LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ODDO Massimo – Presidente –
Dott. MAZZACANE Vincenzo – rel. Consigliere –
Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –
Dott. MANNA Felice – Consigliere –
Dott. FALSCHI Milena – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 13681/2005 proposto da:
G.C. *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LIMA 31, presso lo studio dell’avvocato TABEGNA Giancarlo, che lo rappresenta e difende;
– ricorrenti –
contro
Y.T., QUATTRO STAGIONI SAS, F.M., P.
A.M.;
– intimati –
sul ricorso 16379/2005 proposto da:
F.M. *****, Y.T.
*****, QUATTRO STAGIONI SAS in persona del rappresentante legale Sig. Y.T., P.A.M.
*****, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA AQUILEIA 12, presso lo studio dell’avvocato MORSILLO ANDREA, che li rappresenta e difende;
– controricorrenti e ricorrenti incidentali –
contro
G.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LIMA 31, presso lo studio dell’avvocato TABEGNA GIANCARLO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrenti al ricorso incidentale –
avverso la sentenza n. 1763/2004 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 13/04/2004;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 20/12/2010 dal Consigliere Dott. VINCENZO MAZZACANE;
udito l’Avvocato De Fazi Marco con delega depositata in udienza dell’Avv. Tabegna Giancarlo difensore del ricorrente che si riporta agli atti;
udito l’Avv. Giordano Luca con delega depositata in udienza dell’Avv. Marsillo Andrea difensore del controricorrente che si riporta agli atti;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUCCI Costantino, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 9-1-1995 Y.T., P.A.M. e F.M. convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma G.C. esponendo che il 23-2- 1994 avevano acquistato la quota di partecipazione di pertinenza del convenuto nella s.n.c. Quattro Stagioni di Cataldo Antonio e Geli Cesare con sede in *****, esercente l’attività di agenzia viaggi, per il prezzo di L. 167.000.000 interamente corrisposto; gli attori aggiungevano di essere venuti successivamente a conoscenza che i bilanci della società evidenziavano situazioni debitorie occultate dal convenuto in sede di trattative, e deducevano altresì che il medesimo, in violazione del patto di non concorrenza stipulato in sede di contratto, aveva costituito la s.r.l. Caesar Tour Due utilizzando personale dipendente della società Quattro Stagioni e realizzando atti di concorrenza sleale mediante lo sviamento della clientela della predetta agenzia.
Gli attori chiedevano quindi l’annullamento del suddetto contratto di compravendita per dolo o la risoluzione del medesimo per inadempimento, con la condanna del convenuto al risarcimento dei danni.
Con atto di citazione notificato lo stesso giorno la s.a.s. Quattro Stagioni proponeva dinanzi al medesimo Tribunale una domanda di risarcimento danni nei confronti del convenuto G. per concorrenza sleale, oltre che per aver illecitamente trattenuto un computer di proprietà della società.
Il G., nel costituirsi in entrambi i giudizi, contestava le domande attrici di cui chiedeva il rigetto; in particolare chiedeva l’autorizzazione alla chiamata in causa di P.R., che aveva rappresentato le controparti nelle trattative, eccepiva il difetto della legittimazione attiva della F., la quale non aveva interesse nella controversia avendo ceduto agli altri attori la propria quota, e negava la sua partecipazione alla Caesar Tour Due, assumendo di aver svolto mera attività editoriale per conto terzi.
Riuniti i due procedimenti il Tribunale adito con sentenza del 9-5- 2001 annullava il contratto di cessione delle quote della società Quattro Stagioni, condannava il G. alla restituzione del prezzo ricevuto, dichiarava il predetto responsabile della violazione del patto di non concorrenza, e lo condannava a pagare la somma di L. 100.000.000 a titolo di risarcimento danni.
Proposto gravame da parte del G. cui resistevano lo Y., la P., la F. e la s.a.s. Quattro Stagioni di Y. T. la Corte di Appello di Roma con sentenza del 13-4-2004, in parziale riforma della decisione di primo grado, che ha confermato nel resto, ha rigettato la domanda di risarcimento danni da concorrenza sleale promossa dallo Y., dalla P. e dalla F., ed ha condannato l’appellante al risarcimento dei soli danni derivanti dalla conclusione del contratto, liquidati nel complessivo importo di Euro 10.000,00 oltre interessi dalla data della pronuncia.
Per la cassazione di tale sentenza il G. ha proposto un ricorso basato su quattro motivi cui lo Y., la P., la F. e la s.a.s. Quattro Stagioni di Takeo Yajima hanno resistito con controricorso proponendo altresì un ricorso incidentale articolato in un unico motivo cui il G. ha resistito a sua volta con controricorso; il ricorrente principale ha successivamente depositato una memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente deve procedersi alla riunione dei ricorsi in quanto proposti contro la medesima sentenza.
