LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MACIOCE Luigi – rel. Presidente –
Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –
Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –
Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –
Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
Avv. G.P., n.q. di curatore speciale del minore A.
G.P. ora B.G.P. elettivamente domiciliata in Roma, via Cicerone 44, presso l’avvocato AGUGLIA Bruno e rappresentata e difesa da se’ medesima;
– ricorrente –
contro
B.F. elett.te dom.ta in Roma via Cristoforo Colombo 436 presso l’avv. Vaccaro Oreste con l’avv. Cozzolino Giorgio che la rappresenta e difende per procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
A.B. – Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Catanzaro;
– intimato –
avverso la sentenza n. 1987 della Corte d’Appello di Catanzaro depositata il 29.5.2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18.01.2011 dal Consigliere Dott. Luigi MACIOCE;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. APICE Umberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
B.F. con ricorso 22.6.2007 chiese al Tribunale di Catanzaro di provvedere ai sensi dell’art. 250 c.c., comma 4 in relazione alla sua richiesta di riconoscere come proprio figlio il minore A.G.P. n. *****, riconosciuto da A. B.: questi aveva manifestato la propria opposizione al riconoscimento di essa istante ma non avrebbe avuto alcun titolo ad opporsi posto che non era il padre del minore e che lo aveva indebitamente riconosciuto, determinando l’apertura di un procedimento penale anche a carico della esponente per concorso in alterazione di stato ed illecito affidamento a terzi nonche’ di procedimento per la dichiarazione della adottabilita’ del minore stesso. Costituitosi l’ A., che ammetteva di non essere il padre del minore ed affermava di non opporsi alla dichiarazione dello stato di adottabilita’, il Tribunale, sull’assunto che il diritto della A. al riconoscimento dovesse essere escluso alla luce del gravissimo comportamento di abbandono e di concorso nella alterazione di stato, posto in essere al fine di consentire all’ A. di avere una discendenza che allo stesso era preclusa sul piano naturale, ha rigettato il ricorso.
Con sentenza 29.5.2009 la Corte di Catanzaro, in riforma della decisione dei primi giudici, ha autorizzato B.F. a riconoscere il proprio figlio G.P., al proposito affermando in motivazione che:
1) se con certezza poteva escludersi che A.B. fosse biologicamente padre di G.P., come accertato dalla sentenza 12.1.2009 al proposito emessa dal Tribunale di Paola, il fatto che essa non fosse ancora irrevocabile pertanto non escludeva l’interesse della B. ad ottenere pronunzia ex art. 250 c.c., comma 4;
2) il diritto ad effettuare il secondo riconoscimento del minore poteva essere sacrificato, secondo l’insegnamento del S.C., solo in presenza di gravissimi motivi attingenti lo stesso sviluppo psico fisico del minore;
3) nella specie la valutazione di esistenza di tali motivi effettuata dal Tribunale era fondata su elementi assai tenui, quali la richiesta di rinvio a giudizio della B., di A.B. e della di lui moglie per concorso continuato nei delitti di alterazione di stato e di illecito affidamento a terzi del minore, richiesta che parrebbe essere stata dichiarata nulla;
4) di contro la versione della B., plausibile, la dipingeva quale soggetto raggirato e non complice dei reati. Per la cassazione di tale sentenza il curatore del minore avv. G.P. ha proposto ricorso 30.4.2010 al quale si e’ opposta con controricorso 8.6.2010 B.F., nel mentre ne’ A.B. ne’ il P.G. intimati hanno svolto difese. Il ricorrente curatore lamenta, con il primo motivo, la violazione dell’art. 250 c.c., comma 4 per avere la Corte di merito ritenuto prevalente l’interesse della B. e sub valente quello del minore, da sempre estraneo al rapporto con la madre biologica ed affidato ad una vera famiglia.
