Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.1920 del 27/01/2011

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 1775/2006 proposto da:

RESIDENCE VERACRUZ C.F. ***** in persona dell’Amministratore in carica, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MARIANNA DIONIGI 29, presso lo studio dell’avvocato MILLI MARINA, rappresentato e difeso, giusta procura speciale alle liti per atto Avv. AMADEO Franco Notaio in Imperia il 22/11/2010 Rep. N. 143688, dall’avvocato NOVARO MAURIZIO;

– ricorrente –

contro

D.S.A.;

– intimato –

sul ricorso 6338/2006 proposto da:

D.S.A. *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COSSERIA 5, presso lo studio dell’avvocato ROMANELLI GUIDO FRANCESCO, rappresentato e difeso dall’avvocato FOLCO PAOLO;

– controrscorrente e ric. incidentale –

contro

RESIDENCE VERACRUZ;

– intimato –

avverso la sentenza n. 355/2004 del TRIBUNALE di IMPERIA, depositata il 18/12/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 14/12/2010 dal Consigliere Dott. LUCIO MAZZIOTTI DI CELSO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso previa riunione per il rigetto del ricorso principale; inammissibilità del ricorso incidentale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

D.S.A. proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso dal giudice di pace di Imperia con il quale gli era stato intimato di pagare al Residence Veracruz L. 2.752.000 a titolo di oneri condominiali relativi alla gestione e manutenzione di asseriti beni comuni. L’opponente sollevava numerose eccezioni in fatto e in diritto e chiedendo, tra l’altro, anche in via riconvenzionale dichiarasi che esso D.S. nulla doveva al Residence non essendo comproprietario dei detti pretesi beni comuni.

Il Residence Veracruz, costituitosi, chiedeva il rigetto dell’opposizione sostenendo l’infondatezza di quanto asserito dal D. S. e deducendo, tra l’altro, che: esso opposto era un supercondominio – composto da 12 palazzine tra le quali l’Orchidea – che da oltre 12 anni gestiva i beni comuni; i condomini dell’Orchidea avevano approvato di far parte del residence Vera Cruz e di partecipare alle spese di manutenzione dei bei comuni; la vendita effettuata con l’atto di acquisto dell’appartamento del D.S. comprendeva servizi, impianti e cose comuni secondo quanto precisato nel regolamento di condominio; nei confronti del D.S. valevano gli obblighi assunti dal suo dante causa nonchè quanto stabilito nel regolamento della palazzina Orchidea facente parte del complesso residenziale Vera Cruz; le parti comuni esterne alla detta palazzina erano le strade, la piscina, campo da tennis, campo di bocce, parco giochi bimbi; le spese di manutenzione di detti beni erano da ripartirsi tra i condomini.

11 giudice di pace di Imperia, con sentenza 22/8/2002, rigettava l’opposizione e la domanda riconvenzionale proposta dal Residence Vera Cruz..

Avverso la detta sentenza D.S.A. proponeva appello al quale resisteva il Residence Veracruz che spiegava appello incidentale per la parte della sentenza impugnata relativa al rigetto della domanda riconvenzionale.

Con sentenza 18/12/2004 il tribunale di Imperia, in riforma dell’impugnata decisione, revocava il decreto ingiuntivo opposto e, in parziale accoglimento dell’appello incidentale, riformava la pronuncia del giudice di pace nella parte in cui aveva rigettato la domanda riconvenzionale. La corte di appello, per quel che ancora rileva in questa sede, osservava: che era infondata l’eccezione di inammissibilità dell’appello per omessa indicazione di specifici motivi di censura alla pronuncia del giudice di pace; che le doglianze poste a base dell’opposizione a decreto ingiuntivo erano state ribadite dall’appellante al fine di censurare l’iter argomentativo del primo giudice laddove questi aveva sentenziato che l’appellante doveva ritenersi comproprietario e condomino dei servizi comuni; che il giudice di pace aveva ritenuto di individuare una domanda di revoca del decreto ingiuntivo ed una domanda di accertamento della non qualità di comproprietario del D.S., nonchè una domanda dell’opposto di accertamento di detta qualità;

