LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –
Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –
Dott. CORRENTI Vincenzo – rel. Consigliere –
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 16245/2005 proposto da:
A.A. C.F. *****, P.A. C.F.
*****, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA S. TOMMASO D’AQUINO 80, presso lo studio dell’avvocato GRASSI LUDOVICO, rappresentati e difesi dall’avvocato TEDESCO Ernesto;
– ricorrenti –
contro
AL.AN., in proprio e quale erede di B.G.
C.F. *****, A.M., in proprio e quale erede di Ba.Gi. C.F. *****, A.L., in proprio e quale erede di B.G. C.F.
*****, A.G., in prorpio e quale erede di b.g. e Al.Lu. C.F. *****, elettivamente domiciliati in ROMA, CIRCONVALLAZIONE CLODIA 88, presso lo studio dell’avvocato ARILLI GIOVANNI, rappresentati e difesi dall’avvocato FERRARA Giancarlo;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 3244/2004 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 17/12/2004;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 13/01/2011 dal Consigliere Dott. VINCENZO CORRENTI;
udito l’Avvocato Ferrara Giancarlo difensore del resistente che ha chiesto il rigetto;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GOLIA Aurelio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
FATTO E DIRITTO
Col primo motivo si lamentano violazione degli artt. 345 e 112 c.p.c., in relazione all’art. 1158 c.c., nullità della sentenza e del procedimento, vizi di motivazione per essere stata data valenza probatoria alla documentazione citata mentre solo in appello si era dedotta la mera tolleranza del proprietario in ragione dei vincoli di parentela.
Col secondo motivo si deducono vizi di motivazione sostanzialmente sotto i medesimi profili.
Le censure sono infondate essendo inidonee a superare la logica motivazione della sentenza impugnata che non ha ravvisato la sussistenza di un comportamento univoco, così da palesare l’animo di tenere la cosa come proprietari, risultando anzi, dal complesso dei documenti esaminati, il riconoscimento del diritto di proprietà di Al.Gi..
In particolare, in ordine alla prima doglianza, gli stessi ricorrenti ricordano che in primo grado i convenuti avevano resistito alla domanda di usucapione sostenendo che il proprietario aveva continuato ad esercitare le sue facoltà, impedendo l’acquisto a titolo originario agli attori, tesi non incompatibile con la dedotta tolleranza, a confutazione della sentenza di primo grado.
Comunque la domanda andava provata.
Questa Corte Suprema ha statuito che per il possesso “ad usucapionem”, è necessaria la sussistenza di un comportamento continuo, e non interrotto, inteso inequivocabilmente ad esercitare sulla cosa, per tutto il tempo all’uopo previsto dalla legge, un potere corrispondente a quello del proprietario o del titolare di uno “ius in re aliena” (“ex plurimis” Cass. 9 agosto 2001 n. 11000), un potere di fatto, corrispondente al diritto reale posseduto, manifestato con il compimento puntuale di atti di possesso conformi alla qualità e alla destinazione della cosa e tali da rilevare, anche esternamente, una indiscussa e piena signoria sulla cosa stessa contrapposta all’inerzia del titolare del diritto (Cass. 11 maggio 1996 n. 4436, Cass. 13 dicembre 1994 n. 10652).
Non è denunciabile, in sede di legittimità, l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alla validità degli eventi dedotti dalla parte, al fine di accertare se, nella concreta fattispecie, ricorrano o meno gli estremi di un possesso legittimo, idoneo a condurre all’usucapione (Cass. 1 agosto 1980 n. 4903, Cass. 5 ottobre 1978 n. 4454).
Tra l’altro l’eventuale godimento esclusivo non è idoneo a far ritenere lo stato di fatto funzionale al possesso “ad usucapionem”, se conseguenza di mera tolleranza (Cass. 15 giugno 2001 n. 8152, Cass. 23 giugno 1999 n. 6382, Cass. 18 febbraio 1999 n. 1367).
In ogni caso, è principio pacifico che il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi.
Alla cassazione della sentenza si può giungere solo quando la motivazione sia incompleta, incoerente ed illogica e non quando il giudice del merito abbia valutato i fatti in modo difforme dalle aspettative e dalle deduzioni di parte, mentre nella fattispecie il ragionamento svolto dai giudici di appello è ineccepibile, fondato su valutazioni coerenti del documento prodotto in atti, con pertinenti richiami alla consolidata giurisprudenza di questa Corte.
“Il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni addotte, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione.
Questi vizi non possono consistere nella diversità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice di merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova.
L’art. 360, n. 5, non conferisce, infatti, alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensì quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione compiuti dal giudice di merito, cui è riservato l’apprezzamento dei fatti. Ne deriva, pertanto, che alla cassazione della sentenza per vizio della motivazione, si può giungere solo quando tale vizio emerga dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, che si riveli incompleto, incoerente ed illogico, e non già quando il giudice del merito abbia semplicemente attribuito agli elementi valutati un valore ed un significato difformi dalle aspettative e dalle deduzioni di parte (Cass. 14 febbraio 2003 n. 2222)”.
In definitiva, il ricorso va interamente rigettato, con la conseguente condanna alle spese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese, liquidate in Euro 2200,00 di cui Euro 2000,00 per onorari, oltre accessori.
Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2011.
Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2011