LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –
Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –
Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –
Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –
Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso proposto da:
Azienda agricola Tiraboschi Giacomo e Pierangelo, società semplice, elettivamente domiciliata in Roma, Via Cicerone 28 (scala A int. 4), presso lo studio dell’avvocato Tommaso Manzo, rappresentata e difesa dall’avv.to BOCCHI Giovanni G., giusta delega a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi 12;
– controricorrente –
avverso la decisione n. 2/66/07 della Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, emessa il 15 gennaio 2007, depositata il 28 gennaio 2007, R.G. 3207/05;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. LECCISI Giampaolo;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio dell’11 novembre 2010 dal Consigliere Dott. Giacinto Bisogni;
rilevato che in data 5 ottobre 2010 è stata depositata relazione che qui si riporta:
Il relatore Cons. Dott. Giacinto Bisogni, letti gli atti depositati:
OSSERVA 1. La controversia ha per oggetto l’impugnazione da parte della ditta contribuente, l’Azienda agricola Tiraboschi Giacomo e Pierangelo s.s., dell’avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate di Crema con il quale era stato rettificato il dovuto per IVA relativa all’anno 1996 in conseguenza della verifica fiscale della Guardia di Finanza che aveva rilevato un affitto di quote latte fra la Tiraboschi e la ditta Piave realizzato mediante la simulazione di altri rapporti contrattuali che non avevano consentito l’esatta quantificazione del volume di affari soggetto ad IVA. La società ricorrente contestava la ricostruzione dei fatti derivante dalla verifica della Guardia di Finanza;
2. La C.T.P. di Cremona accoglieva il ricorso e la C.T.R. ha invece accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate rilevando la speciale efficacia probatoria dei verbali della Guardia di Finanza;
3. Ricorre per cassazione la ditta contribuente con due motivi di impugnazione:
Ritiene che:
1. Il ricorso sia inammissibile in quanto il primo motivo è sfornito di un valido quesito di diritto che si sostanzi in una interpretazione alternativa della norma di diritto pretesamente violata o falsamente applicata e dell’indicazione della norma violata o falsamente applicata (dica la S.C. se il mero richiamo acritico operato in un avviso di rettifica a un p.v.c. redatto dalla Guardia di Finanza possa valere quale motivazione compiuta del medesimo atto tributario, o se lo stesso debba ritenersi sotto tale profilo illegittimo per carenza di motivazione), il secondo motivo non contiene la sintesi richiesta dall’art. 366 bis, applicabile ratione temporis. Inoltre il primo motivo appare palesemente infondato perchè l’affermazione della C.T.R. circa il valore probatorio del p.v.c. della Guardia di Finanza è riferito ai fatti che esso ha rilevato e cioè l’esistenza di rapporti contrattuali che la C.T.R. ha interpretato secondo le deduzioni svolte nel p.v.c. ma sulla base dell’esercizio di un potere di valutazione del merito della controversia e non in forza ad un valore probatorio di tali deduzioni. Infine quanto al secondo motivo lo stesso appare privo di autosufficienza perchè non consente di valutare la congruità della motivazione dell’avviso di accertamento e investe la esaustività e logicità della motivazione mentre nella sua parte illustrativa accenna a una omessa pronuncia su una specifica eccezione che sarebbe stata svolta in primo grado e ribadita in appello circa la mancata indicazione nell’avviso delle norme di diritto, pretesamente, violate dalla contribuente;
2. sussistono i presupposti per la trattazione della controversia in camera di consiglio e se l’impostazione della presente relazione verrà condivisa dal Collegio per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso;
ritenuto che tale relazione appare pienamente condivisibile cosicchè il ricorso deve essere respinto con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di cassazione che liquida in Euro 1.300,00 oltre Euro 100,00 per spese e oltre spese generali e accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 novembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2011