che il primo giudice aveva affermato di essere incompetente a decidere le riportate contrapposte domande e di non poter decidere le prospettate questioni neppure “incidenter tantum”; che il giudice di pace sul punto non aveva emesso una pronuncia di incompetenza che non era stata eccepita dalle parti, nè rilevata di ufficio; che si era quindi in presenza di una motivazione contraddittoria; che il dispositivo non conteneva una pronuncia di incompetenza, bensì una pronuncia di rigetto della domanda riconvenzionale della opposta; che di conseguenza andava riconosciuta prevalenza a quanto enunciato nel dispositivo privo di una pronuncia di incompetenza per cui l’appellante non doveva impugnare un tal tipo di pronuncia; che l’appellante non aveva spiegato domanda volta ad accertare con efficacia di giudicato la propria estraneità alla comunità dei comproprietari del Residence Veracruz essendosi limitato a chiedere, nell’atto introduttivo del giudizio, di dichiarare non dovute le somme oggetto del decreto opposto non essendo egli nè condomino nè comproprietario dei beni; che alla luce della documentazione acquisita doveva concludersi che la palazzina Orchidea non era parte del preteso supercondominio Residence Veracruz; che, al contrario di quanto prospettato dall’appellato. il titolo costitutivo di tale supercondominio non poteva essere rinvenuto nel regolamento del condominio Orchidea o in quello generale del Residence Veracruz essendo la funzione del regolamento di condominio quella di disciplinare l’uso della cose comuni e non di costituire titolo idoneo a porre in condominio determinati beni e ciò per la necessaria preesistenza della pluriappartenenza dei beni; che il regolamento non poteva porre in comunione beni privi di tale carattere di pluriappartenenza; che, come risultava pacifico, la società Marina di Cipressa non era proprietaria nè dei terreni sui quali erano stati edificati i servizi comuni, nè di detti servizi comuni; che i terreni appartenevano alle società Costa del Sol e Costamar per cui la Marina di Cipressa non poteva trasferire ai singoli acquirenti ciò che atteneva ai detti servizi comuni; che non si poteva ravvisare il momento di costituzione del supercondominio in quello della vendita degli appartamenti ai singoli acquirenti necessitando a tal fine la partecipazione della volontà dei singoli compratori e il consenso di tutti i soggetti proprietari; che ciò non risultava essere avvenuto; che non vi era alcun espresso riferimento alla quota dei servizi comuni nel regolamento condominiale particolare nel quale erano contenute precisazioni relative alle sole parti comuni delle unità immobiliari Orchidea;

che la scarna elencazione dei servizi comuni non poteva essere reputata quale contenuto di una inesistente fattispecie negoziale plurisoggettiva; che al tempo dei singoli atti di acquisto l’investitura del R. dell’incarico di legale rappresentante delle società si risolveva al più in un mero incarico di redazione di un progetto delle cose che avrebbero potuto (e non dovuto) essere poste in comune, cose oggetto di una sommaria enumerazione nell’allegato A ai contratti; che nè nell’atto di acquisto, nè nei regolamenti di tutte le palazzine, nè in quello della palazzina Orchidea, era rilevabile una pluralità di consensi convergenti nella costituzione del Residence Vera Cruz; che nessuna idoneità costitutivatraslativa era attribuibile al regolamento generale redatto dal R. nel 1993; che nessuna rilevanza era attribuibile all’approvazione da parte dell’assemblea del condominio Orchidea del regolamento generale se non quella di vincolare per la prima volta la comunità condominiale alle prescrizioni regolamentari; che non era vincolante l’accettazione preventiva di un regolamento condominale futuro; che inoltre la costituzione di un supercondominio non poteva farsi a maggioranza risultando necessario il consenso di tutti i soggetti proprietari; che all’assemblea del 23/4/1994 erano presenti 93 soggetti su 236; che pertanto si trattava di un regolamento condominiale deputato a regolare cose che comuni non erano; che era infondato il richiamo dell’appellante alla c.d. presunzione di proprietà comune di cui all’art. 1117 c.c., posto che le strutture in questione erano state costruite sui terreni della Costamar e della Costa del Sol con conseguente impossibilità di attribuire al regolamento condominiale redatto dal R. il valore di un negozio di accertamento della comunanza di determinate cose ai sensi dell’art. 1117 c.c., impossibilità dovuta all’ulteriore constatazione della necessità per un valido accertamento della provenienza dal titolare dei diritto e non da un terzo; che d’altra parte, come emerso dagli accertamenti del c.t.u., tra l’edificio Orchidea a i servizi esterni intercorreva una distanza di 1.000 metri il che escludeva l’esistenza di un nesso di funzionalità, in termini di accessorietà, tra questi e le unità abitative del detto condominio; che alla stregua delle considerazioni esposte doveva concludersi che l’appellante non era condomino del Residence Veracruz e che, pertanto, le spese condominiali richieste dall’appellato, in virtù di tale asserita qualità, non erano dovute; che l’appellato non aveva proposto in primo grado una domanda di accertamento della qualità di comproprietario essendosi limitato a chiedere il rigetto dell’opposizione; che quindi, in accoglimento dell’appello incidentale, la sentenza impugnata andava riformata nella parte in cui aveva respinto la domanda riconvenzionale del Residence Vera Cruz che non era stata proposta.

La cassazione della sentenza del tribunale di Imperia è stata chiesta dal Residence Veracruz con ricorso affidato a dodici motivi.

Ha resistito con controricorso D.S.A. che ha proposto ricorso incidentale sorretto da un solo motivo. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso principale e quello incidentale vanno riuniti a norma dell’art. 335 c.p.c..

