Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.29322 del 14/11/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 455-2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

VINI CAPITANATA SRL IN LIQUIDAZIONE, B.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 383/2010 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di FOGGIA, depositata 02/11/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/09/2018 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE LOCATELLI;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FEDERICO SORRENTINO che ha chiesto il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

A seguito di processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza, l’Agenzia delle Entrate notificava alla società Vini Capitanata srl un avviso di accertamento per l’anno di imposta 2003, con cui determinava il maggior reddito derivante dalla indebita deduzione deil costo di Euro 140.227 di cui alla fattura n. *****, relativa all’acquisto di mosto per vinificazione, emessa dalla venditrice ditta Enodaunia di V.A.. La fattura in oggetto era ritenuta inesistente perchè la ditta Enodaunia svolgeva una attività del tutto diversa, operando nel settore della “demolizione edifici e sistemazione di terreni”. Poichè la società Vini Capitanata era a ristretta base partecipativa, l’Agenzia delle Entrate emetteva un ulteriore avviso di accertamento nei confronti di B.A., socia con partecipazione del 50%, contestando la percezione di una corrispondente quota-parte dei maggiori utili accertati in capo alla società.

La società Vini Capitanata e la socia B. proponevano distinti ricorsi, riuniti dalla Commissione tributaria provinciale di Foggia che li rigettava con sentenza n. 142 del 2007.

Società e socia proponevano appello alla Commissione tributaria regionale che lo accoglieva con sentenza del 2.11.2010, annullando entrambi gli avvisi di accertamento, Contro la sentenza di appello l’Agenzia delle Entrate propone tre motivi di ricorso per cassazione.

La società Vini Capitanata e la socia B.A. non si sono costituite.

Il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso è fondato.

1. Primo motivo: “Violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. e motivazione illogica in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”, nella parte in cui ha posto a carico della Agenzia delle Entrate l’onere di fornire elementi di prova ulteriori rispetto al fatto che la società, apparente cessionaria del mosto, svolgesse in realtà una attività del tutto estranea a quella vinicola.

2. Secondo motivo: “Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54,dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, nella parte in cui la sentenza impugnata ha disatteso il principio giurisprudenziale secondo cui, qualora l’Amministrazione finanziaria abbia fornito validi elementi per ritenere che talune fatture siano state emesse per operazioni inesistenti, è onere del contribuente dimostrare l’effettiva esistenza della operazione.

I motivi primo e secondo, da esaminare congiuntamente, sono fondati nei seguenti termini. Il giudice di appello ha riformato integralmente la decisione della Commissione tributaria provinciale, che aveva rigettato il ricorso del contribuente, sul rilievo che “unico elemento probante offerto dall’Ufficio”, in ordine alla inesistenza del costo per acquisto di prodotti per la vinificazione fatturato dalla ditta Enodaunia, era costituito dal fatto che, in sede di attribuzione della partita Iva, l’attività dichiarata dalla ditta fornitrice era diversa da quella vinicola e pertanto, in assenza di riscontri precisi “si resta nell’ambito delle supposizioni fatte dall’organo accertatore”; inoltre la società verificata “ha esibito ampia documentazione quali assegni rilasciati dal fornitore, movimentazione bancaria, registri contabili, che fanno ritenere realmente posta in essere l’operazione contestata”.

La motivazione è viziata sotto entrambi i profili denunziati (violazione di legge e illogicità): la circostanza che la ditta fornitrice Enodaunia, nella dichiarazione di inizio attività presentata per l’attribuzione della partita Iva, abbia dichiarato di svolgere, a decorrere dal 23 gennaio 2003, l’attività di “demolizione edifici e sistemazione di terreni”, (sentenza di primo grado riportata a pag. 4 del ricorso), non consente, sul piano logico, di derubricare a mera supposizione dell’Ufficio la prova presuntiva secondo cui un’impresa operante nel settore dell’ edilizia non è nella materiale possibilità di effettuare una fornitura di mosto per vinificazione, salva l’assolvimento dell’onere probatorio, gravante sulla società verificata che ha contabilizzato la fattura di acquisto del mosto dall’impresa edile, di dimostrare che la ditta fornitrice, agendo totalmente al di fuori del proprio codice di attività, ha compiuta una operazione commerciale manifestamente estranea al proprio oggetto sociale.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, qualora l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture relative ad operazioni inesistenti, indicando gli elementi, anche indiziari, sui quali si fonda la contestazione, diviene onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo, altrimenti indeducibili; con la precisazione che, a tal fine, non è sufficiente addurre la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, trattandosi di dati e circostanze facilmente falsificabili e la cui predisposizione costituisce parte integrante del meccanismo di frode erariale posto in essere (in tal senso Sez. 6 – 5 n. 11873 del 15/05/2018; Sez. 5 n. 428 del 14/01/2015; Sez. 5, n. 12802 del 10/06/2011).

3. Terzo motivo: “Violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 comma 2, lett. c) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, nella parte in cui non ha considerato che, in caso di distruzione accidentale delle scritture contabili, come avvenuto nel caso di specie, l’Ufficio è legittimato alla ricostruzione totalmente induttiva del reddito di impresa avvalendosi anche di presunzioni non qualificate.

Il motivo è inammissibile perchè la circostanza dedotta (avvenuta distruzione accidentale delle scritture contabili) neppure è menzionata nella sentenza impugnata, e non fa parte della ratto decidendi seguita dal giudice di appello.

In accoglimento del primo e secondo motivo, dichiarato inammissibile il terzo, la sentenza deve essere cassata con rinvio, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale della Puglia in diversa composizione.

P.Q.M.

Accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche sulle spese, alla Commissione tributaria regionale della Puglia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 19 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2018

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