LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FILADORO Camillo – Presidente –
Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – rel. Consigliere –
Dott. LEVI Giulio – Consigliere –
Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –
Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 8430/2006 proposto da:
F.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 68/A, presso lo studio dell’avvocato PETRETTI ALESSIO, rappresentato e difeso dall’avvocato CARBONE Gianfranco giusta delega a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
UNICREDIT BANCA S.P.A. (già CASSA DI RISPARMIO DI TRIESTE), in persona del procuratore e legale rappresentante pro tempore Avv. M.F.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G.
ZANARDELLI 20, presso lo studio dell’avvocato ALBISINNI Luigi, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato BORGNA GIOVANNI giusta delega al ricorso notificato;
RIUNIONE ADRIATICA DI SICURTA’ S.P.A., in persona dei legali rappresentanti Dott. R.G. e Dott. C.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PANAMA 88, presso lo studio dell’avvocato SPADAFORA GIORGIO, che la rappresenta e difende giusta delega a margine del controricorso;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 443/2005 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE –
Sezione Seconda Civile, emessa il 30/5/2005, depositata il 14/7/2005, R.G.N. 698/2003;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 22/02/2011 dal Consigliere Dott. BRUNO SPAGNA MUSSO;
udito l’Avvocato GIORGIO SPADAFORA;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato in data 28.1.98 F.M. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Trieste, la Cassa di Risparmio di Trieste s.p.a. per sentirla condannare all’integrale risarcimento dei danni patiti in cagione di un sinistro avvenuto all’interno di edificio di proprietà della convenuta, quantificati in oltre L. 136.000.000.
A sostegno della pretesa deduceva che, in data 2.7.92, si trovava all’interno dell’edificio di proprietà della convenuta, nell’atto di scendere una scalinata, allorquando era caduto andando a sbattere con il mento contro il pavimento o il muro così riportando gravi danni al volto e in particolare all’apparato masticatorio; individuava la colpa della convenuta nella negligente manutenzione della scala intrinsecamente sdrucciolevole per il materiale del quale era composta (marmo lucido) e sprovvista di protezione antisdrucciolo, inoltre lucidata a cera.
Si costituiva la Cassa di Risparmio di Trieste asserendo che il F. era caduto senza alcun nesso di causalità con le cose in custodia; si costituiva anche la Ras.
L’adito Tribunale, con sentenza in data 28.4.2003, rigettava la domanda, ritenendola non provata ed emergendo per tabulas il regolare funzionamento della scala e tale da non presentare alcuna insidia.
A seguito dell’appello prodotto dal F., costituitesi le appellate, la Corte d’Appello di Trieste, con la decisione in esame, rigettava il gravame e confermava quanto statuito in primo grado,affermando in particolare che il F. non aveva dimostrato il nesso causale fra la cosa in custodia e l’evento e cioè l’esistenza di un’insidia connaturale e intrinseca ovvero sopravvenuta e transitoria che avrebbe dotato la cosa (di per sè inerte) del necessario dinamismo idoneo alla produzione del danno (ed aggiungendo che di oscurità si era parlato per la prima volta nell’atto d’appello e la prova non può risiedere nelle dichiarazioni rese dall’attore. Delle altre insidie indicate dall’attore appellante non vi è prova).
Ricorre per cassazione il F. con due motivi; resiste con controricorso la Ras, che ha depositato altresì memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si deduce “violazione di legge ed omessa o insufficiente motivazione”; si afferma in proposito che “sul punto appaiono non convincenti le motivazioni della sentenza d’Appello che parla di costruzione perfetta e di uso di materiali e di tecniche costruttive imposte dai severi controlli pubblici ad una così importante ristrutturazione dal punto di vista architettonico”.
Con il secondo motivo si deduce ancora difetto di motivazione in relazione alla responsabilità ex art. 2051 c.c.; si afferma che detta norma dispone che chi ha cose in custodia risponde del relativo danno salva la prova del caso fortuito.
Il ricorso non merita accoglimento in relazione ad entrambe dette censure.
La decisione impugnata ha, con sufficienti e logiche argomentazioni e sulla base di un compiuto esame delle risultanze processuali, affermato che “l’attore appellante aveva avanzato una determinata richiesta economica in base al presupposto dell’urto del suo mento contro un ostacolo solido con rottura della protesi…..il fatto ritenuto in sentenza è diverso da quello prospettato dall’attore e, pur dotato di causalità idonea ad integrare la responsabilità del custode della cosa, resta estraneo alla richiesta risarcitoria fondata su diversa e indimostrata dinamica dell’evento.
Ma a prescindere dalle svolte considerazioni la domanda del F. è manifestatamene infondata……il F. non ha dimostrato il nesso causale tra la cosa in custodia e l’evento”.
Pertanto infondati sono i profili di censura riguardanti il difetto di motivazione e non meritevole di accoglimento è la doglianza ex art. 2051 c.c..
Già questa Corte, infatti, con la sentenza n. 8005/2010, in una controversia analoga, ha statuito che la responsabilità prevista dall’art. 2051 c.c., per i danni cagionati da cose in custodia presuppone la sussistenza di un rapporto di custodia della cosa e una relazione di fatto tra un soggetto e la cosa stessa, tale da consentire di potere di controllarla, di eliminare le situazioni di pericolo che siano insorte e di escludere i terzi dal contatto con la cosa stessa; detta norma non dispensa il danneggiato dall’onere di provare il nesso causale tra cosa in custodia e danno, ossia di dimostrare che l’evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, della cosa, mentre resta a carico del custode la prova contraria del caso fortuito (avente impulso causale autonomo, imprevedibile ed eccezionale).
Nella vicenda in esame la Corte di merito, sulla base del suo potere discrezionale, ha escluso che l’odierno ricorrente abbia, in relazione a quanto esposto, adempiuto l’onere probatorio a suo carico.
In relazione alla natura della controversia sussistono giusti motivi per compensare tra tutte le parti le spese della presente fase.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.
Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2011.
Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2011