LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –
Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –
Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –
Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 20118/2015 proposto da:
EMSA SERVIZI S.P.A., IN LIQUIDAZIONE, legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio degli avvocati ARTURO MARESCA, ROBERTO ROMEI, FRANCO RAIMONDO BOCCIA, che la rappresentano e difendono giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
M.A., elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II, 209, presso lo studio dell’avvocato LUCA SILVESTRI, rappresentata e difesa dall’avvocato ERNESTO MARIA CIRILLO, giusta delega in atti;
– controricorrente –
e contro
TELECOM ITALIA S.P.A., C.F. *****, TELEPOST S.P.A.;
– intimate –
E SUL RICORSO SUCCESSIVO SENZA NUMERO DI R.G. proposto da:
TELECOM ITALIA S.P.A. C.F. *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, L.G.
FARAVELLI 22, presso lo studio degli avvocati ENZO MORRICO, ARTURO MARESCA, ROBERTO ROMEI, FRANCO RAIMONDO BOCCIA, che la rappresentano e difendono giusta delega in atti;
– ricorrente successivo –
contro
M.A., elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II, 209, presso lo studio dell’avvocato LUCA SILVESTRI, rappresentata e difesa dall’avvocato ERNESTO MARIA CIRILLO, giusta delega in atti;
– controricorrente al ricorso successivo –
nonchè
EMSA SERVIZI S.P.A in liquidazione, TELEPOST S.P.A.;
– intimate –
avverso la sentenza n. 1062/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 24/02/2015 r.g.n. 8294/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/06/2018 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per l’inammissibilità o in subordine rigetto;
udito l’Avvocato ROBERTO ROMEI;
udito l’Avvocato RICCARDO BOLOGNINI per delega Avvocato ERNESTO MARIA CIRILLO.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza 24 febbraio 2015, la Corte d’appello di Napoli rigettava gli appelli proposti da Telecom Italia s.p.a., Emsa Servizi s.p.a. e Telepost s.p.a. avverso la sentenza di primo grado, che aveva: dichiarato l’inefficacia nei confronti di M.A., già dipendente della prima (come addetta al centralino e al protocollo), delle cessioni del ramo di azienda, cui addetta, “Facility Management” (da Telecom Italia s.p.a. a Emsa Servizi s.p.a.), con passaggio alla seconda dal 1 dicembre 2003 e quindi (del ramo “Centro Servizi Document Management”) da Emsa Servizi s.p.a. a Telepost s.p.a., con passaggio a quest’ultima dal 1 marzo 2004; accertato la persistenza del rapporto di lavoro tra la lavoratrice e Telecom Italia s.p.a., ordinandone il ripristino.
A motivo della decisione, la Corte territoriale, con ampia e critica argomentazione, riteneva illegittimo il suddetto trasferimento del ramo d’azienda, in difetto del requisito di preesistenza, a norma dell’art. 2112 c.c., anche nel testo modificato dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 32, applicabile ratione temporis, di un’articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata. Essa accertava piuttosto, sulla base delle scrutinante risultanze istruttorie, l’esternalizzazione dell’attività primaria della società cedente, tale da comportare la qualificazione dell’operazione alla stregua di cessione dei contratti di lavoro (con necessità del consenso del contraente ceduto, ai sensi dell’art. 1406 c.c.): in assenza di alcuna effettiva consistenza aziendale, per qualità delle attività (tra loro eterogenee e di mero contenuto impiegatizio esecutivo), non esigente alcuna specializzazione del personale addetto (mantenuto nei medesimi locali di Telecom Italia s.p.a.) e per esiguità e genericità delle dotazioni strumentali.
Con distinti atti notificati in pari data 13 agosto 2015, Telecom Italia s.p.a. ed Emsa Servizi s.p.a. ricorrevano per cassazione con unico motivo, cui resisteva la lavoratrice con distinti controricorsi; non svolgeva invece difese l’intimata Telepost s.p.a..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con unico motivo, ognuna delle due ricorrenti deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 c.c., per un’erronea interpretazione della nozione, non già giuridica ma organizzativa, di ramo d’azienda alla stregua di articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economia organizzata, consistente nella mera idoneità del ramo alla produzione di un servizio o di un bene, nella sostanziale irrilevanza, qualora, come nel caso di specie, ciò sia realizzato, della sua esigua consistenza patrimoniale, dell’assenza di specializzazione professionale dei lavoratori addetti (per il contenuto meramente impiegatizio dell’attività) e dell’eterogeneità delle funzioni svolte.