Con il secondo motivo il curatore censura la illogicita’ della motivazione adottata, sia con l’affermazione della pretesa “nullita’” della richiesta di rinvio a giudizio (irrilevante in ordine alla pendenza penale) sia con l’accreditamento gratuito ed immotivato della versione della B. sia, infine, per avere mancato di valutare autonomamente ed ai fini propri le emergenze di P.G. sul grave comportamento della stessa. Nel controricorso la B. ha denunziato che l’impugnazione sollecitava la rivalutazione dei fatti ed ha opposto la propria situazione di madre fermamente determinata ad opporsi anche alla adozione del proprio figlio, non mancando di osservare quale iniquita’ si sarebbe potuta produrre ove ella venisse prosciolta dalla accusa di alterazione di stato ed illecito affidamento a terzi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Ritiene il Collegio che le censure esposte in ricorso non meritino condivisione.
La sentenza impugnata, infatti, contrariamente a quanto denunziato con il primo motivo non collide affatto con i principii affermati da questa Corte con riguardo alla latitudine della valutazione demandata al giudice dall’art. 250 c.c., comma 4: e’ stato infatti affermato che puo’ essere sacrificato il diritto al riconoscimento solo in presenza di un pericolo di danno gravissimo alle speranze di sviluppo psicofisico del minore (quali ad esempio quello derivante dai rischi correlati alla personalita’ altamente criminale del genitore istante, detenuto per gravi reati: cfr. Cass. 23074 del 2005- si richiama anche la sentenza 12894 del 2009). Ebbene, non si scorge come possa ritenersi integrata una situazione di siffatto gravissimo rischio, appunto ostativa al riconoscimento de quo, nel caso in cui l’accertamento delle responsabilita’ “abbandoniche” della madre – come logicamente rilevato dalla Corte – sia ben lungi dall’essere acquisito, difettando allo stato anche un rinvio a giudizio della stessa per le serie imputazioni ascrittele. Ne’, di converso, costituisce disapplicazione del richiamato principio, l’avere sottaciuto i rischi di distacco del minore dall’attuale contesto di affidamento, posto che non vi e’ alcun nesso tra l’attuazione del diritto alla genitorialita’ attraverso il riconoscimento e la valutazione, pertinente ad altre sedi, degli inconvenienti di un eventuale (e non oggetto di disamina) distacco, l’interferenza ostativa alla predetta attuazione essendo costituita, come dianzi detto, solo dal rischio grave di un pregiudizio allo sviluppo psicofisico del minore riconosciuto come correlato alla pura e semplice attribuzione della genitorialita’. Ne’ miglior sorte merita il secondo motivo, a mente del quale si censura la motivazione della Corte di merito per la quale la inesistenza di un attuale rinvio a giudizio renderebbe ancora insussistente la prova per sancire la indegnita’ al riconoscimento della B.. Ed invero, al di la’ della pertinenza del rilievo sulla nullita’ processuale della richiesta del rinvio a giudizio per i gravi fatti di alterazione ed abbandono, quel che rileva nella decisione della Corte di merito e’ la valutazione per la quale la mera pendenza del processo penale non integra condizione ex se ostativa all’autorizzazione al riconoscimento, neanche consentendo di disattendere la versione difensiva della B. (di essere essa stessa vittima di raggiro, piu’ che complice di alterazione di stato). La censura si appunta sulla sommarieta’ della valutazione e, in totale difetto di autosufficienza, sulla opportunita’ che la Corte avesse a scrutinare essa stessa le carte del processo penale, ricavandone la eloquente conferma della grave scelta della B. (carte delle quali si offre solo qualche sommario spunto e nessuna specifica ed esaustiva sintesi). Quanto alla notazione finale della Corte per la quale l’esito del processo penale potrebbe, se di condanna, condurre alla procedura di decadenza della B. dalla potesta’ genitoriale, essa, lungi dall’essere contraddittoria, appare frutto della corretta distinzione di piani delle valutazioni demandate alla Corte territoriale, quello della (in)esistenza di una gravissima attuale controindicazione al riconoscimento e quello della possibilita’ che in futuro al riconoscimento non segua l’ordinario sviluppo del rapporto genitoriale, distinzione logica e pertanto immune da vizi di sorta. La peculiarita’ della questione induce a disporre la compensazione delle spese.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio.
Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 gennaio 2011.
Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2011