Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.28435 del 07/11/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antoni – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – rel. Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27030-2013 proposto da:

G.A., *****, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A.

BAIAMONTI 4, presso lo studio dell’avvocato RENATO AMATO, rappresentata e difesa dall’avvocato SABINO ANTONINO SARNO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

P.I. S.P.A., C.F. *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6282/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 05/08/2013 R.G.N. 6184/2011.

RILEVATO

Che con sentenza in data 18.11.2013 la Corte di appello Roma ha respinto l’appello avverso la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva a sua volta respinto la domanda di G.A. diretta a far accertare: la nullità di quattro contratti di lavoro a termine, posti in essere tra la società somministratrice Select e la G., in forza di contratti di somministrazione stipulati con l’utilizzatrice P.I. spa ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20 nel periodo dal 26.1.2005 sino al 30.6.2006, la sussistenza di un rapporto a tempo indeterminato con la società utilizzatrice, con condanna al ripristino del rapporto ed al risarcimento del danno.

Che la corte di merito ha ritenuto inoltre che le norme disciplinanti la somministrazione – D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 20,21 e 27 non erano stati violate, e che l’appello era infondato in quanto le causali dei contratti non erano generiche e per essere stata fornita, attraverso le testimonianze raccolte in primo grado, la prova dell’ effettiva sussistenza delle ragioni indicate in dette causali, relative a “implementazione nell’ambito degli uffici postali del sistema di gestione code”, o “aumento delle attività nell’ambito degli uffici postali interessati al progetto gestione del cliente”.

Che avverso la sentenza propone ricorso per cassazione G.A. affidato ad un unico motivo. Resiste con controricorso P.I. spa, depositando anche memoria.

CONSIDERATO

Che con l’unico motivo di gravame il ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 20,21 e 27 in relazione all’art. 360 c.p.c., commi 1, n. 3, nonchè un vizio di insufficiente motivazione per avere la corte omesso di valutare la causale giustificativa dei contratti e delle relative proroghe con riferimento a ciascuno di tali atti (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5): secondo la ricorrente la sentenza non avrebbe risposto agli specifici i motivi di appello che lamentavano una mancata verifica giudiziale da parte del giudice di primo grado, delle due diverse ragioni che erano state indicate nei contratti di somministrazione, senza operare alcuna distinzione fra le stesse, che pure si riferivano alla gestione delle code ed alla gestione del cliente e senza verificare la corrispondenza dell’impiego concreto dalla lavoratrice a quanto affermato nel contratto.

Che sebbene il motivo sia stato rubricato con riferimento anche alla violazione o falsa applicazione di legge – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 -, degli artt. 20, 21 e 27 D.Lgs. citato, la censura in realtà ha ad oggetto soltanto la motivazione della sentenza, che viene ritenuta insufficiente, perchè omette di valutare la causale giustificativa dei contratti e delle relative proroghe, senza individuare neanche la distinzione tra le due causali (progetto gestione code e progetto gestione cliente).

Che muovendosi quindi le censure di fatto solo nell’ambito delle argomentazioni motivazionali della sentenza impugnata, che vengono ritenute insufficienti ed errate,per non avere la corte di merito operato alcuna distinzione dell’attività resa nel progetto cliente e quella resa nel progetto code, finiscono per essere inammissibili alla luce della nuova formulazione del vizio dell’art. 360 c.p.c., n. 5 introdotta con il D.L. n. 1222 del 2012, art. 54 convertito in L. n. 134 del 2012.

Che infatti la corte d’appello, sia pure con motivazione stringata sul punto, ha esaminato i fatti oggetto del giudizio, decisivi, ed oggetto di discussione tra le parti, precisando che dalle prove testimoniali era emerso che la lavoratrice era stata effettivamente coinvolta nell’attività relativa al progetto code / clienti, sottolineando altresì che non era stato specificato dall’appellante sotto quale profilo incidesse la distinzione tra i due progetti in termini di validità della causale.

Che peraltro proprio tale ultimo assunto della corte non è stato oggetto di idonea e specifica censura, essendosi limitata la ricorrente a trascrivere in ricorso solo uno stralcio dell’atto di appello in parte correlato a tale assunto, che tuttavia non contiene alcun motivo di gravame completamente ignorato nella sentenza impugnata.

Che va pertanto dichiarata l’inammissibilità del ricorso, con condanna del ricorrente soccombente alla rifusione delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 400,00 per compensi professionali oltre spese generali al 15%5 ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza Camerale, il 18 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2018

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