Innanzitutto va rilevato che il ricorrente principale condominio Residence vera Cruz ha depositato copia del verbale dell’assemblea condominiale nel corso della quale è stato deliberato: a) di ratificare l’operato dell’amministratore per quanto dallo stesso svolto in merito alle azioni promosse nei confronti di alcuni condomini delle palazzine Orchidea, Lillà e Magnolia; b) “di conferire mandato all’amministratore di proporre ricorso per cassazione nei confronti delle sentenza n. 355/04; 356/04; 371/04 dando mandato al legale”; c) di conferire ampio mandato all’amministratore “per tutto quanto possa occorrere”.

La detta delibera – secondo quanto di recente affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza 8/8/2010 n. 18331 – vale sia a sanare, con effetti ex tunc, l’operato dell’amministratore del Residence Vera Cruz il quale aveva proposto ricorso senza autorizzazione dell’assemblea condominiale, sia a paralizzare a dedotta eccezione di inammissibilità del ricorso principale per inammissibilità della costituzione in giudizio o dell’impugnazione.

Con il primo motivo di ricorso il Residence Vera Cruz denuncia error in procedendo in relazione alla violazione dell’art. 38 c.p.c., comma 1, e vizi di motivazione sulla asserita mancanza di necessità di gravame. Deduce il ricorrente che il giudice di pace ha ritenuto di non essere competente sulle domande riconvenzionali “afferenti i diritti reali immobiliari”. La relativa pronuncia non è stata impugnata dal D.S. per cui sul punto di è formato il giudicato sicchè al giudice di secondo grado non era consentito affrontare gli argomenti di cui all’atto di appello concernenti la domanda riconvenzionale proposta dal D.S..

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia error in procedendo in relazione alla violazione degli articoli 132 e 339 e seguenti c.p.c. e vizi di motivazione sull’asserito contrasto della sentenza di primo grado sollevato di ufficio. Ad avviso del ricorrente l’asserito contrasto tra dispositivo e motivazione della sentenza di primo grado non aveva formato oggetto di motivo di gravame per cui sul punto alla corte di appello era preclusa ogni indagine. Peraltro nel contrasto tra motivazione e dispositivo si deve dare la precedenza alla motivazione.

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 342 c.p.c., sostenendo che la corte di appello, rilevato che il D. S. non aveva proposto gravame avverso la pronuncia di incompetenza, avrebbe dovuto respingere in toto l’impugnazione avente ad oggetto argomentazioni comunque escluse dalla decisione di incompetenza.

I tre motivi di ricorso – collegati e connessi – sono infondati in quanto in netto ed insanabile contrasto con la corretta ed ineccepibile interpretazione che la corte di appello ha dato alla sentenza di primo grado.

Occorre premettere che – come è pacifico nella giurisprudenza di legittimità – nell’ordinario giudizio di cognizione, l’esatto contenuto della pronuncia va individuato non alla stregua del solo dispositivo, bensì integrando questo con la motivazione nella parte in cui la medesima rivela l’effettiva volontà del giudice. Ne consegue che è da ritenere prevalente la statuizione contenuta in una di tali parti del provvedimento che va, quindi, interpretato in base all’unica statuizione che, in realtà, esso contiene (tra le tante, sentenza 11/7/2007 n. 15585; 1 8/4/2007 n. 9244).

Da ciò l’insussistenza dell’obbligo del D.S. di proporre impugnazione avverso una pronuncia di incompetenza non emessa (primo motivo di ricorso) e la necessità della corte di merito sia di procedere all’interpretazione della sentenza appellata rientrando tale attività interpretativa tra i compiti affidati al giudice dell’impugnazione (secondo motivo), sia, quindi, di esaminare nel merito i motivi di gravame sviluppati dal D.S. nell’atto di appello (terzo motivo).

Con il quarto motivo del ricorso principale il Residence Veracruz denuncia violazione dell’art. 342 c.p.c., deducendo che l’appello come articolato dal D.S. si caratterizzava per la genericità delle enunciazioni svolte, disaggregate e non pertinenti, tanto da impedire l’individuazione delle concrete ragioni del gravame con riferimento alla pronuncia impugnata. La laconica motivazione addotta al riguardo dal tribunale è insufficiente e contraddittoria posto che l’appellante non aveva trasfuso nell’atto di gravame i contenuti della citazione originaria bensì aveva introdotto altre questioni nemmeno svolte in primo grado e riguardanti soggetti estranei alla controversia.

Con il quinto motivo il Residence Veracruz denuncia violazione dell’art. 345 c.p.c. e vizi di motivazione sostenendo che l’atto di appello conteneva una serie di domande nuove (nel dettaglio indicate dal ricorrente) non evidenziate dal giudice di secondo grado il quale al riguardo si è limitato a far riferimento solo alla domanda riconvenzionale sulla comproprietà dei beni comuni.

La connessione tra le dette censure – in quanto relative entrambe al contenuto dell’atto di appello come predisposto dal D.S. – ne comporta l’esame congiunto al cui esito la Corte esprime il giudizio di non fondatezza dei motivi di ricorso in questione.

Tali motivi sono il frutto di una non attenta e non corretta lettura dell’atto di appello il cui esame è consentito in questa sede di legittimità attesa la natura – in procedendo – dei vizi denunciati.

