LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LA TERZA Maura – rel. Presidente –
Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –
Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –
Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –
Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
C.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DARDANELLI 13, presso lo studio dell’avvocato PETRAGLIA FAUSTO, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
POSTE ITALIANE SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, V.LE MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3567/2007 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 08/10/2007, R.G.N. 4756/06;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/12/2010 dal Presidente Dott. MAURA LA TERZA;
Udito l’Avvocato PETRAGLIA FAUSTO;
Udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
C.G. impugnava davanti alla Corte d’appello di Roma la sentenza con cui il locale Tribunale aveva rigettato la domanda di nullita’ o inefficacia del licenziamento intimatogli dalla spa Poste Italiane. La Corte adita rigettava il gravame sul rilievo che in appello era stata proposta una domanda nuova rispetto a quelle proposte in primo grado, perche’, con il ricorso introduttivo si deduceva: la illegittimita’ della procedura in quanto di durata superiore a quella di legge; perche’ il criterio di individuazione dei lavoratori da collocare in mobilita’, basato sul conseguimento della pensione, era ontologicamente irrazionale; che illegittimamente la Societa’ condizionava l’accesso all’esodo incentivato alla preventiva rinunzia ad ogni diritto; che nella valutazione degli esuberi non era stato considerato il personale distaccato. Nel ricorso d’appello la illegittimita’ del licenziamento era stata invece fondata esclusivamente sulla inesistenza dei presupposti di fatto della “riduzione o trasformazione dell’attivita’ di lavoro” L. n. 223 del 1991, ex art. 24 su specifiche violazioni procedurali e sul difetto di oggettivita’ del criterio di scelta. La inammissibilita’ dell’impugnazione veniva ravvisata dalla sentenza impugnata anche su un ulteriore elemento, e cioe’ sulla mancata specificita’ dei motivi d’appello, il quale esige che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte, a confutazione, quelle dell’appellante, mentre, nella specie, questi aveva sviluppato le proprie ragioni disancorandole dalla parte motivazionale della sentenza impugnata e dalle ragioni poste a fondamento della decisione.
Avverso detta sentenza il signor C. ricorre con un motivo, illustrato da memoria. Resiste la spa Poste Italiane con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo si censura la sentenza per violazione dell’art. 437 cod. proc. civ. e per difetto di motivazione, perche’ la domanda non sarebbe stata modificata in appello, dal momento che le allegazioni del lavoratore licenziato sull’inesistenza di determinati fatti a giustificazione del licenziamento, ovvero sull’esistenza di circostanze atte a dimostrare la carenza di potere di licenziare, costituirebbero mere argomentazioni difensive che, non integrando una diversa causa petendi, possono essere sviluppate anche in appello, ai fini della verifica della legittimita’ del recesso. Il ricorso non merita accoglimento.
La sentenza impugnata infatti ha fondato il rigetto dell’impugnazione su due diverse e autonome rationes decidendi: perche’ in appello erano stati dedotti motivi di illegittimita’ del recesso diversi da quelli dedotti con il ricorso di primo grado e perche’ i motivi d’appello non erano specifici, non essendo state in alcun modo contestate le argomentazioni con cui la sentenza di primo grado era pervenuta alla dichiarazione di legittimita’ del recesso, essendosi l’appellante limitato a riproporre le proprie deduzioni senza confrontarsi con la motivazione svolta.
Con il ricorso e’ stata confutata solo la prima delle due rationes decidendi e non la seconda, onde va applicato il principio piu’ volte enunciato (tra le tante Cass. n. 12372 del 24/05/2006) per cui quando una decisione di merito, impugnata in sede di legittimita’, si fonda su distinte ed autonome “rationes decidendi” ognuna delle quali sufficiente, da sola, a sorreggerla, perche’ possa giungersi alla cassazione della stessa e’ indispensabile che il soccombente censuri tutte le riferite “rationes”, in caso contrario la sentenza impugnata continua a trovare fondamento sulla base delle argomentazioni non impugnate.
Il ricorso va quindi rigettato. Le spese del giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 18,00 oltre Euro tremila/00 per onorari, oltre spese generali, Iva e CPA. Cosi’ deciso in Roma, il 22 dicembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2011