Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.30446 del 23/11/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14541/2014 proposto da:

E.M.A., M.G., rappresentati e difesi dall’avvocato GILBERTO ENRICO MERCURI;

– ricorrenti –

contro

D.S.A., G.G.L., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI 1, presso lo studio dell’avvocato MAURO MARCHIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato ANDREA BRACONE;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 187/2014 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 20/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/05/2018 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. TRONCONE Fulvio, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato TODISCO Teresa, con delega depositata in udienza dell’Avvocato MERCURI Gilberto, difensore dei ricorrenti che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato BESCO Sabatino, con delega depositata in udienza dell’Avvocato BRACONE Andrea, difensore dei resistenti che ha chiesto il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

1. G.G.L. e D.S.A., esponendo di aver concluso con M.G. e E.M.A. un contratto preliminare di compravendita di un appartamento e che il contratto era rimasto inadempiuto, chiedevano al Tribunale di Vasto di dichiarare la legittimità del loro recesso dal contratto e di condannare le controparti al pagamento del doppio della caparra e al risarcimento dei danni. Il Tribunale di Vasto, rilevato che era stata depositata la sola fotocopia del contratto, fotocopia che era stata disconosciuta, ha stabilito che, mancando la forma scritta dell’atto, il preliminare doveva ritenersi come mai concluso e ha così rigettato le domande fatte valere.

2. La sentenza è stata impugnata da G. e D.S., i quali hanno sostenuto di avere, a seguito del disconoscimento della copia del contratto, esibito l’originale, che avevano poi ritirato per evitarne lo smarrimento. La Corte d’appello dell’Aquila in motivazione ha anzitutto ritenuto che, a seguito del deposito dell’originale dell’atto già in primo grado e comunque in appello, il contratto preliminare era stato provato; ha negato che il medesimo contratto fosse stato successivamente consensualmente risolto; ha accertato l’inadempimento degli appellati e li ha condannati al pagamento del doppio della caparra; ha infine rigettato la domanda risarcitoria.

3. Avverso la sentenza d’appello 20 febbraio 2014, n. 187 M.G. e E.M.A. ricorrono per cassazione.

Resistono con controricorso G.G.L. e D.S.A..

I ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è articolato in cinque motivi.

1. Il primo motivo denuncia “violazione ed errata applicazione delle norme di diritto e nullità della sentenza”: in violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c., la Corte d’appello si è limitata, nel dispositivo, a condannare i ricorrenti al pagamento della somma pari al doppio della caparra versata, senza nulla statuire sull’inadempimento dei medesimi.

Il motivo non può essere accolto. La domanda di accertamento del recesso per inadempimento è stata proposta dalle controparti, che sono le uniche che hanno interesse a dolersi dell’omesso esame della stessa. I ricorrenti sono pertanto privi di interesse a far valere l’omessa pronuncia, omessa pronuncia rispetto alla quale va comunque rilevato che la Corte d’appello, nel condannare in dispositivo al pagamento del doppio della caparra, ha accertato sia pure implicitamente la legittimità del recesso per inadempimento. La Corte, in motivazione (pp. 5-6 della sentenza impugnata), si è infatti fatta “carico, nel merito, della domanda svolta dai G. di accertamento dell’inadempimento dei venditori e di loro condanna al pagamento del doppio della caparra” e ha stabilito che la domanda risulta fondata, essendo stato provato l’inadempimento dei venditori, “per cui vanno condannati al pagamento del doppio della caparra”. Il che significa che la Corte, nel condannare in dispositivo al pagamento del doppio della caparra, ha implicitamente accertato il recesso per inadempimento (circa la necessità, nell’individuare il contenuto decisorio della sentenza, di considerare non solo le statuizioni formalmente contenute nel dispositivo, ma anche le enunciazioni contenute nella motivazione cfr., per tutte, Cass. 13513/2007).

