Corte di Cassazione, sez. I Civile, Sentenza n.2103 del 28/01/2011

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – rel. Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.D., elettivamente domiciliato in Roma alla Via Velletri n. 21, presso l’avv. Francescantonio Papa e rappresentato e difeso dall’avv. Di Lorenzo Errico, per procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

P.F., elettivamente domiciliata in Roma, alla Via Asiago n. 9, presso l’avv. Frezza Elia, che la rappresenta e difende, per procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Roma, Sez. Pers. e Fam., n. 1131/06 V.G., del 22 febbraio – 1 marzo 2006;

Udita, all’udienza del 14 dicembre 2010, la relazione del Cons. Dott. Fabrizio Forte;

Uditi l’avv. Lucia Feliciotti, per delega del difensore, per il ricorrente, l’avv. Elia Frezza, per la controricorrente, e il P.M.

Dott. PATRONE Ignazio, che conclude per l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

M.D., coniugato con P.F. dal *****, premesso che dopo la nascita della figlia Ma. nel ***** i coniugi si erano separati consensualmente nel *****, con assegnazione della casa familiare alla moglie affidataria della bambina e contributo a suo carico solo per il mantenimento di quest’ultima, chiedeva al Tribunale di Roma la pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio, con conferma di quanto sancito in sede di separazione omologata in ordine alle disposizioni accessorie. P.F. si costituiva e all’udienza di comparizione dinanzi al presidente del 31 ottobre 2002 chiedeva assegno di divorzio per sè e l’aumento del contributo a carico del M. per la figlia, affermando di non poter svolgere attività lavorativa perchè costantemente impegnata nell’assistenza alla figlia minorenne, affetta da rinite allergica con episodi asmatici.

La donna aveva anche dedotto che il marito, sottoufficiale dell’esercito, fruiva di un appartamento di servizio per cui non aveva spese per l’abitazione; il M. aveva replicato affermando l’autosufficienza economica della P. che svolgeva attività di parrucchiera ed aveva una stabile relazione con un uomo anziano e benestante, che stabilmente contribuiva al suo mantenimento, producendo una lettera della donna a carattere confessorio dell’attività da lei svolta ed evidenziando come le stesse domande proposte in questa sede erano state respinte in sede di modifica delle condizioni di separazione.

Il M. contestava le affermazioni di controparte sulle condizioni di salute della figlia, negando che le stesse fossero ostative ad uno stabile lavoro per la madre. Il Tribunale, poichè la P. non aveva dato prova della sua attuale condizione di non autosufficienza economica che consentisse di riconoscere il suo diritto all’assegno, rigettava la domanda di lei, in rapporto alla modestia dei redditi di lavoro del M., confermando il contributo mensile per la figlia minorenne di Euro 382,18.

Sull’appello principale della P. e incidentale del M. per la riduzione del contributo per la figlia, la Corte d’appello di Roma, con sentenza del 22 febbraio 2006, ha accolto il gravame della donna e rigettato quello dell’uomo, riconoscendo un assegno divorzile di Euro 200,00 mensili e aumentando il contributo per la figlia minore ad Euro 500,00 mensili, con decorrenza, per l’assegno, dalla domanda del 31 ottobre 2002, facendo decorrere dalla stessa data, in aggiunta, anche rivalutazione e interessi e condannando l’appellato, il cui gravame incidentale era respinto, a pagare alla controparte le spese del grado.

Per la cassazione di tale sentenza del 1 marzo 2006 non notificata, propone ricorso notificato il 12 aprile 2007 e articolato in quattro motivi il M., cui resiste la P., con controricorso del 15 – 16 maggio 2007.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo di ricorso il M. deduce la violazione di norme e principi in materia di assegno di divorzio e di valutazione delle prove, lamentando omesso esame di documenti decisivi e motivazione carente della sentenza impugnata, su punti decisivi, per la corretta applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5 come modificato dalla L. n. 74 del 1987, e dell’art. 116 c.p.c., in relazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5.

La Corte fonda il diritto all’assegno della P. sul presupposto di un divario di redditi tra le parti che afferma esistere, senza valutare le prove acquisite ai sensi dell’art. 116 c.p.c., e prescindendo dall’esame dei documenti prodotti. Ad avviso del ricorrente, la Corte di merito, dopo aver rilevato che il tenore di vita della coppia durante la convivenza nella vita matrimoniale era basato sui soli redditi di lui quale sottufficiale dell’esercito e che non aveva rilievo esimente dall’assegno la mancata pretesa della donna in sede di separazione di un contributo di mantenimento, ha negato che tali condotte costituissero rinuncia al recupero del pregresso tenore di vita manente matrimonio.

