Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.23674 del 01/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21663-2011 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

CENTRO COMMERCIALE VILLA ZINA SRL;

– intimato –

avverso la sentenza n. 417/2010 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di CATANIA, deposizata il 27/09/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 06/07/2018 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI.

RITENUTO

che l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti del Centro Commerciale Villa Zina s.r.l., che non ha svolto attività difensiva, avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, indicata in epigrafe, con la quale – in controversia concernente l’impugnazione dell’avviso di accertamento emesso, a carico della società, per maggiori redditi d’impresa, relativamente all’anno d’imposta 2000, a seguito di verifica fiscale iniziata dalla Guardia di Finanza il 26/1/2001, e della contestazione delle maggiori rimanenze contabilizzate, rispetto a quelle constatate dai militari, con presunzione di cessione, ai sensi del D.P.R. n. 441 del 1997, artt. 1 e 4 e di conseguenti ricavi non dichiarati – è stata riformata la decisione di primo grado, che aveva solo parzialmente accolto il ricorso della contribuente;

che il Giudice di appello ha annullato integralmente l’atto impositivo sulla scorta della rilevata illegittimità del metodo, utilizzato dall’Ufficio, di imputare all’annualità 2000 il fatto accertato nel 2001, in quanto “le rimanenze di un periodo d’imposta costituiscono giacenze del periodo d’imposta successivo”, per cui “il mancato reperimento materiale dei beni nel luogo o nei luoghi di esercizio dell’attività del contribuente fa scattare la presunzione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55”, (…) e “le rimanenze in chiusura d’anno di imposta costituiscono giacenze del periodo d’imposta successivo”, nella specie, l’annualità 2001.

CONSIDERATO

che la ricorrente, con il primo motivo, lamenta ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, non avendo il giudice di appello tenuto conto del fatto che l’Ufficio poteva legittimamente procedere all’accertamento induttivo, ed a ritenere, per l’anno d’imposta oggetto di verifica, a fronte delle giacenze, ed in assenza di specifiche e documentalmente provate giustificazioni, ricavi non dichiarati, in quanto la contabilità tenuta in modo irregolare consente di avvalersi delle presunzioni, anche se prive dei requisiti di precisione, gravità e concordanza, constatata l’enorme discordanza tra quanto dichiarato a titolo di rimanenze finali (Euro 680.000.000), e quanto riscontrato dai verificatori al momento dell’accesso (gennaio 2001);

che, con il secondo motivo, lamenta ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 441 del 1997, art. 4 giacchè il giudice di appello non ha tenuto conto del fatto che la disposizione, pure richiamata nella impugnata sentenza, trova applicazione in tema di IVA, mentre, nel caso di specie, dal mancato rinvenimento, nei primi giorni del 2001, di merce in giacenza per un valore di circa dieci volte superiore a quello dichiarato dalla contribuente al temine dell’anno 2000, l’Ufficio poteva ragionevolmente presumere che quanto non rinvenuto, fosse stato oggetto di cessione nel corso del predetto periodo d’imposta, senza che si fosse proceduto alla tempestiva contabilizzazione delle relative operazioni di vendita, essendo del tutto inverosimile ritenere il contrario;

che le censure, scrutinabili congiuntamente in quanto logicamente connesse, sono fondate e meritano accoglimento, per le ragioni di seguito esposte;

che, come questa Corte ha già avuto modo di chiarire, “in tema di IVA, gli effetti della presunzione di cessione dei beni acquistati, importati o prodotti, prevista dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 53 operano – come successivamente chiarito anche dal D.P.R. 10 novembre 1997, n. 441, art. 4 – con riferimento al momento di inizio delle operazioni di verifica ed al periodo d’imposta oggetto di controllo”, per cui non è consentito “al contribuente”, al fine di superare la presunzione, alterare il presupposto della norma mediante una “spalmatura” delle riconosciute cessioni in frode all’imposta, sugli anni anteriori a quello dell’accertamento, e che si rendono irrilevanti le vicende tributarie relative a quegli anni” (Cass. n. 3949/2002);

che, come ulteriormente precisato da questa Corte, in tema di accertamento dell’IVA e delle imposte sui redditi, in base al D.P.R. n. 441 del 1997, art. 4, comma 2, “le eventuali differenze quantitative derivanti dal raffronto tra le risultanze delle scritture ausiliarie di magazzino di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 14, comma 1, lett. d) o della documentazione obbligatoria emessa e ricevuta, e le consistenze delle rimanenze registrate costituiscono presunzione di cessione o di acquisto per il periodo d’imposta oggetto del controllo, presunzione che è relativa e superabile non con qualunque mezzo di prova, ma solamente con le prove tassativamente indicate dal citato D.P.R., artt. 1 e 2” (Cass. n. 13120/2012);

che, dunque, mentre, ai sensi del citato art. 4, comma 1 gli effetti delle presunzioni di cessione e di acquisto, conseguenti alla rilevazione fisica dei beni, operano esclusivamente al momento dell’inizio degli accessi, controlli e verifiche (“1. Gli effetti delle presunzioni di cessione e di acquisto, conseguenti alla rilevazione fisica dei beni, operano al momento dell’inizio degli accessi, ispezioni e verifiche”), ai sensi del successivo comma 2, le “eventuali differenze quantitative derivanti dal raffronto tra le risultanze delle scritture di magazzino di cui al D.P.R. n. 600 del 1973 o della documentazione obbligatoria emessa e ricevuta e le consistenze delle rimanenze finali registrate da/lo stesso contribuente”, costituiscono “presunzioni di cessione o di acquisto per il periodo d’imposta oggetto del controllo”;

che, in tal caso, le presunzioni di cessioni e di acquisto operano anche per i periodi d’imposta precedenti all’anno in corso, ma comunque oggetto del controllo, qualora emergano, in relazione a tali annualità, le differenze quantitative di cui sopra;

che, secondo il dettato normativo, la presunzione di maggiori ricavi discende, a fronte delle riscontrate differenze inventariali, per tutto il periodo d’imposta accertato, e dunque per l’anno d’imposta (2000) oggetto di controllo, ancorchè non coincidente con l’anno (2001) in cui è avvenuto l’accesso da parte dei verificatori, dallo scostamento palese tra il valore (Lire 680.000.000) delle rimanenze della merce al 31/12/2000, e quello (Lire 66.822.000) della merce rinvenuta dai verificatori, nel gennaio 2001, giacente presso i locali del centro commerciale denominato Villa Zina, stante l’inverosimiglianza di una diversa ricostruzione della fattispecie rispetto a quella induttivamente effettuata dall’Ufficio e non adeguatamente confutata dalla parte privata;

che, peraltro, gli indizi possono anche non essere plurimi, potendo il convincimento del giudice basarsi anche su un solo elemento, purchè grave e preciso, dovendosi ritenute menzionato il requisito della concordanza solo in previsione di un eventuale, ma non necessario, concorso di più elementi presuntivi (Cass. n. 18021/2009);

che, inoltre, tra il fatto noto e quello ignoto non occorre che sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità, alla stregua dei canoni probabilistici, sicchè appare censurabile la sentenza impugnata che ha escluso la ricostruibilità del volume dei ricavi, per l’anno d’imposta 2000, sulla base delle giacenze determinate dalla parte, e della merce rinvenuta al momento dell’accesso della Guardia di Finanza;

che, per quanto in precedenza esposto, la sentenza va cassata, con rinvio alla CTR della Sicilia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 6 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2018

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