Va innanzitutto osservato che, come più volte affermato da questa Corte, l’onere di riproposizione, previsto dall’art. 345 c.p.c., comma 2, concerne soltanto le eccezioni in senso proprio e non riguarda gli argomenti difensivi e le relative prospettazioni giuridiche, proprio perchè questi debbono sempre ritenersi implicitamente sottoposti ai giudice di secondo grado, attraverso la proposizione dell’appello o con l’istanza di rigetto dell’impugnazione. Il che, in particolare, deve ritenersi con riferimento alle contestazioni dell’esistenza del fatto costitutivo della domanda, da considerarsi implicitamente ricomprese – fatta eccezione per le ipotesi in cui attengano i punti esaminati e decisi in primo grado – nella richiesta di rigetto dell’appello, formulata dall’appellato vittorioso in primo grado (sentenza 22/5/2001 n. 6957).

Inoltre, per la sussistenza del requisito della specificità dei motivi di gravame richiesto dall’art. 342 c.p.c., occorre indicare nell’atto di appello anche mediante un’esposizione sommaria le doglianze in modo tale che il giudice del gravame sia posto in grado non solo di identificare i punti impugnati, ma anche le ragioni di fatto e di diritto in base alle quali viene richiesta la riforma della pronuncia di primo grado. Non è necessario peraltro che gli errori attribuiti alla sentenza impugnata siano evidenziati con nuove argomentazioni, in quanto non esiste una stretta correlazione tra la specificità dei motivi e la novità degli argomenti addotti a sostegno di essi, che si collega alla scelta che l’appellante ha di completare ed integrare le difese con il solo limite del rispetto della norma dell’art. 345 c.p.c. (sentenza 27/1/1992 n. 852).

Ciò premesso va rilevato che, per quanto riguarda l’asserita genericità dei motivi di appello, è sufficiente il richiamo a quanto in proposito affermato nella sentenza impugnata dal tribunale il quale ha messo in evidenza che l’appellante D.S. – oltre a ribadire tutte le tesi in fatto e in diritto poste a base dell’opposizione al decreto ingiuntivo in questione – con le doglianze mosse alla sentenza del giudice di pace aveva in sostanza specificamente censurato la parte di tale sentenza con la quale era stata affermata la qualità di esso appellante di “comproprietario e condomino” dei beni e servizi comuni.

Da quanto precede deriva l’infondatezza anche della censura relativa alla denunciata violazione dell’art. 345 c.p.c., atteso che il tribunale ha accolto l’appello per ragioni esposte nell’atto di gravame concernenti questioni rientranti nell’ambito del thema decidendum del giudizio di secondo grado che deve ritenersi esteso anche alla valutazione delle risultanze processuali relative al primo grado aventi ad oggetto le circostanze di fatto richiamate dal giudice del gravame a fondamento dell’accoglimento dell’opposizione a decreto ingiuntivo proposto dal D.S..

Il tribunale non ha quindi violato il principio del “tantum devolutum quantum appellatum” avendo fondato la propria decisione prendendo in esame le risultanze processuali in quanto in rapporto di diretta connessione con la problematica centrale relativa alla contestazione della comproprietà dei beni e servizi comuni in questione, problematica in ordine alla quale l’appellante aveva nell’atto di gravame illustrato ulteriori argomenti meramente illustrativi ed aggiuntivi rispetto a quanto già dedotto in primo grado.

Con il sesto motivo il ricorrente denuncia vizi di motivazione e errore in procedendo lamentando l’errore commesso dal tribunale nel non affrontare – nemmeno “incidenter tantum” – la domanda riconvenzionale del D.S. relativa alla non comproprietà dei beni comuni. Tale domanda risulta essere stata proposta sia in primo che in secondo grado con la formulazione di una richiesta di un provvedimento positivo (volto ad ottenere la dichiarazione della esclusione della sua qualità di condomino e comproprietario dei beni in questione) non limitato al mero rigetto della domanda proposta nei suoi confronti.

Con il settimo motivo il ricorrente denuncia nullità della sentenza conseguente alla violazione dell’art. 102 c.p.c. sostenendo che la domanda del D.S., volta anche all’accertamento negativo destinato a valere erga omnes, comportava la necessità di evocare in giudizio tutti i condomini dell’intero complesso residenziale.

Con l’ottavo motivo il ricorrente denuncia nullità della sentenza per violazione dell’art. 102 c.p.c., deducendo che, anche a voler considerare come eccezione riconvenzionale quella proposta dal D. S. volta all’accertamento negativo di essere comproprietario dei beni comuni in questione, tale accertamento non poteva avvenire – neppure incidenter tantum -senza la necessaria integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i condomini del complesso residenziale.

Con il nono motivo il ricorrente denuncia nullità della sentenza sostenendo che l’amministratore di esso Residence è sfornito di legittimazione processuale con riferimento all’indagine relativa alla comproprietà dei beni comuni in ordine alla quale unici legittimati sono i comproprietari di tali beni, ossia i condomini del Residence.