Qualsiasi provento avesse ricevuto la donna dal lavoro “nero” di parrucchiera, se da lei effettivamente svolto, o da altre attività occasionali, tali entrate non sarebbero state comunque sufficienti a consentirle di conservare il pregresso treno di vita nel matrimonio, in cui nessuna delle parti aveva contestato che solo con le entrate dell’uomo la famiglia e la coppia avevano convissuto.

Nei sette anni di matrimonio il marito aveva sempre lavorato e la moglie non aveva potuto ricavare introiti rilevanti dal suo lavoro di parrucchiera anche per assistere la figlia; pur fruendo all’attualità la donna di proprie entrate limitate, la Corte ha ritenuto che l’uomo è in condizioni migliori perchè esonerato da spese di abitazione, fruendo di alloggio di servizio, e che quindi permane, all’attualità, un divario di condizioni economiche fra le parti, che rende inadeguati i redditi della donna a conservare lo stato socio – economico goduto durante la convivenza con il M..

Per il ricorrente, la Corte è giunta a tale conclusione senza valutare i documenti e le risultanze istruttorie ed, in particolare, non ha considerato i modesti redditi percepiti dal marito durante la vita comune dei coniugi nè l’attività di lavoro in nero della donna, tale che le fece rifiutare il mantenimento in sede di separazione consensuale, in contrasto con la dichiarazione da lei resa sulle condizioni di salute della figlia, a suo avviso ostative ad un suo lavoro. Nessun rilievo si è dato agli aiuti dei genitori della donna durante il matrimonio e al valore del titolo professionale di parrucchiera, neppure considerando l’età alla data di separazione di soli trent’anni della donna (e non quaranta come affermato in sentenza) e il godimento esclusivo della casa familiare a vantaggio di lei. La rinite allergica della bambina non è malattia invalidante e la donna ha prodotto solo due fatture relative a spese per farmaci necessari alla piccola; neppure si è rilevato dai giudici di appello che la documentazione in atti prova la frequenza scolastica della piccola a tempo pieno, che esclude l’incompatibilità della salute della minore con la posizione lavorativa della donna, che le consente altri introiti. Si è omessa ogni considerazione sulle condizioni economiche dell’uomo modestissime e aggravate dall’abbandono forzato della casa in proprietà comune, surrogata da una camerata in caserma non sostitutiva dell’abitazione per la quale, anche se goduta esclusivamente dalla moglie, egli paga il 50% dell’I.C.I. e delle spese di straordinaria manutenzione. La P. non ha dimostrato la sua impossibilità di ripristinare il treno di vita fruito nel matrimonio e la Corte d’appello ha ritenuto che, anche se la donna avesse fruito di redditi, comunque questi non le avrebbero consentito le medesime condizioni fruite nel corso della vita coniugale. Il quesito ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. (non necessario per essere la sentenza impugnata anteriore all’entrata in vigore della norma, deduce l’errore della soluzione della Corte d’appello, non emergendo da questa la inadeguatezza dei redditi della donna nè l’impossibilità di lavorare per seguire la malattia della bambina.

1.2. Il secondo motivo di ricorso lamenta violazione dell’art. 2697 c.c. e all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per avere la Corte di merito posto a carico del M. la prova del fatto che la donna lavorava nel corso della vita matrimoniale e fruiva di proventi continuativi che contribuivano a mantenere le condizioni di vita di discreto livello della famiglia. Secondo il ricorrente, la controparte avrebbe dovuto provare i presupposti del suo diritto all’assegno, cioè il tenore di vita fruito manente matrimonio migliore rispetto a quello attuale e la impossibilità per lei di procurarsi “mezzi adeguati” a ritornare alle pregresse condizioni. Il quesito di diritto non necessario chiede di valutare se, ai sensi dell’art. 2697 c.c. può fondarsi il diritto all’assegno di divorzio sulla mancata prova, dall’obbligato, del lavoro dell’altra parte svolto anche durante la vita comune.

1.3. Viene poi lamentata la mancata ammissione delle prove orali articolate sin dal primo grado dal ricorrente e ripetute con l’appello, perchè la Corte ha in tal modo violato l’art. 112 c.p.c., non pronunciandosi sulle prove testimoniali richieste nel merito e ripetute in ricorso, pur fondando la decisione sul divario delle situazioni economiche dei due ex coniugi a favore del M. per il quale aveva posto l’assegno di divorzio a carico di quest’ultimo.

La prova orale chiesta atteneva alle condizioni economiche del M., tenuto a versare la somma a favore della figlia con un modesto stipendio e un posto letto in una camerata con altri sottufficiali in caserma, che comunque gli è stato chiesto di lasciare, e riguardava per la P., assegnataria della casa familiare di 80 mq., le attività di segretaria e parrucchiera svolte in nero, con i cui proventi ella faceva frequentare alla figlia una scuola privata, optando per medici e terapie a pagamento, essendo libera dalla necessità di assistenza della minore almeno nei giorni scolastici dalle 8,30 alle 16,30, nei quali la minore restava nella scuola a tempo pieno.

