Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.3825 del 16/02/2011

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 7144-2007 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 175, presso la DIREZIONE AFFARI LEGALI POSTE ITALIANE, rappresentata e difesa dall’avvocato GUADAGNI SIMONETTA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA 195, presso lo studio dell’avvocato VACIRCA SERGIO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato LALLI CLAUDIO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 225/2006 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 21/02/2006 r.g.n. 521/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 2 0/01/2011 dal Consigliere Dott. PIETRO ZAPPIA;

udito l’Avvocato URSINO ANNA MARIA per delega SIMONETTA GUADAGNI;

udito l’Avvocato RIZZO ROEERTO per delega VACIRCA SERGIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CESQUI Elisabetta che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Con ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Livorno, regolarmente notificato, M.A., assunto con contratto a tempo determinato dalla società Poste Italiane s.p.a. dal 31.1.1998 con successiva proroga dal 30.4.1998 al 30.5.1998, per “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione degli assetti occupazionali in corso e in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi ed in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”, rilevava che i motivi indicati nel contratto concluso non rientravano nell’ambito delle ipotesi previste, ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23 dall’art.. 8 del CCNL del 26 novembre 1994, non essendo state tra l’altro evidenziate le circostanze giustificatrici della deroga ai principi di cui alla L. n. 230 del 1962, per cui, essendo stata l’assunzione illegittima, il contratto si era convertito in contratto a tempo indeterminato. Chiedeva pertanto che, previa dichiarazione di illegittimità del termine apposto al predetto rapporto di lavoro, fosse dichiarata l’avvenuta trasformazione dello stesso in contratto a tempo indeterminato, con condanna della società al risarcimento del danno.

Con sentenza n. 298/03 depositata il 26.7.2003 il Tribunale adito rigettava la domanda.

Avverso tale sentenza proponeva appello M.A. lamentandone la erroneità sotto diversi profili e chiedendo l’accoglimento delle domande proposte con il ricorso introduttivo.

La Corte di Appello di Firenze, con sentenza in data 17.2/21.2.2006, accoglieva il gravame e dichiarava la natura a tempo indeterminato del rapporto in questione, condannando la società convenuta al ripristino dello stesso ed al pagamento in favore del ricorrente della retribuzione, con accessori.

In particolare la Corte territoriale rilevava che l’assunzione in parola, pur essendo stata dichiarata come effettuata ai sensi della disciplina legale vigente ed a norma dell’art. 8 del CCNL 26.11.1994 e dei successivi accordi integrativi, non conteneva alcuna concreta indicazione delle ragioni della stipulazione a termine sottese alla previsione – astratta e di natura programmatica – dell’accordo collettivo; ed in particolare mancava la necessaria specifica indicazione della incidenza della manovra riorganizzativa indicata nel predetto contratto con riferimento specifico alle mansioni in concreto attribuite al lavoratore interessato.

Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione la Poste Italiane s.p.a con tre motivi di impugnazione.

Resiste con controricorso il lavoratore intimato.

Lo stesso ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Col primo motivo di ricorso la società lamenta violazione ed erronea applicazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 (art. 360 c.p.c., n. 3).

Col secondo motivo la ricorrente lamenta violazione ed erronea applicazione dell’art. 1362 e segg. c.c. nonchè “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia” (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

Col terzo motivo lamenta omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5).

In particolare rileva che la Corte territoriale aveva ritenuto l’illegittimità del contratto in questione sotto il profilo che lo stesso non conteneva alcuna concreta indicazione delle ragioni di stipulazione del termine, sottese alla previsione, astratta e programmatica, dell’accordo collettivo, in tal modo incorrendo in un evidente vizio di violazione e falsa applicazione della normativa legale (L. n. 56 del 1997, art. 23), avuto riguardo alla pienezza della delega conferita dalla L. n. 56 del 1997, ed alla autonomia delle parti sociali in ordine alla individuazione di ipotesi ulteriori rispetto a quelle legislativamente previste; ciò in quanto l’accertamento della legittimità del contratto a termine in esame presupponeva esclusivamente l’effettiva esistenza del processo di riorganizzazione, e prescindeva dalla necessità di individuare specifiche ipotesi di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali.

E rileva inoltre che erroneamente la Corte territoriale aveva disatteso la richiesta della società di valutare l’aliunde perceptum, non accogliendo le istanze istruttorie (ordine di esibizione dei modelli 101 e 740 dell’interessata) ritualmente avanzate in primo grado e reiterate in appello, al fine di dedurre i ricavi conseguiti dal lavoratore e che sarebbero stati incompatibili con la prosecuzione della prestazione lavorativa, aggiungendo che la percezione da parte del lavoratore di altre somme dopo l’interruzione della funzionalità di fatto del rapporto non poteva che essere genericamente dedotta dalla società.

