LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MATERA Lina – Presidente –
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –
Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 12494-2013 proposto da:
D.R., *****, elettivamente domiciliata in ROMA, V.RUGGIERO D’ALTAVILLA 9, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO ROMANO ZILLI, rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE DI BIASE giusta procura notarile del 17 febbraio 2012;
– ricorrente –
contro
P.P.G., R.D.M., domiciliati in ROMA presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentati e difesi dall’avvocato RICCARDO MARZO giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrenti –
e contro
RU.FR., D.R.V.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 688/2012 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 10/10/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/09/2018 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
Udito il SOSTITUTO PROCURATORE GENERALE dott. PEPE ALESSANDRO, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO 1. D.R., R.F. e D.R.V. con citazione del 26/2/2001 convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Lecce R.M.D. e P.P.G. deducendo che con scrittura privata del 9/11/1987 avevano costituito con la convenuta e C.M. la società semplice denominata ***** per la gestione dell’attività agrituristica sul fondo denominato ***** appartenente a D.R.V. e M.A. e R.F., quali nudi proprietari, con l’usufrutto di spettanza di Ci.An.. Quest’ultima con scrittura privata dell’11 aprile 1988 aveva concesso il fondo in fitto ad alcuni dei soci che la loro volta ne conferivano la gestione alla società, così che la stessa società era subentrata nella gestione del fondo ad un’associazione non riconosciuta denominata *****, essendosi preoccupata di definire i rapporti con R.M.D., marito della P.P., che al momento dello scioglimento dell’associazione avvenuto in data 22 agosto 1987, aveva rilevato le quote degli altri associati.
Nonostante i soci avessero soddisfatto i crediti vantati dal R., questi e la moglie si impossessavano della struttura turistica spogliandone gli altri soci.
I convenuti avevano poi disatteso i numerosi provvedimenti giudiziari emessi a seguito delle iniziative dei soci volte ad ottenere la reintegra nel possesso del bene, sicchè andava chiesta la condanna dei convenuti al rilascio degli immobili illecitamente detenuti oltre al risarcimento dei danni.
Nella resistenza dei convenuti che contestavano che la Ci. avesse mai concesso in fitto il bene, aggiungendo che l’affitto era stato concesso dai nudi proprietari in favore della P.P., della C.M. e di D.R.V., ed evidenziando che il ***** era preesistente alla società e che l’azienda agrituristica era stata ceduta al R. che non l’aveva mai ceduta alla società, il Tribunale adito con la sentenza n. 901 del 17 maggio 2006 rigettava la domanda.
La Corte d’Appello di Lecce con la sentenza n. 688 del 10/10/2012 rigettava il gravame proposto dagli attori rilevando che il Tribunale aveva in effetti ritenuto che mai la società avesse avuto la detenzione qualificata del bene ed utilizzato il fondo, in quanto anche l’atto costitutivo della società non conteneva alcun specifico riferimento alla gestione del bene oggetto di causa, in relazione al quale non poteva vantare alcun titolo contrattuale.
Inoltre non poteva spiegare efficacia vincolante il giudicato costituito dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 1798/1997, in quanto tale pronuncia aveva riguardo ad un’azione possessoria fatta valere dai soci in proprio, e non dalla società semplice.
Viceversa nel giudizio in esame gli attori avevano inteso far valere la spettanza della struttura in capo alla società.
La sentenza della Suprema Corte aveva ribadito che gli istanti avevano agito in proprio, quali persone fisiche, mentre nel nuovo giudizio parte attrice era la società semplice *****, quale autonomo soggetto di diritto che agisce tramite i soci.
Ne derivava quindi che non poteva invocarsi l’efficacia di giudicato della sentenza della Cassazione.
Quanto invece alla rilevanza delle prove assunte nel precedente giudizio, le stesse non erano sufficienti a comprovare l’assunto degli appellanti, non offrendo la dimostrazione della gestione esclusiva del fondo da parte della società.
D.R. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un motivo.
P.P.G. e R.D.M. hanno resistito con controricorso.
Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva in questa fase.
2. Il ricorso è inammissibile dovendosi in tal senso accogliere la preliminare eccezione di rito proposta dai controricorrenti, relativa appunto all’inammissibilità del ricorso introduttivo, in quanto proposto da soggetto non legittimato, poichè sprovvisto di procura speciale rilasciata successivamente al deposito della sentenza gravata ed anteriormente rispetto alla notificazione del ricorso stesso, secondo il disposto di cui all’art. 83 c.p.c..
Costituisce, infatti, orientamento consolidato di questa Corte, il principio secondo cui “la procura per il ricorso per cassazione è necessariamente speciale, dovendo riguardare il particolare giudizio davanti alla Suprema Corte, sicchè è valida solo se rilasciata in data successiva alla decisione impugnata, così assicurandosi la certezza giuridica della riferibilità dell’attività svolta dal difensore al titolare della posizione sostanziale controversa, escludendosi, pertanto, la possibilità di una sua sanatoria e ratifica” (cfr. da ultimo Cass. n. 5581/2018).
In termini si veda anche da ultimo Cass. S.U. n. 10266/2018, secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione sottoscritto da un avvocato munito di una procura notarile di carattere generale, priva di ogni riferimento alla sentenza impugnata e all’impugnazione da proporsi.
Ora, nel caso di specie, il ricorso introduttivo del giudizio di legittimità risulta sottoscritto dal difensore in forza di procura rilasciata con atto per notar Prospero Mobilio di Taranto in data 17 febbraio 2012, e cioè in data anteriore alla pubblicazione della sentenza oggi gravata, che, pur prevedendo la nomina dell’avv. Giuseppe Di Biase come procuratore speciale e generale della ricorrente, non contiene alcun riferimento alla proposizione del ricorso de quo, facendosi un generico riferimento alla possibilità di rappresentanza ed assistenza in tutte le cause attive o passive anche davanti alle “Magistrature Superiori”, con la facoltà altresì, altrettanto generica, di proporre non meglio identificati ” ricorsi in Cassazione”.
Tale mandato, chiaramente rilasciato, dunque, in data anteriore rispetto alla pubblicazione della sentenza impugnata, non è neanche qualificabile alla stregua di un “procura speciale”, la quale, a differenza di quella generale, è espressamente conferita per la proposizione del ricorso in Cassazione, non potendosi fare riferimento a precedenti procure, quand’anche rilasciate, come nel caso in analisi, per ogni fase e grado del giudizio.
Peraltro, non solo è necessaria un’apposita procura alle liti, ma occorre vieppiù che la medesima venga rilasciata prima della notificazione del ricorso e dopo la pubblicazione della sentenza impugnata. Inoltre, il difetto di procura speciale non è neanche sanabile, considerato che in casi siffatti la procura mancherebbe del tutto sin dall’inizio, venendo così meno una condizione imprescindibile e necessaria per l’ammissibilità dell’atto introduttivo (da ultimo Cass. S.U. n. 10266/2018).
3. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano come da dispositivo.
Nulla a disporre nei confronti degli intimati che non hanno svolto attività difensiva.
4. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al rimborso in favore delle controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 13 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2018