Sempre in via preliminare deve rilevarsi che, avendo la Corte territoriale affermato che il giudice di primo grado aveva rigettato la domanda proposta dalla società Quattro Stagioni, poichè tale statuizione del Tribunale di Roma non risulta essere stata impugnata ed è quindi passata in giudicato, il controricorso ed il ricorso incidentale della suddetta società devono essere dichiarati inammissibili.
Venendo quindi all’esame del ricorso principale, si rileva che il G., deducendo nullità del procedimento di primo grado per invalidità della procura rilasciata al difensore della società Quattro Stagioni avvocato Morsillo, afferma che erroneamente il giudice di appello non si è pronunciato su tale questione rilevando che, poichè la domanda della suddetta società era stata disattesa dal Tribunale di Roma, non sussisteva l’interesse dell’appellante all’esame delle questioni esposte in riferimento al lamentato vizio della procura.
La censura è inammissibile per le considerazioni già esposte in ordine alla mancata impugnazione della sentenza di primo grado relativamente al rigetto della domanda proposta dalla società Quattro Stagioni.
Con il secondo motivo il ricorrente principale, denunciando violazione dell’art. 1362 c.c., censura la sentenza impugnata per aver respinto l’assunto dell’esponente secondo cui la scrittura del 23-2-1994 aveva natura di contratto a favore di terzo (con conseguente inammissibilità di una domanda di annullamento di tale contratto introdotta non dal P. quale stipulante ma dalle controparti beneficiane) ritenendo che il P. fosse intervenuto nell’atto quale rappresentante degli attori nel giudizio di primo grado e non in proprio; il G. sostiene che il giudice di appello si è arrestato al dato letterale senza dar conto delle altre risultanze processuali, ovvero della corrispondenza intercorsa direttamente tra l’esponente ed il P., nè della querela presentata in nome proprio da quest’ultimo, nè del fatto che il P. aveva assunto in proprio l’obbligo di pagamento del prezzo, delle sue lamentele riguardo al contratto suddetto a suo dire stipulato a condizioni inique e neppure della circostanza che la F. non aveva mai perfezionato l’acquisto della quota.
Il G. inoltre rileva che la menzionata regola ermeneutica è stata violata anche in relazione al fatto che nella fattispecie si era in presenza di un negozio giuridico a formazione progressiva nel cui ambito la scrittura del febbraio 1994 costituiva un accordo preliminare destinato al successivo perfezionamento attraverso la stipula della definita cessione della quota avvenuta nell’aprile del 1994; pertanto erroneamente è stata confermata la legittimazione attiva della F. ed è stato violato il costante orientamento giurisprudenziale secondo cui il contratto preliminare resta caducato e superato dal contratto definitivo.
La censura è infondata.
La sentenza impugnata, nell’esaminare il motivo di appello con il quale il G. aveva dedotto che la scrittura del 23-2-1994 aveva natura di contratto a favore di terzo, ha osservato che si era in presenza in realtà di un contratto di trasferimento delle quote sociali in favore dello Y., della P. e della F., nominativamente ed esplicitamente indicati come acquirenti, rappresentati da P.R., intervenuto nel contratto “in nome e per conto delle persone sopra menzionate”; pertanto il giudice di appello in applicazione della regola ermeneutica costituita dall’elemento letterale ha escluso la ricorrenza nella specie del contratto a favore di terzo, all’esito quindi di un accertamento di fatto sorretto da adeguata e logica motivazione, come tale incensurabile in questa sede; è del resto noto che il giudice deve limitarsi all’esame del senso letterale delle parole allorchè (come nella specie) la comune volontà delle parti emerga in modo certo ed immediato dalle espressioni adoperate, cosicchè l’elemento letterale assorba ed esaurisca ogni altro criterio di interpretazione.
Quanto poi all’asserito difetto di legittimazione attiva della F. per non aver partecipato al successivo atto redatto dinanzi al notaio nel marzo del 1994, la Corte territoriale ha affermato che si trattava di un mero atto di formalizzazione del trasferimento (statuizione quest’ultima non oggetto di censure specifiche), ed ha quindi logicamente ritenuto che non poteva disconoscersi la legittimazione della F. stessa in relazione all’annullamento del contratto di cui era stata parte contraente, ovvero del contratto stipulato il 23-2-1994.
Con il terzo motivo il ricorrente principale, deducendo insufficiente motivazione, censura la sentenza impugnata per aver ritenuto, quanto al quarto motivo di appello, che la questione relativa ad una asserita convalida dell’atto annullabile era stata formulata in termini generici senza l’indicazione di eventuali comportamenti delle controparti da cui evincere una volontà di convalidare il contratto del 23-2-1994; in realtà tale indicazione era innegabilmente contenuta nelle pagine da 14 a 17 della comparsa conclusionale.