Il D.S. è poi sfornito di legittimazione nel proporre domande per l’intera palazzina Orchidea o relative ai regolamenti condominiali.

La Corte rileva l’infondatezza delle dette numerose censure (in parte ripetitive) che, per evidenti ragioni di ordine logico, possono essere esaminate congiuntamente per la loro stretta connessione ed interdipendenza riguardando tutte – quale più quale meno sia pur sotto profili e aspetti diversi – questioni collegate concernenti: la corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, l’interpretazione della domanda introduttiva del giudizio di primo grado, l’interpretazione dell’atto di appello, l’individuazione del thema decidendum, la differenza tra domanda riconvenzionale ed eccezione riconvenzionale.

Occorre premettere che nella giurisprudenza di legittimità sono pacifici i seguenti principi che il Collegio condivide e ribadisce:

– nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, solo da un punto di vista formale l’opponente assume la posizione di attore e l’opposto quella di convenuto, perchè è il creditore ad avere veste sostanziale di attore ed a soggiacere ai conseguenti oneri probatori, mentre l’opponente è il convenuto cui compete di addurre e dimostrare eventuali fatti estintivi, impeditivi o modificativi del credito, di tal che le difese con le quali l’opponente miri ad evidenziare l’inesistenza, l’invalidità o comunque la non azionabilità del credito vantato “ex adverso” non si collocano sul versante della domanda – che resta quella prospettata dal creditore nel ricorso per ingiunzione – ma configurano altrettante eccezioni (sentenza 22/4/2003 n. 6421);

– l’opposizione avverso il decreto ingiuntivo non costituisce azione d’impugnazione della validità del decreto stesso, ma introduce un ordinario giudizio di cognizione diretto ad accertare la fondatezza della pretesa fatta valere dall’ingiungente opposto (che assume la posizione sostanziale di attore) e delle eccezioni e delle difese fatte valere dall’opponente (che assume la posizione sostanziate di convenuto) (sentenza 19/5/2000 n. 6528);

– in tema di procedimento per ingiunzione, per effetto dell’opposizione non si verifica alcuna inversione della posizione sostanziale delle parti nel giudizio contenzioso, nel senso che il creditore mantiene la veste di attore e l’opponente quella di convenuto, ciò che esplica i suoi effetti non solo in tema di onere della prova, ma anche in ordine ai poteri ed alle preclusioni processuali rispettivamente previsti per ciascuna delle parti. Ne consegue che il disposto dell’art. 269 c.p.c., che disciplina le modalità della chiamata di terzo in causa, non si concilia con l’opposizione al decreto, dovendo in ogni caso l’opponente citare unicamente il soggetto che ha ottenuto detto provvedimento e non potendo le parti originariamente essere altre che il soggetto istante per l’ingiunzione e il soggetto nei cui confronti la domanda è diretta (sentenza 1/3/2007 n. 4800);

– il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo non è limitato alla verifica delle condizioni di ammissibilità e validità del decreto, ma si estende anche all’accertamento dei tatti costitutivi, modificativi ed estintivi del diritto in contestazione, con riferimento alla situazione esistente al momento della sentenza (sentenza 22/5/2008 n. 13085);

– l’interpretazione della domanda e l’ampiezza del suo contenuto rientra tra i compiti affidati al giudice del merito (sentenza 28/11/2007 n. 24742);

– al di fuori dei casi in cui la legge espressamente impone la partecipazione di più soggetti al giudizio istaurato nei confronti di uno di essi, vi è litisconsorzio necessario solo allorquando l’azione tenda alla costituzione o alla modifica di un rapporto pi uri soggettivo unico, ovvero all’adempimento di una prestazione inscindibile comune a più soggetti; pertanto, non ricorre litisconsorzio necessario allorchè il giudice proceda, in via meramente incidentale, ad accertare una situazione giuridica che riguardi anche un terzo, dal momento che gli effetti di tale accertamento non si estendono a quest’ultimo, ma restano limitati alle parti in causa (sentenza 26/7/2006 n. 17027);

– ricorre l’ipotesi della domanda riconvenzionale quando il convenuto, traendo occasione dalla domanda contro di lui proposta, opponga una contro-domanda e cioè chieda un provvedimento positivo sfavorevole all’attore che va oltre il rigetto della domanda principale. Resta invece nell’ambito dell’eccezione l’istanza del convenuto diretta a far valere un suo diritto al solo scopo di escludere l’efficacia giuridica dei fatti o titoli dedotti dall’attore, ossia al fine di ottenere il rigetto della domanda (sentenza 2/4/1997 n. 2860):

– la parte che eccepisce la non integrità de contraddittorio ha l’onere non soltanto di indicare le persone che debbono partecipare al giudizio quali litisconsorti necessari e di provarne l’esistenza, ma anche quello di indicare, se l’eccezione è proposta in cassazione, gli atti del processo di merito dai quali dovrebbe trarsi la prova dei presupposti di fatto che giustificano la sua eccezione (sentenza 2/7/2001 n. 8894).

