Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.5306 del 04/03/2011

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

B.A. ***** elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COLA DI RIENZO 184, presso lo studio dell’avvocato MARCHETTI ALBERTO, rappresentato e difeso dall’avvocato DIMASI LIDIA, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

SOCIETA’ SIR SRL in liquidazione (*****) in persona del legale rappresentante pro-tempore elettivamente domiciliata in ROMA, CIRCONVALLAZIONE TRIONFALE 77, presso lo studio dell’avvocato GUGLIOTTA CAROLA, rappresentato e difeso dall’avvocato SORBELLO GAETANO, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 271/2009 della CORTE D’APPELLO di MESSINA del 10/3/09, depositata il 26/03/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’11/01/2011 dal Consigliere Relatore Dott. PIETRO CURZIO;

e’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. RENATO FINOCCHI GHERSI.

FATTO E DIRITTO

B.A. chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’Appello di Messina, pubblicata il 26 marzo 2009.

La Corte rigetto’ il suo appello contro la decisione con la quale il Tribunale di Messina aveva respinto la domanda volta alla declaratoria di illegittimita’ del licenziamento intimatogli dalla SIR per l’attivita’ concorrenziale, svolta in violazione del dovere di fedelta’.

Il ricorrente propone due motivi di ricorso. La controparte si e’ difesa con controricorso.

Con il primo motivo il ricorrente denunzia la violazione dell’art. 2105 cod. civ., formulando il seguente quesito: “in una fattispecie come quella in esame costituisce violazione ai sensi dell’art. 2105 cod. civ. dell’obbligo di fedelta’ qualsiasi attivita’ posta in essere dal dipendente dopo la cessazione del rapporto di lavoro?”.

Il quesito, al pari invero del motivo, e’ assolutamente generico e quindi inammissibile.

Peraltro vi e’ corrispondenza solo parziale tra esposizione del motivo e quesito.

Il secondo motivo attiene ad un vizio di “contraddittoria, omessa, insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia, nonche’ errata contraddittoria e discordante interpretazione delle chiare ed inequivocabili risultanze istruttorie”.

Anche il contenuto di questo motivo, risolvendosi nella richiesta di una diversa valutazione del quadro probatorio, si colloca al di fuori del perimetro del giudizio per cassazione. Peraltro, le circostanze su cui verterebbe il vizio di motivazione appaiono irrilevanti perche’ ai fini della violazione del dovere di non concorrenza e’ sufficiente la partecipazione alle gare di appalto.

Il ricorso pertanto e’ manifestamente infondato. Le spese devono essere poste a carico della parte che perde il giudizio.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna ^ricorrente alla rifusione alla controparte delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in 30,00 Euro, nonche’ 3.000,00 Euro per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2011

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