Inoltre il G. sostiene che la Corte territoriale non ha fatto alcuna menzione della questione – accennata nell’atto di appello ma illustrata ampiamente nella comparsa conclusionale – avente ad oggetto, in subordine alla convalida, la novazione del contratto impugnato con il successivo atto notarile dell’aprile 1994 con cui la quota sociale dell’esponente era stata effettivamente trasferita allo Y. ed alla P..
La censura è infondata.
Il giudice di appello ha reputato generiche ed inconferenti le deduzioni dell’appellante in ordine ad una presunta convalida dell’atto annullabile, non essendo stati neppure descritti eventuali comportamenti riferibili agli appellati cui correlare una presunta volontà di convalidare il negozio; orbene tale statuizione non solo non è stata specificatamente censurata dal ricorrente principale, ma anzi è stata indirettamente confermata dalle argomentazioni svolte nel motivo, laddove si afferma che i comportamenti delle controparti configurabili come convalida del negozio impugnato (comunque neppure minimamente trascritti nel ricorso) erano stati illustrati nella comparsa conclusionale; infatti il requisito della specificità dei motivi dell’appello postula che alle argomentazioni della sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante, finalizzate ad inficiare il fondamento logico-giuridico delle prime, in quanto le statuizioni di una sentenza non sono scindibili dalle argomentazioni che la sorreggono; è pertanto necessario che l’atto di appello contenga tutti i rilievi volti a confutare le ragioni poste dal primo giudice a fondamento della propria decisione, non essendo al riguardo ammissibile che l’esposizione delle argomentazioni venga rinviata a successivi momenti o atti del giudizio, ovvero addirittura al deposito della comparsa conclusionale (Cass. 30-7-2001 n. 10401;
Cass. 1-4-2004 n. 6396).
Analoghe considerazioni valgono anche riguardo alla asserita novazione del contratto del 23-2-1994 con il successivo atto notarile dell’aprile 1994, considerato che, come già esposto, lo stesso G. ammette di avere illustrato tale questione soltanto nella comparsa conclusionale.
Con il quarto motivo il ricorrente principale, denunciando violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., art. 1439 c.c., e art. 2721 c.c., e segg., nonchè vizio di motivazione, assume che la sentenza impugnata ha erroneamente valutato le risultanze istruttorie e non ha esaminato le doglianze dell’appellante con particolare riferimento alte seguenti questioni:
a) l’inammissibilità di una prova per testi, in difetto di un principio di prova scritta, avente ad oggetto l’esistenza di un patto o di una garanzia del venditore sul valore della quota-parte di patrimonio corrispondente alla quota sociale venduta;
b) l’inutizzabilità di documenti contabili anonimi benchè asseritamente provenienti dall’imprenditore (ovvero la s.a.s. Quattro Stagioni) per provare fatti ad esso favorevoli e sfavorevoli alla controparte non imprenditore (ovvero il G.), e la contraddittorietà della motivazione laddove si assume la non contestazione di tali documenti sulla cui inattendibilità, al contrario, era stato chiaramente dedotto a pagina 12 dell’atto di appello;
c) la contraddittorietà della motivazione tra la ritenuta attendibilità del teste A., affermandone la partecipazione alla trattativa, e la conferma “per relationem” della sentenza di primo grado dove, invece, tale partecipazione era negata;
d) in tema di accertamento dell’asserito dolo determinante, l’omessa motivazione, nonostante la specifica istanza sollevata dall’appellante a pagina 13 dell’atto di appello, circa le ragioni della prevalenza data, in termini di maggiore attendibilità del teste, alle dichiarazioni rese dal teste P. rispetto alle dichiarazioni di fatti contrari a quelli da questi affermati rese dall’altro teste M.Q., escusso all’udienza del 17/11/1997, che smentivano con chiarezza tutto quanto riferito dal P..
La censura è infondata.
La Corte territoriale ha anzitutto rilevato che le doglianze dell’appellante relative alla valutazione delle prove operata dal giudice di primo grado apparivano in parte incentrate su questioni superate alla luce dei rilievi già svolti circa l’inammissibilità di danni da concorrenza reale ed in parte del tutto generiche ed innconferenti; orbene la mancata trascrizione nel ricorso dell’oggetto dei capitoli della prova espletata preclude a questa Corte di poter valutare la fondatezza o meno del primo profilo della censura in esame.