2. Il motivo è infondato.
2.1. La Corte territoriale ha correttamente applicato i consolidati principi di diritto in materia di trasferimento di ramo d’azienda, a norma dell’art. 2112 c.c., anche nel testo modificato dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 32, applicabile ratione temporis, secondo cui ne costituisce elemento costitutivo l’autonomia funzionale, ovvero la sua capacità, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali ed organizzativi: e quindi di svolgere, senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario, il servizio o la funzione finalizzati nell’ambito dell’impresa cedente. E ciò, anche secondo la sentenza della Corte di Giustizia del 6 marzo 2014, in C458/12 (richiamata in particolare da: Cass. 28 settembre 2015, n. 19141 per avere, a fini di applicazione della direttiva 2001/23/CE del 12 marzo 2001, ribadito la necessità di una sufficiente autonomia funzionale, anteriormente al trasferimento, della quota d’impresa ceduta; ferma restando la possibilità, in forza dell’art. 1, par. 1, lett. a, b della citata direttiva, per la normativa nazionale di estensione dell’obbligo di mantenimento dei diritti dei lavoratori trasferiti pure nell’ipotesi di non preesistenza del ramo d’azienda), presuppone una preesistente entità produttiva funzionalmente autonoma (Cass. 15 aprile 2014, n. 8757; Cass. 27 maggio 2016, n. 11069; Cass. 31 maggio 2016, n. 11247; Cass. 31 luglio 2017, n. 19034; Cass. 29 novembre 2017, n. 28508).
2.2. Ed è peraltro noto come un ramo d’azienda ben possa essere individuato, quando non occorrano particolari mezzi patrimoniali per l’esercizio dell’attività economica, anche da un complesso stabile organizzato di persone, addirittura in via esclusiva allorquando siano dotate di particolari competenze e stabilmente coordinate ed organizzate tra loro, così da rendere le loro attività interagenti e idonee a tradursi in beni e servizi ben individuabili (Cass. 6 aprile 2016, n. 6693, con richiamo di precedenti di legittimità e della Corte di Giustizia UE in motivazione). Occorre poi ribadire che l’eterogeneità dei servizi svolti dal ramo, rivendicata come non ostativa alla possibilità per una struttura di svolgere una funzione imprenditoriale, sia da ricondurre ai consolidati principi suenunciati di corretta individuazione del ramo d’azienda trasferibile (richiamati, proprio in riferimento puntuale al caso in esame, tra le altre da: Cass. 28 aprile 2014, n. 9361; Cass. 15 dicembre 2015, n. 25229).
2.3. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha accertato in fatto la carenza di prova dell’esistenza di un ramo d’azienda, in esito a puntuale scrutinio degli elementi allegati e acquisiti dalle risultanze istruttorie. E ciò ha congruamente argomentato con piena adeguatezza sotto il profilo logico – giuridico (per le ragioni esposte dal primo capoverso di pg. 7 al quarto di pg. 11 della sentenza), sicchè è insindacabile nel giudizio di legittimità, preclusivo di una revisione del giudizio di merito e di una nuova pronuncia sul fatto, siccome estranee alla sua natura e finalità (Cass. 26 marzo 2010, n. 7394); tanto meno in una prospettiva di ricostruzione dei fatti operata dalla parte in contrapposizione a quella del giudice di merito, incensurabile dal giudice di legittimità, al quale solo pertiene la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni del giudice di merito, non equivalendo il sindacato di logicità del giudizio di fatto a revisione del ragionamento decisorio (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694; Cass. 5 ottobre 2006, n. 21412).
2.4. Un tale sindacato è tanto più precluso dal novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis, in difetto di deduzione di omesso esame di un fatto, invero scrutinato, ma della sua valutazione, non censurabile (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439).
3. Dalle superiori argomentazioni discende coerente il rigetto dei ricorsi, con la regolazione delle spese secondo il regime di soccombenza, con distrazione, secondo la sua richiesta, al difensore antistatario. Nulla deve invece essere liquidato a carico dell’intimata Telepost s.p.a..P.Q.M.
La Corte rigetta i ricorsi e condanna ciascuna delle due società alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida a carico di ciascuna in Euro 200,00 per esborsi e Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge, con distrazione al difensore antistatario.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per ogni ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 14 giugno 2018.
Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2018