LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROSELLI Federico – Presidente –
Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –
Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –
Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –
Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 6837-2007 proposto da:
A.M., R.F., in qualità di eredi di R.
L., elettivamente domiciliate in ROMA, VIALE DELL’UNIVERSITA’
11, presso lo studio dell’avvocato FABBRI FRANCESCO LUIGI, rappresentate e difese dall’avvocato COLI PAOLO, giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
CCEA COOPERATIVA COSTRUZIONI EDILI ED AFFINI SOC. COOP a r.l. in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, CIRCONVALLAZIONE CLODIA 29, presso lo studio dell’avvocato PICCINI BARBARA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato BENATTI FEDERICO, giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza. n. 208/2005 del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositata il 20/02/2006, R.G.N. 1439/99;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/02/2011 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;
udito l’Avvocato FABBRI FRANCESCO LUIGI;
udito l’Avvocato PICCINI BARBARA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE Tommaso che ha concluso per l’inammissibilità, in subordine il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La sentenza di cui si domanda la cassazione – in sede di giudizio di rinvio da Cass. 2 novembre 1998. n. 10944 – rigetta l’appello proposto da R.L. avverso la sentenza del Pretore di Reggio Emilia 1-3 settembre 1993, n. 441 del 1993 e dichiara il R. tenuto a restituire le somme percepite, sulla base della annullata sentenza del Tribunale di Reggio Emilia 9 marzo 1995, n. 205 del 1995, con gli interessi legali dal giorno della percezione.
Il Tribunale di Bologna, in primo luogo, sottolinea che dalla suddetta sentenza della Corte di cassazione si desume che ciò che in sede di legittimità è stato censurato nell’operato del Tribunale di Reggio Emilia è stata l’affermazione della origine professionale della malattia del R. effettuata attraverso l’acritico richiamo della certificazione rilasciata a riguardo dall’INAIL, senza attribuire alcun rilievo ai risultati della consulenza tecnica d’ufficio disposta in primo grado.
Conseguentemente, dopo aver disposto una seconda c.t.u. il Tribunale di Bologna perviene alla conclusione che le valutazioni svolte nelle complesse relazioni dei due consulenti non consentono di ritenere provata l’esistenza del nesso causale tra l’attività lavorativa (di saldatore tubista su condotte metanifere) e la patologia (aspergilloma polmonare) accusata dal R..
Dall’esclusione del raggiungimento della prova del nesso causale., dovuta all’accertata concreta possibilità dell’origine extraprofessionale della malattia, si desume, ad avviso del tribunale, l’inapplicabilità, nella specie, dell’art. 63 c.c.n.l. di settore – in base al quale l’infortunio sul lavoro o la malattia professionale impediscono il licenziamento del lavoratore per superamento del periodo di comporto – e quindi, il rigetto di tutte le domande del lavoratore e l’accoglimento della richiesta di restituzione avanzata dalla società C.C.E.A. nei suddetti termini.
Il ricorso di A.M. e R.F. proposto nella qualità di eredi di R.L. domanda la cassazione della sentenza per un unico articolato motivo: resiste con controricorso la C.C.E.A. Cooperativa Costruzioni Edili e Affini società cooperativa a responsabilità limitata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo di ricorso si denuncia: a) violazione e falsa applicazione di norme di diritto in tema di nesso di causalità, dell’art. 40 cod. pen., degli artt. 2727 e 2729 cod. civ.: b) omessa o comunque contraddittoria motivazione in ordine alle risultanze della disposta c.t.u. relativamente all’eziopatogenesi professionale della malattia contratta dal R.: c) violazione del principio di diritto enunciato da questa Corte nella sentenza 2 novembre 1998, n. 10944.
Principalmente ci si duole del fatto che il Tribunale di Bologna avendo ritenuto sufficiente la mera “possibilità” di una origine extraprofessionale della malattia per escludere l’esistenza del nesso causale, non avrebbe tenuto conto dell’orientamento di questa Corte secondo cui per ritenere provato il suddetto nesso è sufficiente un elevato grado di probabilità dell’origine professionale della patologia, desunto anche grazie all’utilizzazione di dati epidemiologici (come richiesto, invano, dal ricorrente, sulla base delle deduzioni del consulente di parte).