2. Il terzo motivo, che è opportuno esaminare prima del secondo, fa valere errata applicazione dell’art. 345 c.p.c.: la Corte d’appello ha errato nel ritenere ammissibile in grado d’appello la produzione dell’originale del contratto preliminare in quanto la parte che “perde il proprio diritto probatorio” in primo grado “per non avere adempiuto agli obblighi di legge nei termini previsti, non può riproporre quello stesso mezzo in sede di gravame”.

Il motivo è infondato. La Corte d’appello ha affermato (p. 4 della sentenza) che l’originale del contratto “risulta allegato al fascicolo di parte appellante, sicchè, trattandosi di documento decisivo ai fini della decisione, la sua esibizione risulterebbe ammissibile anche se fosse stata effettuata per la prima volta in questo grado di giudizio”. L’affermazione del giudice d’appello è coerente con l’attuale orientamento di questa Corte: secondo le sezioni unite, è indispensabile, e quindi producibile in appello, il documento “di per sè idoneo ad eliminare ogni incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata (…), a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado” (Cass., sez. un., n. 24164/2017).

3. Il secondo motivo – denunciando omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia – contesta al giudice d’appello di non aver considerato il “fatto che l’originale della scrittura privata non è mai ritualmente entrato a far parte del giudizio di primo grado”.

Il motivo non può essere accolto. Esso anzitutto richiama, nella rubrica e nel successivo svolgimento, un parametro (l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione) non applicabile ratione temporis alla fattispecie; alla luce, poi, dell’infondatezza del terzo motivo (supra, sub 2), che contesta l’ammissibilità della produzione in appello dell’originale del contratto, perde rilievo lo stabilire la correttezza dell’affermazione del giudice circa il deposito dell’originale già in primo grado.

4. Il quarto motivo fa valere violazione ed errata applicazione dell’art. 2739 c.c.: il giudice di secondo grado avrebbe erroneamente dichiarato inammissibile la richiesta di ammissione del giuramento decisorio formulata dai ricorrenti.

Il motivo è infondato. Circa il giuramento, volto a dimostrare che le parti, dopo la conclusione del contratto preliminare, avrebbero convenuto di risolverlo per mutuo consenso, la Corte d’appello correttamente osserva che la risoluzione consensuale di un contratto riguardante il trasferimento, la costituzione o l’estinzione di diritti reali immobiliari è soggetta al requisito della forma scritta ad substantiam non soltanto quando il contratto da risolvere sia definitivo, ma anche quando sia preliminare (cfr. al riguardo, da ultimo Cass. 13290/2015). Con la conseguenza che, ai sensi dell’art. 2739 c.c., il giuramento non può essere ammesso. Nè al riguardo è conferente l’osservazione dei ricorrenti secondo cui, attraverso il giuramento, essi non intendevano far emergere “situazioni modificative od obblighi scaturenti” dal contratto preliminare, in quanto – cfr. i capitoli riportati a p. 18 del ricorso oggetto del giuramento era appunto la risoluzione del contratto, risoluzione che deve rivestire la forma scritta ad substantiam.

5. Il quinto motivo contesta violazione ed errata applicazione degli artt. 214 e 215 c.p.c.: la Corte d’appello avrebbe errato nel non estendere il disconoscimento, effettuato circa la copia, all’originale del contratto preliminare, in quanto il disconoscimento avrebbe “riguardato la scrittura privata del preliminare di compravendita in toto”.

Il motivo non può essere accolto. A fronte dell’affermazione della Corte d’appello secondo cui il disconoscimento effettuato va riferito alla sola conformità della copia all’originale e che, una volta esibito l’originale, questo non è stato disconosciuto nella prima difesa successiva all’esibizione, i ricorrenti si limitano ad affermare di aver disconosciuto “in toto” il documento senza specificare in quale difesa e in quale modo tale disconoscimento sia avvenuto.

2. Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese di lite sono liquidate in dispositivo e seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio, in favore dei controricorrenti, che liquida in Euro 2.700, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.

Sussistono i presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 8 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2018

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