Ciò posto va osservato che nella specie il tribunale ha applicato in modo corretto i detti principi giurisprudenziali ed ha coerentemente accolto l’appello proposto dal D.S. ritenendo fondate le tesi difensive dallo stesso sviluppate nell’atto di opposizione a decreto ingiuntivo – ampiamente riportate nella parte narrativa della sentenza impugnata – richiamate e ribadite dall’opponente-appellante nel giudizio di gravame.

Con le dette tesi difensive l’opponente aveva in sostanza – e con ampie ed articolate argomentazioni in fatto e ili diritto – contestato di essere comproprietario dei beni e dei servizi ai quali si riferiva il decreto ingiuntivo opposto e per la cui gestione e manutenzione il Residence Veracruz aveva chiesto il pagamento degli oneri condominiali.

Di fronte a queste contestazioni incombeva all’opposto Residence Veracruz fornire la prova del fatto costitutivo del diritto di credito vantato nei confronti dell’opponente.

Il tribunale ha ritenuto non offerta la detta prova ed è pervenuto a tale conclusione dando conto del suo convincimento con ampia e convincente motivazione sopra riportata nella parte espositiva che precede.

Le censure al riguardo mosse dal Residence Veracruz con i motivi sesto, settimo ed ottavo sono tutte infondate posto che il D. S. – sostenendo con l’atto di opposizione a decreto ingiuntivo di non essere comproprietario dei beni e dei servizi in questione – non ha proposto una domanda riconvenzionale limitandosi a sollevare una eccezione volta a paralizzare la domanda del Residence.

Va peraltro segnalato che il D.S. con l’atto di opposizione doveva citare solo l’opposto e non altri e al più poteva solo chiedere di essere autorizzato a chiamare in causa i condomini ritenuti dal ricorrente litisconsorzi necessari. Pertanto, anche a voler ravvisare nella tesi dell’opponente una domanda riconvenzionale, non avendo il D.S. formulato tale richiesta di chiamare in causa eventuali litisconsorzi necessari, la detta domanda doveva in ogni caso essere considerata come una valida eccezione che il giudice dell’opposizione era tenuto ad esaminare al fine dell’accertamento della fondatezza o meno del diritto di credito fatto valere dal Residence con il decreto ingiuntivo opposto.

Per esaminare la detta eccezione il tribunale non doveva disporre l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i condomini de condominio Orchidea e del supercondominio Residence Veracruz.

Va altresì evidenziato che, come più volte affermato da questa Corte, la parte che eccepisce la non integrità del contraddittorio ha l’onere non soltanto di indicare le persone che debbono partecipare al giudizio quali litisconsorti necessari e di provarne l’esistenza, ma anche quello di indicare, se l’eccezione (come appunto nella specie) è proposta in cassazione, gli atti del processo di merito dai quali dovrebbe trarsi la prova dei presupposti di fatto che giustificano la sua eccezione. Tale indicazione non è ravvisabile nei motivi di ricorso in esame non avendo il Residence Veracruz dedotto che il presupposto e gli elementi di fatto posti a fondamento della sollevata eccezione emergevano, con ogni evidenza, dagli atti del processo di merito: detta deduzione era invece necessaria onde evitare la necessità di nuove prove e di svolgimento di ulteriori attività, vietate in sede di legittimità.

Per quanto riguarda poi la censura circa l’asserito difetto di legittimazione passiva dell’amministratore del Residence Veracruz (sesto motivo) è sufficiente rilevare che il D.S. non poteva che notificare l’atto di opposizione al soggetto che aveva chiesto ed ottenuto il decreto ingiuntivo in questione.

Con il decimo motivo il ricorrente denuncia: nullità della sentenza;

vizio di ultra petizione; errar in procedendo. Ad avviso del Residence il tribunale ha affrontato argomenti del tutto nuovi (nel dettaglio indicati) in quanto non contenuti nell’appello e nelle difese del D.S.. Inoltre la corte di appello ha deciso sulla domanda ex art. 96 c.p.c., senza avvedersi che tale domanda non era stata riproposta nelle conclusioni.

La censura è palesemente infondata come risulta agevolmente sia da quanto sopra esposto esaminando il quarto ed il quinto motivo di ricorso, sia dalla stessa lettura della sentenza impugnata nella cui parte narrativa sono stati riportati tutti i motivi che il D. S. aveva sviluppato nell’atto di opposizione a decreto ingiuntivo con riferimento a documenti a sostegno e confermativi dei detti motivi. Tali motivi sono stati riproposti dall’appellante nell’atto di gravame e ritenuti fondati dal tribunale il quale quindi ha posto a base della decisione impugnata quanto dedotto dal D. S. in primo grado e ribadito in sede di gravame senza estendere l’indagine a rilevanti e decisive questioni in fatto e in diritto non prospettate e non dibattute dalle parti. I fatti, gli argomenti, gli atti richiamati dal ricorrente nei motivi in esame non rivestono alcun carattere di decisività e sono ininfluenti ai fini del convincimento del tribunale. Quanto poi alla pronuncia relativa alla domanda di risarcimento danni ex art. 96 c.p.c., è appena il caso di rilevare la carenza di interesse sul punto in capo al ricorrente posto che tale domanda è stata rigettata dalla corte di appello.

