Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.23322 del 16/11/2016

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Presidente –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – rel. Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3692/2014 proposto da:

B.B.

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO della ***** s.r.l.; G.M.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 6972/2013 della CORTE d’appello di ROMA, depositata il 30/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 05/07/2016 dal Consigliere Relatore, D.ssa Magda Cristiano;

udito l’avvocato R.N., difensore della ricorrente, che si riporta agli atti.

FATTO E DIRITTO

E’ stata depositata la seguente relazione:

1) XX s.r.l., in persona del legale rapp.te C.M.A., impugna con ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, la sentenza della Corte d’appello di Roma del 30.12.013 che ha respinto il reclamo da essa proposto avverso la sentenza dichiarativa del suo fallimento.

Con l’unico motivo di ricorso la società lamenta che la corte del merito, pur avendo accertato che la sua attività era cessata sin dal 2005, abbia escluso che, in mancanza di produzione dei bilanci relativi all’ultimo triennio, tale circostanza bastasse a ritenere provata la sua non assoggettabilità a fallimento per difetto dei requisiti dimensionali di cui alla L. Fall., art. 1, comma 1, ed abbia altresì respinto l’istanza di attivazione dei suoi poteri inquisitori d’ufficio c/o di ammissione di una ctu.

Il motivo appare in parte infondato e in parte inammissibile.

L’onere di provare il mancato superamento delle tre soglie dimensionali al di sotto delle quali non può farsi luogo alla dichiarazione di fallimento incombe sul debitore.

Può convenirsi con la ricorrente che, anche in mancanza di deposito dei bilanci, l’avvenuta cessazione da molti anni dell’attività di impresa valga, quantomeno in via presuntiva, a provare che nel triennio anteriore alla presentazione dell’istanza di fallimento l’imprenditore non ha conseguito ricavi e che l’attivo patrimoniale non ha superato quello indicato nell’ultimo bilancio approvato. La circostanza è però del tutto irrilevante ai fini della prova che l’ammontare complessivo dei debiti non supera i 500.000 Euro, atteso che gli stessi ben potrebbero essere sorti o, quantomeno, essere stati accertati in data successiva alla cessazione dell’attività (si pensi ad. es., ai debiti fiscali o contributivi, ma anche ai debiti risarcitoti derivanti da pregressi inadempimenti contrattuali) ed essere rimasti insoluti.

Avuto riguardo al requisito di cui alla L. Fall., art. 1, comma 1, lett. c), anche in un caso quale quello di specie va dunque pienamente condiviso l’assunto del giudice del merito secondo cui la produzione dei bilanci dell’ultimo triennio costituisce base documentale imprescindibile per sottrarsi alla dichiarazione di fallimento (cfr. Cass. n. 8769/012).

Va aggiunto, sotto altro profilo, che, poichè la pronuncia di rigetto del reclamo si fonda unicamente sul mancato assolvimento dell’onere della prova che incombeva sulla B.B., va escluso che la corte del merito abbia (implicitamente) accertato che l’ammontare dei debiti della società non superava quello indicato nell’ultimo bilancio approvato (relativo all’esercizio 2004).

Quanto alla mancata ammissione della ctu (che la corte del merito ha ritenuto meramente esplorativa) la ricorrente, che nel corso del giudizio di merito non ha prodotto neppure le scritture contabili, non chiarisce sulla scorta di quali dati l’indagine potesse essere condotta. Inammissibile, infine, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, è la censura con la quale la B.B. lamenta la mancata attivazione da parte del giudice del merito dei propri poteri istruttori officiosi, senza però specificare quali siano i documenti di cui ha chiesto l’acquisizione e senza illustrarne la decisività ai fini dell’accertamento del mancato raggiungimento della soglia di fallibilità di cui alla già cit. lett. c) della L. Fall., art. 1, comma 1.

Il ricorso dovrebbe, in conclusione, essere respinto, con decisione che potrebbe essere assunta in Camera di consiglio ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c..

Il collegio ha esaminato gli atti, ha letto la relazione e ne ha condiviso le conclusioni, non utilmente contrastate dalle difese svolte all’udienza camerale dal procuratore della ricorrente, la quale non può che imputare a se stessa l’omessa redazione dei bilanci.

Il ricorso va pertanto respinto.

Poichè le parti intimate non hanno svolto attività difensiva, non v’è luogo alla pronuncia sulle spese.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

Così deciso in Roma, il 5 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2016

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