LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DIDONE Antonio – Presidente –
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 4662/2016 proposto da:
N.G., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avvocato Claudio Defilippi giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
V.M.;
– intimato –
avverso il decreto del TRIBUNALE di PARMA depositato il 14/01/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/10/2018 dal cons. PAZZI ALBERTO.
FATTI DI CAUSA
1. Il Giudice delegato alla procedura dichiarava, con decreto del 11 maggio 2015, l’inammissibilità del ricorso presentato da N.G. per essere ammesso alla procedura di sovraindebitamento prevista dalla L. n. 3 del 2012.
2. Il Tribunale di Parma in sede di reclamo rilevava, alla luce del parere redatto dal professionista incaricato quale organismo di composizione della crisi, l’impossibilità di procedere alla formulazione di una qualunque proposta di ristrutturazione dei debiti a favore del reclamante avente i requisiti previsti dalla L. n. 3 del 2012, artt. 7,8 e 9, riteneva che non potesse applicarsi in via analogica la disciplina prevista dalla L. Fall., art. 182 ter, alla procedura di sovraindebitamento, con il conseguente venir meno dell’unica concreta possibilità per il N. di attuazione di un piano del consumatore, e rigettava l’impugnazione proposta.
3. Ha proposto ricorso per cassazione avverso questa pronuncia N.G., affidandosi a tre motivi di impugnazione. L’intimato Dott. Commercialista V.M., in qualità di organismo di composizione della crisi nella procedura di sovraindebitamento in questione, non ha svolto alcuna difesa.
Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
4. Occorre preliminarmente rilevare che secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 6516/2017, Cass. n. 4500/2018) il decreto di rigetto del reclamo avverso il provvedimento del giudice delegato che ha dichiarato inammissibile la proposta di accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento è privo dei caratteri della decisorietà e definitività.
Tale decreto infatti, non decidendo nel contraddittorio tra le parti su diritti soggettivi, non è idoneo al giudicato (sulla scorta della medesima ratio decidendi in materia di inammissibilità della proposta di concordato, ai sensi della L. Fall., art. 162, comma 2, indicata da Cass., Sez. U., n. 27073/2016).
Peraltro, al procedimento per la definizione dell’accordo, si applicano, in quanto compatibili, l’art. 737 c.p.c. e ss., come nella specie è avvenuto, con esito negativo, ma senza che questo esito, in mancanza dei requisiti della decisorietà e definitività del provvedimento impugnato, escluda la reiterabilità della proposta di accordo di composizione della crisi, seppur nei limiti previsti dalla legge, cosicchè deve essere esclusa la ricorribilità davanti a questa Corte.
5. Nessuna illegittimità costituzionale, per violazione del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., può poi essere ipotizzata rispetto alla L. n. 3 del 2012, artt. 7 e 11, per il fatto che, pur in presenza di un divieto di riproposizione della procedura per un periodo di cinque anni, non è prevista alcuna possibilità di impugnazione contro il provvedimento emesso in sede di reclamo.
In vero il disposto della L. n. 3 del 2012, art. 7, comma 2, lett. b), prevede che la proposta non sia ammissibile quando il debitore abbia fatto ricorso, nei precedenti cinque anni, ai procedimenti previsti dal capo II della legge citata.
La norma, finalizzata ad evitare condotte generatrici di ripetute esposizioni debitorie a cui far fronte con un sistematico ricorso alle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento, deve essere intesa come volta a precludere la presentazione di una nuova domanda nel caso in cui il debitore, nei cinque anni precedenti la domanda, abbia beneficiato degli effetti riconducibili a una procedura della medesima natura.
Tali effetti giocoforza conseguono all’emissione di un decreto di apertura, di modo che, in presenza di un provvedimento che, come nel caso di specie, abbia dichiarato inammissibile la domanda per carenza dei necessari presupposti, il debitore ben può presentare una nuova domanda senza dover attendere il decorso dei cinque anni previsti dalla norma sopra richiamata.
La questione di costituzionalità sollevata non assume quindi alcuna rilevanza in questa sede.
6. Il rilievo dell’inammissibilità del ricorso ha carattere assorbente e rende superfluo l’esame dei mezzi di impugnazione presentati.
Non occorre adottare alcun provvedimento che regoli le spese di lite, dato che l’intimato organismo di composizione della crisi non ha svolto difese.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 25 ottobre 2018.
Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2018