Con l’undicesimo motivo il ricorrente denuncia vizi di motivazione deducendo che il decreto ingiuntivo in questione è stato ottenuto in forza di delibere mai impugnate dal D.S. basate sugli atti di acquisto di quest’ultimo, sul regolamento della palazzina Orchidea e sul regolamento generale del Residence. Tali regolamenti costituiscono lo statuto convenzionale del condominio ed ogni decisione sulla loro pretesa invalidità deve vedere la partecipazione necessaria di tutti i condomini che quei regolamenti hanno accettato e rispettato. Peraltro sono errati i presupposti in fatto e in diritto sui quali si è basato il convincimento del tribunale con riferimento in particolare, tra l’altro, al contenuto:

del regolamento contrattuale della palazzina Orchidea; degli altri undici regolamenti delle altre palazzine; della scrittura privata 25/10/1993; del verbale dell’assemblea generale del 23/4/1994; degli atti di acquisto relativi al l’appartamento attualmente di proprietà del D.S.; del Regolamento generale del Residence Veracruz.

Il motivo è privo di pregio in quanto la tesi ivi sviluppata si basa su affermazione di circostanze e fatti che risultano motivatamente e validamente contraddetti da quanto ineccepibilmente accertato dal tribunale. Quest’ultimo ha infatti affermato che: il D.S. (come gli altri condomini della palazzina Orchidea) non ha mai acquistato la comproprietà dei beni comuni in questione edificati su area della quale la società costruttrice della detta palazzina non è stata mai proprietaria; nel regolamento condominiale della palazzina Orchidea non vi era alcun accenno ai beni ed ai servizi comuni in questione non aventi alcun nesso funzionale e spaziale con la detta palazzina; il regolamento del condominio Orchidea e quello del complesso residenziale Veracruz potevano disciplinare l’uso delle cose comuni ma non potevano far diventare comproprietari dei beni in questione soggetti che non avevano mai acquistato la comproprietà di tali beni; nessuna idoneità costitutiva-traslativa era attribuibile al regolamento generale; la palazzina-condominio Orchidea non faceva parte del supercondominio Residence Veracruz.

Il giudice di appello è giunto ai detti accertamenti ed alle riportate affermazioni all’esito della coerente e corretta interpretazione e valutazione delle risultanze processuali e della documentazione acquisita.

La tesi relativa alla estensione della controversia ai condomini delle varie palazzine è palesemente infondata oltre che poco comprensibile posto che la sentenza impugnata si riferisce esclusivamente alla controversia tra il D.S. e il Residence Veracruz senza alcuna efficacia diretta ed immediata nei confronti di altre parti e, in particolare, del condominio della palazzina Orchidea il cui regolamento è stato preso in esame dal tribunale solo al fine di valutare la fondatezza o meno dei motivi posti a base dell’atto di opposizione a decreto ingiuntivo come predisposto dal D.S..

Per quanto riguarda gli asseriti errori in fatto che sarebbero stati commessi dal tribunale è appena il caso di osservare che tali asseriti errori si riferiscono alla valutazione della documentazione acquisita (atti sopra indicati) e si risolvono essenzialmente, pur se la censura è titolata come vizio di motivazione, nella prospettazione di una diversa analisi del merito della causa, inammissibile in sede di legittimità, nonchè nella pretesa di contrastare valutazioni ed apprezzamenti dei fatti e delle risultanze probatorie che sono prerogativa del giudice del merito e la cui motivazione al riguardo non è sindacabile in sede di legittimità se – come appunto nella specie – sufficiente ed esente da vizi logici e giuridici. Inoltre si ha carenza di motivazione soltanto quando il giudice di merito omette di indicare nella sentenza gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indica tali elementi senza però un’approfondita disamina logico-giuridica, ma non anche nel caso di valutazione delle circostanze probatorie in senso difforme da quello preteso dalla parte.

Nella specie il giudice di appello è pervenuto alle conclusioni sopra riportate nella parte narrativa che precede (e dal ricorrente criticate) attraverso complete argomentazioni, improntate a retti criteri logici e giuridici – nonchè frutto di un’indagine accurata e puntuale delle risultanze di causa riportate nella decisione impugnate e relative, in particolare, ai documenti acquisiti ed ha dato conto delle proprie valutazioni, circa i riportati accertamenti in fatto, esponendo adeguatamente le ragioni del suo convincimento.