Quanto poi alla asserita inutilizzabilità dei documenti contabili, comunque non meglio specificati dal ricorrente, si osserva che la sentenza impugnata, nel confermare la ricostruzione dei fatti resa dal giudice di primo grado, si è riferita alla situazione quale risultante, oltre che da documenti contabili, anche da parziali ma significativi riscontri emergenti dalle dichiarazioni rese dai testi D.C.A. e C., cosicchè il convincimento in proposito espresso è frutto anche della valutazione di quest’ultimo elemento probatorio.
Infine il giudice di appello, nel valorizzare le deposizioni dei testi P. ed A., che avevano entrambi partecipato alle trattative intercorse tra le parti, ha esercitato il suo potere discrezionale in ordine, tra l’altro, anche al giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri.
Venendo quindi all’esame del ricorso incidentale, si rileva che con l’unico motivo formulato lo Y., la P. e la F. censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha liquidato il danno agli acquirenti della suddetta quota sociale nell’importo di Euro 10.000,00 equitativamente determinato, avendo sostenuto che il danno non poteva essere riconosciuto relativamente ad eventuali violazioni del patto di non concorrenza, e che vi sarebbe stato un difetto di prova circa il pregiudizio conseguente alla violazione del contratto.
I ricorrenti incidentali rilevano che il dolo del G. era stato provato dalle deposizioni sia del teste A. (che aveva dichiarato che il G. si occupava delle statistiche di vendita e dell’aspetto economico-operativo della società) sia del teste P., che aveva tra l’altro dichiarato che dai documenti contabili consegnati dal G. agli acquirenti era emerso solo un debito verso il Credito Emiliano di L. 17.000.000 al 30-12-1993, mentre invece tale debito era successivamente risultato ben maggiore, così come ben diversa era la reale situazione finanziaria rilevata successivamente all’acquisto delle quote; del resto la circostanza che il contratto di acquisto era stato stipulato esclusivamente in base ai raggiri del G. era stata chiaramente provata dalla deposizione del teste D.C.A., che aveva dichiarato che “l’acquisto avvenne sullo base della prospettazione effettuata dal G. in data 16-2-94".
I ricorrenti principali poi assumono, riguardo alla asserita carenza di prova dei danni subiti, che essi consistevano negli esborsi sostenuti per l’avvio dell’attività e nel calo di fatturato della società rispetto ai periodi omologhi, come dichiarato dai testi A., P. e C.; in ordine poi alla quantificazione del danno, effettuata equitativamente dal giudice di primo grado, essi sostengono di averlo comunque determinato, avendo fatto presente nella comparsa conclusionale redatta nel giudizio di primo grado che dall’esame della documentazione contabile prodotta si evinceva un fatturato di L. 1.667.863.645 per l’anno 1993, mentre, come dichiarato dal teste P., nel primo anno dopo la vendita il fatturato aveva subito un crollo pari al 39%.
La censura è infondata.
La sentenza impugnata ha affermato che, una volta accertato il venir meno del vincolo contrattuale e disposta la restituzione del prezzo, l’unico danno deducibile dalla parte acquirente poteva identificarsi con la diminuzione derivante dalla stipulazione di un contratto successivamente posto nei nulla e non con il danno conseguente alla violazione di obblighi contrattuali; ha poi aggiunto che, atteso il difetto di prove circa il pregiudizio conseguente alla conclusione del contratto e circa l’effettivo ammontare degli esborsi sostenuti dagli appellati, appariva corretto, tenuto conto del valore delle quote acquistate e dell’entità degli investimenti verosimilmente immobilizzati, liquidare il danno in Euro 10000,00 in via equitativa, sulla base dei valori attuali e del lucro cessante verificatosi fino alla data della pronuncia.
Orbene, premessa l’irrilevanza del primo profilo della censura in esame, attinente all'”an” della pretesa risarcitoria, che invero è stata accolta dal giudice di merito, si osserva che per il resto i ricorrenti incidentali neppure in questa sede hanno prospettato degli elementi concreti ed inequivocabili in ordine agli esborsi sostenuti in vista della stipulazione del contratto per cui è causa ed al calo di fatturato della società, essendosi limitati a riferirsi a dichiarazioni testimoniali il cui contenuto non è stato peraltro trascritto nel ricorso, rilievo quest’ultimo che vale anche per la citata deposizione del teste P. relativamente al crollo del fatturato della società Quattro Stagioni nel primo anno dopo la vendita del 23-2-1994.
Anche il ricorso incidentale deve quindi essere rigettato.
Ricorrono giusti motivi, avuto riguardo alla reciproca soccombenza, per compensare interamente tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.
LA CORTE Riunisce i ricorsi, dichiara inammissibile il controricorso ed il ricorso incidentale della società Quattro Stagioni, rigetta entrambi gli altri ricorsi e compensa interamente tra le parti le spese di giudizio.
Così deciso in Roma, il 20 dicembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2011