Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.5454 del 08/03/2011

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 2328/2008 proposto da:

O.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO 16, presso lo studio dell’avvocato CERUTTI Gilberto, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

IL NUOVO GALLETTO S.R.L.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 7630/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 11/01/2007 r.g.n. 3580/05;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 11/02/2011 dal Consigliere Dott. ULPIANO MORCAVALLO;

udito l’Avvocato ANDREA ZANELLO per delega GILBERTO CEROTTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUCCI Costantino, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 25 maggio 2004 il Tribunale di Roma, in parziale accoglimento della domanda proposta da O.A. nei confronti della società datrice di lavoro “IL nuovo Galletto” s.r.l., condannava quest’ultima al pagamento di differenze retributive e respingeva, invece, la domanda intesa alla declaratoria di illegittimità del licenziamento dedotto. Tale decisione veniva confermata dalla Corte d’appello di Roma, che, con la sentenza qui impugnata, rilevava che il lavoratore non aveva provato l’esistenza di un licenziamento, che, al contrario, era emerso che egli si era allontanato volontariamente dal lavoro, a seguito di un diverbio, e non era più tornato, sì che la società, trascorsi dodici giorni, del tutto correttamente ne aveva ritenuto le dimissioni, non essendo prevista, dal contratto collettivo, la forma scritta ad substantiam per manifestare la volontà di porre fine al rapporto di lavoro.

2. Di questa sentenza il lavoratore domanda la cassazione con ricorso articolato in quattro motivi. La società non ha svolto difese in questa fase processuale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo si deduce che la sentenza impugnata, nel ricondurre la cessazione del rapporto alle dimissioni volontarie del lavoratore, ha violato l’art. 144 del c.c.n.l. che non prevede le dimissioni per fatti concludenti fra le cause di licenziamento per giusta causa.

2. Con il secondo motivo si lamenta la violazione degli art. 1324 e 1362 c.c. e art. 116 c.p.c., per avere la Corte di merito escluso la sussistenza di un “licenziamento per dimissioni presunte”.

3. Con il terzo motivo si lamenta che la sentenza impugnata, da un lato, non abbia considerato che il datore di lavoro, nel comunicare la cessazione del rapporto di lavoro, avrebbe dovuto attivare la procedura di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 7 e, dall’altro, abbia considerato valide le dimissioni anche in assenza di forma scritta.

4. Con il quarto motivo il ricorrente si duole della mancata configurazione di un licenziamento, pur in presenza di una esplicita volontà in tal senso manifestata dalle parti mediante la comunicazione datoriale di recesso e la successiva impugnativa di licenziamento da parte del lavoratore.

5. L’esame congiunto di tali motivi ne rivela l’infondatezza in ognuno dei profili di censura così evidenziati.

5.1. La doglianza relativa alla mancata previsione contrattuale delle “dimissioni presunte” come giusta causa di licenziamento e quella relativa alla mancata attuazione della procedura disciplinare sono inconferenti rispetto al decisum, poichè la sentenza impugnata ha escluso esplicitamente la configurazione di un licenziamento. Al riguardo, il ricorrente si limita, inammissibilmente, a contrapporre una propria tesi interpretativa – circa l’effettiva volontà manifestata dal datore di lavoro – rispetto all’interpretazione adottata dal giudice di merito, che ha considerato la comunicazione datoriale come mera presa d’atto di un recesso unilaterale già posto in essere dal lavoratore per facta concludentia; nè può rilevare, ai fini esegetici, che il lavoratore abbia inteso tale comunicazione come un licenziamento, così procedendo alla impugnazione ai sensi della L. n. 604 del 1966, art. 6.

5.2. Riguardo alla forma delle dimissioni, la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione del consolidato principio giurisprudenziale secondo cui il recesso volontario del lavoratore può essere desunto da dichiarazioni o comportamenti che, inequivocamente, manifestino l’intento di recedere dal rapporto, come nel caso in cui il prestatore si sia allontanato dal posto di lavoro e non si sia più presentato per diversi giorni (cfr. ex plurimis n. 6604 del 2000); l’applicazione di tale principio, d’altra parte, non è esclusa, nel caso di specie, dalla previsione della disposizione contrattuale invocata dal ricorrente, che non prevede la forma scritta ad substantiam, dovendosi perciò intendere la presentazione di una disdetta scritta come un onere a carico del prestatore e non come un intrinseco requisito di validità del recesso.

6. In conclusione il ricorso è respinto. Nulla per le spese in mancanza di attività difensive della parte intimata

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, il 11 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2011

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472