Alle dette valutazioni il ricorrente contrappone le proprie, ma della maggiore o minore attendibilità di queste rispetto a quelle compiute dal giudice del merito non è certo consentito discutere in questa sede di legittimità, ciò comportando un nuovo autonomo esame del materiale delibato che non può avere ingresso nel giudizio di cassazione. Dalla motivazione della sentenza impugnata risulta chiaro che il tribunale, nel porre in evidenza gli elementi probatori favorevoli alle tesi del D.S., ha implicitamente espresso una valutazione negativa delle contrapposte tesi del Residence Veracruz.

Sono pertanto insussistenti gli asseriti errori in fatto che sarebbero stati commessi dal tribunale che presuppongono una ricostruzione dei fatti diversa da quella ineccepibilmente effettuata dal giudice del merito.

In definitiva, poichè resta istituzionalmente preclusa in sede di legittimità ogni possibilità di rivalutazione delle risultanze istruttorie, non può il ricorrente pretendere il riesame del merito sol perchè la valutazione delle accertate circostanze di fatto come operata dal giudice di secondo grado non collima con le sue aspettative e confutazioni.

Occorre infine evidenziare che le critiche concernenti l’asserito errato esame della documentazioni prodotta non sono meritevoli di accoglimento, oltre che per l’incidenza in ambito di apprezzamenti riservati al giudice del merito, anche per la loro genericità in ordine all’asserita erroneità in cui sarebbe incorso il giudice di appello nel l’interpretare e valutare le dette risultanze istruttorie.

Le censure in esame non riportano il contenuto specifico e completo di tali risultanze probatorie e non forniscono alcun dato valido per ricostruire, sia pur approssimativamente, il senso complessivo.

In proposito è sufficiente ribadire che nel giudizio di legittimità il ricorrente che deduce l’omessa o l’erronea valutazione delle risultanze probatorie ha l’onere (in considerazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione) di specificare il contenuto delle prove mal (o non) esaminate, indicando le ragioni del carattere decisivo dell’asserito errore di valutazione: solo così è consentito alla corte di cassazione accertare – sulla base esclusivamente delle deduzioni esposte in ricorso e senza la necessità di indagini integrative – l’incidenza causale del difetto di motivazione (in quanto omessa, insufficiente o contraddittoria) e la decisività delle prove erroneamente valutate perchè relative a circostanze tali da poter indurre ad una soluzione della controversia diversa da quella adottata. Il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della pronuncia, costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non o mal esaminate siano tali da invalidare l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento si è formato, onde la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di base.

Le censure mosse dal ricorrente sono carenti sotto l’indicato aspetto e tale omissione non consente di verificare l’incidenza causale e la decisività dei rilievi al riguardo mossi dal Residence Veracruz.

Sotto altro aspetto le censure concernenti gli asseriti errori che sarebbero stati commessi dal giudice di secondo grado nel ricostruire i fatti di causa sono inammissibili risolvendosi nella tesi secondo cui l’impugnata sentenza sarebbe basata su affermazioni contrastanti con gli atti del processo e frutto di errore di percezione o di una svista materiale degli atti di causa. Trattasi all’evidenza della denuncia di travisamento dei tatti contro cui è esperibile il rimedio della revocazione. Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Corte, la denuncia di un travisamento di fatto, quando attiene al fatto che sarebbe stato affermato in contrasto con la prova acquisita, costituisce motivo di revocazione e non di ricorso per cassazione importando essa un accertamento di merito non consentito in sede di legittimità.

Con il dodicesimo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 92 c.p.c. e vizi di motivazione deducendo che, malgrado il parziale accoglimento del gravame proposto dal D.S. (in parte dichiarato inammissibile) e il parziale accoglimento dell’appello incidentale, il giudice di appello ha condannato esso Residence Vera Cruz al pagamento integrale delle spese del giudizio (peraltro neanche chieste con riferimento al primo grado).

Anche questo motivo, al pari degli altri, non è meritevole di accoglimento ed al riguardo va richiamato il principio pacifico secondo cui la decisione del giudice del merito relativa al governo delle spese è censurabile in sede di legittimità solo quando le spese siano state poste – totalmente o parzialmente – a carico della parte totalmente vittoriosa. Nella specie le spese de giudizio di primo e di secondo grado sono state poste – in accoglimento della richiesta formulata dal D.S. – a carico dell’appellato Residence parte principalmente soccombente.

Il ricorso principale deve pertanto essere rigettato.

Il ricorso incidentale condizionato va invece dichiarato inammissibile ai sensi del combinato disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, e art. 371 c.p.c., comma 3.

In tale ricorso, infatti, è del tutto omessa l’esposizione dei fatti di causa e, secondo quanto disposto dai citati articoli, va ritenuto inammissibile il controricorso che contenga, come nel caso di specie, un ricorso incidentale, allorchè sia privo degli elementi indispensabili per una precisa cognizione dell’origine e dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni assunte dalle parti.

Sussistono giusti motivi – in considerazione, tra l’altro, della natura della controversia e delle questioni trattate, nonchè della rilevata inammissibilità del ricorso incidentale – che inducono a compensare per intero tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

la corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale, dichiara inammissibile il ricorso incidentale e compensa interamente tre le parti le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2011

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