui il giudice ha escluso l’usucapione per non avere provato il S. il possesso esclusivo dell’area in contestazione: egli invero “non aveva affatto dato la prova che il suddetto passaggio avveniva in via precaria o perchè tollerato sicchè nulla escludeva che il R., forte del fatto che parte della scala insisteva sulla sua proprietà, esercitasse il passaggio in forza del diritto i proprietà”. Invece secondo gli esponenti, il R. esercitava sulla scala un saltuario passaggio ma in forza del suo diritto di passaggio (e non quale proprietario) sul fondo del S., e ciò non poteva impedire l’acquisto, da parte di quest’ultimo per usucapione della proprietà dell’area su cui insisteva la scala in questione.
Anche tale doglianza è priva di pregio. Evidentemente non può avere alcun rilevo nè alcuna giuridica conseguenza nella fattispecie in esame il titolo in base al quale il R. eserciterebbe il passaggio sulla scala, come ritengono gli esponenti. Del resto è circostanza pacifica che anche altre persone transitavano sulla scaletta in questione e che lo stesso S. non avesse provato l’animus rem sibi habendi, quanto meno sotto il profilo dell’esercizio del potere di escludere il pari godimento di altri sul bene in questione.
Conclusivamente il ricorso dev’essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 2.700,00, di cui Euro 2.500,00 per onorario, oltre spese ed accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 24 novembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2011