Il M. ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per violazione del principio di autosufficienza, non essendo dato rinvenire in atti alcun diretto riferimento alle norme contrattuali, collettive ed individuali, che disciplinavano il caso di specie.

La suddetta eccezione è infondata avendo la società ricorrente riportato le specifiche finalità e motivazioni del contratto stipulato tra le parti (“per esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione degli assetti occupazionali in corso e in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi ed in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”), ed affermato la legittimità del detto contratto in quanto stipulato in attuazione di una specifica causale individuata dalla contrattazione collettiva con l’art. 8 del CCNL 26.11.1994 e con il successivo accordo integrativo del 25.9.1997.

Posto ciò,rileva il Collegio che il ricorso è fondato.

Ed invero nella trattazione della presente vicenda giudiziaria occorre prendere le mosse dal motivo di gravame concernente la dedotta legittimità della apposizione del termine al contratto di questione, atteso il carattere assorbente di tale questione.

La statuizione della Corte territoriale si basa infatti sull’assunto secondo cui non sarebbe consentito al datore di lavoro di avvalersi liberamente del tipo contrattuale del lavoro a termine, senza l’individuazione di ipotesi specifiche di collegamento tra contratti ed esigenze aziendali.

Tale assunto contrasta con il costante insegnamento di questa Corte di cassazione (Cass. sez. lav., 29.7.2009 n. 17651; Cass. sez. lav., 23.6.2009 n. 14657; Cass. sez. lav., 27.2.2009 n. 4840; Cass. sez. lav., 7.3.2005 n. 4862; Cass. sez. lav., 26.7.2004 n. 14011), specificamente riferito ad assunzioni a termine di dipendenti postali previste dall’accordo integrativo 25 settembre 1997, secondo cui l’attribuzione alla contrattazione collettiva, ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23 del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato. “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato” (v., fra le altre, Cass. sez. lav., 4.8.2008 n. 21062; Cass. sez. lav., 23.8.2006 n. 18378).

Non può pertanto condividersi la motivazione della Corte territoriale la quale ha posto a fondamento della propria statuizione l’assunto secondo cui non sarebbe consentito autorizzare un datore di lavoro ad avvalersi liberamente del tipo contrattuale del lavoro a termine, senza l’individuazione di ipotesi specifiche di collegamento tra contratti ed esigenze aziendali cui sono strumentali. La sentenza si muove quindi erroneamente nella prospettiva che il legislatore non abbia conferito una delega in bianco ai soggetti collettivi, imponendo al potere di autonomia i limiti ricavabili dal sistema di cui alla L. n. 230 del 1962, art. 1, e ciò è in contrasto con quanto ripetutamente affermato da questa Corte e ribadito da ultimo dalle Sezioni Unite con sentenza 2 marzo 2006 n. 4588.

Orbene, la decisione della Corte di merito, con riferimento al contratto de quo, non è conforme al suddetto principio di diritto.

L’impugnata sentenza, in accoglimento del suddetto motivo di gravame nel quale rimangono assorbiti gli ulteriori, deve essere pertanto cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito con il rigetto delle domande proposte dal M..

Sul punto osserva il Collegio, in relazione alla questione relativa al superamento (o meno) della percentuale del 10% prevista dal contratto collettivo, richiamata dal lavoratore nella memoria ex art. 378 epe, che, avuto riguardo al carattere devolutivo dell’appello, l’odierno intimato, nel rilevare la “esistenza” della suddetta questione con la conseguente necessità, in ogni caso, di rinvio al giudice di secondo grado per la decisione sulla stessa, avrebbe dovuto riportare il contenuto dello specifico motivo di appello sul punto, stante il carattere pregiudiziale dell’accertamento della effettiva sottoposizione di tale questione al vaglio del suddetto giudice.

Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese relative ai due gradi del giudizio di merito, stante la peculiarità della materia che inizialmente aveva dato adito a diverse interpretazioni ed orientamenti giurisprudenziali, mentre vanno poste a carico del M., in considerazione dell’ormai intervenuto consolidamento dell’orientamento giurisprudenziale, le spese relative al presente giudizio di legittimità che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta le domande proposte con il ricorso introduttivo; compensa tra le parti le spese relative ai due gradi del giudizio di merito e condanna parte soccombente alla rifusione delle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 23,00 oltre Euro 2.500,00 (duemilacinquecento) per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge.

Così deciso in Roma, il 20 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2011

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