Inoltre si rileva che il Tribunale ha omesso di motivare sulle conclusioni del c.t.u. relative alla sussistenza di una eziologia professionale nella determinazione della malattia.
2. – Le censure del ricorrente sono infondate.
Va infatti, osservato che il Tribunale di Bologna, attenendosi a quanto stabilito dalla sentenza emessa nella fase rescindente, ha disposto una seconda consulenza tecnica di ufficio e, dopo avere esaminato le complesse e articolate valutazioni medico-legali dei due consulenti, ha escluso l’origine professionale della grave malattia contratta dal R. e ha dato conto, in modo congruo e logico, del ragionamento seguito per pervenire alla suddetta conclusione.
In particolare, il Tribunale ha sottolineato che l’aspergilloma polmonare è un’infezione dei polmoni dovuta all’inalazione delle spore fungine del cd. aspergillus fumigatus, molto diffuso in ogni ambiente. Il carattere ubiquitario del fungo ha indotto il primo c.t.u. ad affermare che il R. avrebbe potuto contrarre la malattia in qualsiasi fase della vita e nei luoghi più diversi:
mentre il secondo c.t.u. ha espressamente precisato che l’esposizione al fungo in ambito professionale poteva considerarsi del tutto fortuita.
3. in questa situazione, le censure che vengono mosse dal ricorrente alla sentenza attualmente impugnata si sostanziano in un mero dissenso diagnostico rispetto all’origine della patologia contratta dal R. e non attengono, quindi, a vizi del processo logico- formale seguito dal Tribunale di Bologna, ma consistono invece in pure e semplici critiche al convincimento espresso dal giudice del merito che come tali, non possono avere ingresso in questa sede.
Infatti, per orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, qualora il giudice del merito fondi la sua decisione sulle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio (o anche sulla valutazione – delle diverse relazioni dei consulenti tecnici di ufficio, fra loro sostanzialmente concordanti), facendole proprie, affinchè sia denunciabile in cassazione il vizio di omessa o insufficiente motivazione della sentenza è necessario che nella sentenza stessa si riverberino carenze o deficienze diagnostiche o affermazioni illogiche o scientificamente errate derivanti da eventuali errori e lacune della consulenza, non già che siano riscontrabili semplici difformità tra la valutazione della o delle c.t.u. circa l’entità e l’incidenza del dato patologico e il valore diverso allo stesso attribuito dalla parte. Conseguentemente, va rigettato il ricorso avverso la sentenza che condividendo la relazione del c.t.u. abbia escluso la derivazione causale della malattia (o dell’infortunio) dall’attività di lavoro, quando il ricorrente si limiti ad invocare una diversa valutazione scientifica delle prove raccolte (Cass. 10 novembre 2010, n. 22707; Cass. 29 aprile 2009 n. 9988: Cass. 22 maggio 2004. n. 9869; Cass. 1 7 aprile 2004. n. 7341).
Inoltre, per quanto riguarda in particolare la valutazione circa la sussistenza o meno del nesso causale in ordine all’origine professionale di una patologia, è altrettanto consolidato l’indirizzo secondo cui tale valutazione costituisce un giudizio di fatto che. se congruamente motivato, non è censurabile dal giudice di legittimità (vedi per tutte: Cass. 23 marzo 2004. n. 5806; Cass. 26 luglio 2006. n. 17006). salvo restando che all’accertamento probatorio di natura medico-legale diretto a verificare la dipendenza causale di una determinata malattia rispetto ad un’attività lavorativa, trova applicazione il criterio secondo il quale deve ritenersi acquisita la prova del nesso causale nel caso sussista un’adeguata probabilità, sul piano scientifico, della risposta positiva: ove. invece, l’accertamento, basato su elementi indizi uri.
riguardi i fatti materiali, la valutazione probabilistica è ammissibile ma si inserisce nell’ambito dell’apprezzamento discrezionale rimesso al giudice di merito circa l’idoneità probatoria di un determinato quadro indiziario (Cass. 26 marzo 2010.
n. 7352).
3. In sintesi il ricorso deve essere rigettato.
La complessità e delicatezza della controversia consigliano di compensare le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Spese compensate.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione lavoro, il 9 febbraio 2011.
Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2011