LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FILADORO Camillo – Presidente –
Dott. SPIRITO Angelo – rel. Consigliere –
Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –
Dott. CARLUCCIO Giuseppa – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
MINISTERO INTERNO, in persona del Ministro p.t., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso gli Uffici dell’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui e’ difeso per legge;
– ricorrente –
e contro
P.B.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 19687/2008 del TRIBUNALE di ROMA, Seconda Sezione Civile, emessa il 07/10/2008, depositata il 08/10/2008;
R.G.N. 196/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/02/2011 dal Consigliere Dott. ANGELO SPIRITO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PRATIS Pierfelice che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTO E DIRITTO
La Corte:
Rilevato che:
l’ufficiale dei CC. P. cito’ il Ministero dell’Interno dopo avere appreso dell’esistenza nella Banca Dati SDI delle Forze di Polizia di un’annotazione che lo riguardava,- con riferimento ad una banda camorristica, chiedendo, dunque, la cancellazione dell’annotazione ed il risarcimento del danno;
il Tribunale di Roma, attraverso la procedura di cui al D.Lgs. n. 196 del 2003, ha accolto la domanda;
propone ricorso per cassazione il Ministero dell’Interno attraverso quattro motivi, con i quali sostiene:
1) che il trattamento in questione attiene alla materia della pubblica sicurezza, con conseguente applicazione della procedura di cui alla L. n. 121 del 1981 (domanda al Tribunale penale di cancellazione dell’annotazione) e non di quella di cui al D.Lgs. n. 196 del 2003;
2) conseguente competenza del Tribunale penale;
3) i dati in questione non potevano essere conosciuti ne’ dal P., ne’ da altro soggetto senza speciale autorizzazione;
4) nella specie, considerata l’inapplicabilita’ del D.Lgs. n. 196 del 2003, non sarebbero stati provati tutti gli elementi a fondamento della responsabilita’ aquiliana;
osserva che:
i motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, sono infondati;
l’azione in questione e’ stata, infatti, proposta ed accolta sia per la cancellazione della annotazione contenuta nella banca dati e riguardante il P., sia, ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 15 e art. 2050 c.c. per danni all’immagine professionale del medesimo;
correttamente, dunque, e’ stato utilizzato il paradigma processuale di cui all’art. 152 del menzionato D.Lgs., il quale, nell’u.c., stabilisce l’applicabilita’ delle sue stesse disposizioni “anche nei casi previsti dalla L. 1 aprile 1981, n. 121, art. 10, comma 5, e successive modificazioni”;
quanto all’accesso ai dati, la sentenza impugnata ha correttamente argomentato in ordine al fatto che esso, sep-pur limitato, e’ comunque consentito a soggetti autorizzati, con la conseguente estensione della sfera del danno;
il ricorso deve essere, pertanto, respinto, senza alcun provvedimento in ordine alle spese del giudizio di cassazione, in considerazione della mancata difesa dell’intimato.
P.Q.M.
LA CORTE rigetta il ricorso.
Cosi’ deciso in Roma, il 3 febbraio 2011.
Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2011