Il ricorso riporta l’articolato della prova testimoniale, teso a dimostrare che il padre segue ancora la figlia con la quale trascorre almeno un giorno a settimana.

1.4. Si lamenta infine violazione della L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 10, (dopo la L. n. 80 del 2005, sostituito dal comma 13) della L. n. 898 del 1970, sostituito dalla L. n. 74 del 1989, art. 8 (e a decorrere dal 1 marzo 2006, dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, art. 2 come modificato dalla L. 14 maggio 2005, n. 80) e degli artt. 1219 e 1224 c.c. in rapporto all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, avendo la Corte d’appello fatto decorrere dalla domanda della donna dell’ottobre 2002 l’assegno che, per l’art. 4, comma 10 di cui sopra, si “può” fare decorrere dalla domanda, sempre se ne concorrano le condizioni, mentre la Corte non ha in alcun modo motivato la statuita decorrenza. Nel caso la Corte comunque rivaluta le somme dovute in base al modello 730 del 2005 del M. e su tale somma sono concessi l’ulteriore rivalutazione dalla domanda alla sentenza e gli interessi, violandosi così le S.U. n. 1712 del 2005, e determinandosi una ingiusta locupletazione per la controparte.

2.1. I primi due motivi di ricorso vanno trattati insieme e ritenuti entrambi infondati, per le parti in cui non siano inammissibili, domandando alla Cassazione una rivalutazione degli elementi probatori acquisiti nel processo di merito. Non è vero quanto affermato con l’impugnazione in ordine alla circostanza che la Corte d’appello avrebbe accertato il diritto all’assegno di divorzio della P. solo in base alla differente situazione reddituale e patrimoniale dei coniugi alla data del suo accertamento, avendo i giudici del merito rilevato quale era il treno di vita durante i sette anni di vita comune delle parti, affermando esattamente che lo stesso si basava in via quasi esclusiva sui redditi del M. e sul suo stipendio mensile di sottufficiale dell’esercito, essendo minimo l’apporto della donna il cui lavoro era limitatissimo e occasionale, costituente fonte di proventi modesti, per cui i coniugi, che avevano acquistato la casa familiare in comunione, godevano di un livello di vita economico non elevato.

In sede di separazione consensuale, la donna aveva rinunciato ad ogni contributo a suo favore, ma ciò non le impediva di chiedere l’assegno nel procedimento di divorzio, se dagli atti di causa fossero risultati i fatti che ne consentivano il riconoscimento.

La Corte ha affermato, con la motivazione della sentenza, il divario delle condizioni economiche delle parti desumendo la attuale inidoneità della P. a procurarsi redditi adeguati a consentirle di mantenere lo stesso tenore di vita condotto durante la vita comune, per non avere il M. chiesto di provare circostanze che evidenziassero una disparità di condizioni tra le parti minore da quella già esistente nella fase della vita comune delle parti. In tal senso deve intendersi la affermazione in sentenza del rilievo della mancata prova dall’attuale ricorrente che la donna lavorasse durante la vita comune anteriore alla separazione, circostanza rilevante per accertare il tenore di vita della coppia prima della separazione, il cui mantenimento per la P. non sarebbe stato possibile senza il contributo del marito, con i redditi del quale, regolari e permanenti, la famiglia aveva vissuto fino alla separazione, non avendo la donna modificato le sue condizioni economiche, rimaste immutate e inadeguate a conservare il pregresso stato economico sociale.

La donna, trentenne alla data della separazione e non quarantenne come affermato dalla Corte, all’epoca della decisione oggetto del ricorso doveva ancora ritenersi in una condizione economica inadeguata a conservare il treno di vita fruito in precedenza e fornito soprattutto dai redditi del marito e quindi il diritto all’assegno non poteva che essere riconosciuto, mancando la prova di una condizione economica della coppia durante il matrimonio derivata anche da entrate di lei in aggiunta a quelle del marito e della esistenza, all’epoca della decisione sul ricorso di divorzio, di una migliore condizione reddituale e patrimoniale di lei. Ad evitare eccessivi vantaggi per la donna la misura dell’assegno è stata contenuta nei limiti di Euro 200,00 mensili oltre alla rivalutazione e la sentenza non viola quindi la L. n. 898 del 1970, art. 5 in ordine al riconoscimento dei presupposti di fatto del diritto all’assegno per la P. sulla base degli elementi documentali a disposizione e delle circostanze emerse come vere, perchè incontestate dalle parti. La frequenza a tempo pieno della scuola dalla figlia affidata alla madre non esclude le condizioni economiche inadeguate della donna che ben può avere, con sacrificio o con aiuti della famiglia di origine o di terzi, scelto tale tipo di frequenza scolastica per la minore, al fine di riuscire a svolgere il limitato lavoro che le fornisce i modesti proventi riconosciuti nella sentenza.

Se anche quello che in sentenza è definito alloggio di servizio è costituito da una camerata in caserma, ciò indica che il M. ha scelto tale sistemazione abitativa per risparmiare, mancando la prova che per lui non vi sarebbe potuta essere una diversa soluzione del problema, in ragione della insufficienza del suo reddito a tal fine. Nessuna inversione dell’onere della prova vi è stata in appello, avendo la donna provato che la sua condizione economica non era mutata e non avendo l’uomo dimostrato modificazioni sopravvenute delle condizioni di vita delle parti, che superassero la sperequazione esistente tra loro, che rendeva inadeguati i redditi della donna a conservare il tipo di vita già goduto durante la convivenza coniugale. La valutazione logica e priva di vizi giuridici, dalla Corte di merito, delle situazioni di fatto delle parti non è quindi mancante ed è inammissibile la richiesta di sostituirla con un diverso esame dei fatti precluso a questa Corte, per cui i primi due motivi del ricorso non possono che rigettarsi.

2.2. In ordine al terzo motivo di ricorso esso è in parte inammissibile, dovendosi escludere che la eventuale omessa pronuncia dalla Corte d’appello sulle istanze di prova testimoniale del M. – determini violazione dell’art. 112 c.p.c. che si riferisce solo alle domande proposte nel giudizio e alla loro causa petendi e non alle istanze istruttorie, di cui all’odierno art. 183 c.p.c., comma 7, e al previgente art. 184 c.p.c. nella versione ratione temporis applicabile.

Se sul piano della pretesa violazione dell’art. 112 c.p.c. il terzo motivo di ricorso è inammissibile, in ordine alla dedotta omessa motivazione del rigetto delle richieste istruttorie il ricorso è invece infondato, avendo la sentenza affermato, alle pagine 4 e 5, la non influenza ai fini della decisione delle prove articolate dal M., la cui assunzione si era chiesta comunque in via subordinata. La prova sulle “attuali” condizioni economiche dell’uomo e della donna comunque non è influente per dimostrare la condizione reddituale e patrimoniale della coppia durante la passata vita comune, come esattamente affermato dalla Corte, e quindi anche il terzo motivo di ricorso deve rigettarsi.

2.3. Il quarto motivo di ricorso è invece fondato. La logica del previgente comma 10 e L. n. 898 del 1970, attuale comma 13 come successivamente modificato, presuppone la regola che la natura costitutiva della sentenza di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio comporta che l’assegno di divorzio debba decorrere normalmente dalla data della pronuncia, prima della quale non emergono neppure le ragioni di solidarietà post – coniugale per le quali l’assegno di divorzio è previsto (cfr. Cass. 21 febbraio 2008 n. 4424). La facoltà di far decorrere l’assegno di divorzio da una data diversa da quella della sentenza è applicabile anche oltre il caso testuale della decisione non definitiva, estendendosi ad ogni tipo di pronuncia di divorzio (cfr. tra altre Cass. 30 agosto 2007 n. 18231) ma va motivata in quanto si giustifica per evitare che la durata del processo possa incidere negativamente sulla parte debole dello stesso (Cass. 21 luglio 2004 n. 13507).

La Corte ha nel caso deciso la deroga ai principi naturali in materia di decorrenza dell’assegno di divorzio, senza indicare le ragioni che giustificano tale decorrenza anticipata nè tenere conto che la P. nel suo status di separata, sussistente fino alla pronuncia di divorzio, aveva rinunciato ad ogni contributo di mantenimento del marito che le era stato negato dal Tribunale anche in sede di revisione delle condizioni accessorie alla separazione.

In quanto la decisione deroga alla regola di diritto per cui l’assegno decorre dal momento dell’effetto costitutivo dello scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio che rende “ex coniuge” il beneficiario di esso legittimandolo alla sua percezione viola la legge la mancata motivazione della disposta anticipazione alla data della domanda della decorrenza dell’assegno e quindi va accolto per tale profilo il quarto motivo di ricorso, con assorbimento conseguente di ogni questione in ordine all’accumulo di rivalutazione ed interessi, che da tale decisione deriverebbe.

3. In conclusione il primo, il secondo e il terzo motivo del ricorso devono rigettarsi, mentre va accolto il quarto; la sentenza impugnata deve cassarsi in relazione al motivo accolto e la causa deve quindi essere rinviata, anche per le spese della presente fase di legittimità, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

P.Q.M.

LA CORTE accoglie il quarto motivo del ricorso e rigetta gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione anche per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione prima civile della Corte suprema di Cassazione, il 14 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2011

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