Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.30538 del 26/11/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 24898/2015 r.g. proposto da:

***** s.r.l., in liquidazione (cod. fisc. *****), con sede in *****, in persona del liquidatore, R.A., rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dagli Avvocati Giancarlo Fazi e Maurizio Natali, con i quali elettivamente domicilia presso lo studio di quest’ultimo in Roma, alla via Pierluigi da Palestrina n. 48;

– ricorrente –

contro

UNIPOL BANCA s.p.a., (cod. fisc. *****), con sede in *****, in persona del Responsabile Area Affari Legali, Avv. C.A.L.M., rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta in calce al controricorso, dall’Avvocato Matteo Tassi, presso il cui studio elettivamente in Sarzana (SP), alla via Socrate Bonacci n. 1;

– controricorrente –

e FALLIMENTO ***** s.r.l., in liquidazione; D.D.;

– intimati –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI ANCONA depositata il 16/09/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/10/2018 dal Consigliere dott. Eduardo Campese;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale Lucio Capasso, che ha chiesto rigettarsi il ricorso.

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Il Tribunale di Macerata, con sentenza del 14 gennaio 2015, dichiarò, richiestone dalla Unipol Banca s.p.a., il fallimento della ***** s.r.l. in liquidazione, previa risoluzione, tramite contestuale decreto, del suo concordato preventivo.

2. I reclami separatamente proposti contro quei provvedimenti furono riuniti dall’adita Corte di appello di Ancona, che, con sentenza depositata il 16 settembre 2015, n. 980, accolse la censura, sviluppata in entrambe le impugnazioni, riguardante il procedimento di notifica del ricorso di primo grado della banca suddetta.

2.1. Per quanto ancora rileva in questa sede, quella corte ritenne che le modalità di notificazione del menzionato ricorso, avente ad oggetto sia la richiesta di risoluzione del concordato che la invocata declaratoria di fallimento della ***** s.r.l. in liquidazione, dovevano essere individuate esclusivamente in quelle descritte dalla L. Fall., art. 15, comma 3, (nel testo, applicabile ratione temporis, modificato dal D.L. n. 179 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 221 del 2012), sicchè, rimasta senza esito quella tentata tramite posta elettronica certificata (PEC), la notificazione del ricorso predetto sarebbe dovuta avvenire “personalmente a cura dell’Ufficiale Giudiziario”, giammai – come invece era accaduto – “ad opera del difensore dell’istante ed a mezzo posta”. Pertanto, dichiarata la nullità della notifica della domanda di risoluzione del concordato e di quella afferente la dichiarazione di fallimento, e, conseguentemente, revocati i rispettivi provvedimenti impugnati, rimise il procedimento innanzi al Tribunale di Macerata, ex art. 354 c.p.c., affinchè quest’ultimo provvedesse sulle istanze di fallimento e di risoluzione del concordato.

3. Avverso detta pronuncia ricorre la ***** s.r.l. in liquidazione, sulla base di due motivi, ulteriormente illustrati da memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c., e resistiti dalla Unipol Banca s.p.a.. Non hanno spiegato difese, in questa sede, la Curatela fallimentare e D.D., già parti (la prima, a differenza del secondo, ivi anche costituita), del giudizio di reclamo.

4. Il primo motivo reca la seguente rubrica: “Ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si impugna la sentenza della Corte di appello di Ancona n. 980/2015 per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ovvero il mancato rispetto, da parte della Unipol Banca s.p.a., del termine assegnato dal giudice delegato per la notifica – del ricorso per la risoluzione del concordato e la dichiarazione di fallimento nei confronti della ***** s.r.l. – in assenza di richiesta tempestiva di proroga dei termini, e conseguente mancata applicazione dell’art. 154 c.p.c., che avrebbe dovuto condurre la Corte di Appello alla dichiarazione di improcedibilità del ricorso”. Esso ascrive alla corte distrettuale di aver “omesso di pronunciarsi rispetto ad una precisa circostanza fattuale, posta alla base del reclamo, e rappresentata dal mancato rispetto, da parte della Unipol Banca s.p.a., del termine assegnato, con decreto del 26.03.2014, dal Giudice Delegato per la notificazione del ricorso e del decreto, che avrebbe dovuto effettuarsi, ai sensi della L. Fall., art. 15, entro il 23.08.2014. Il Giudice di secondo grado, infatti, nel corpo della sentenza si è limitato a rilevare che “…con la prima articolata censura, la ***** s.r.l. si doleva che l’unico ricorso che aveva dato luogo sia alla risoluzione del concordato sia alla dichiarazione di fallimento fosse stato notificato in aperta violazione del procedimento previsto dalla L. Fal.., art. 15; in particolare, oltre ai problemi di tempestività della notifica non avvenuta nei termini fissati dal decreto di fissazione dell’udienza di comparizione…”, ma nulla decide sul punto. Ora, considerando gli effetti derivanti dall’evidente improcedibilità della domanda di risoluzione del concordato preventivo per omessa notifica entro i termini assegnati dal Giudice, senza tempestiva istanza di proroga ai sensi dell’art. 154 c.p.c., la questione risulta certamente decisiva ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5" (cfr. pag. 12 del ricorso). La relativa argomentazione si conclude evidenziando “l’errata posizione della Corte di Appello di Ancona, la quale, nonostante la domanda della reclamante ***** s.r.l. supportata da inconfutabili riscontri documentali, e nonostante il contraddittorio svolto tra le parti sul punto – con argomentazioni spiegate nei rispettivi scritti difensivi – non ha riconosciuto la violazione e la falsa applicazione dell’art. 154 c.p.c., da parte del Giudice di primo grado, il quale,… invece di dichiarare la improcedibilità del ricorso presentato dalla Unipol Banca s.p.a. (per omessa notifica nel termine assegnato e mancata richiesta di proroga prima della scadenza del termine stesso), ha semplicemente concesso un nuovo termine per la notifica” (cfr. pag. 16 del ricorso).

4.1. Prima di esaminare, nel merito, tale doglianza, deve rilevarsi come il suo contenuto non appare realmente coerente con la sua intitolazione. La ricorrente, infatti, pur denunciando formalmente un vizio di “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, nella sostanza lamenta la violazione d’una regola processuale (la mancata applicazione dell’art. 154 cod. proc. civ.), così prospettando il differente vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4. Questo errore nell’inquadramento della censura, tuttavia, non è di ostacolo all’esame della stessa, atteso che, come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte, ove il ricorrente incorra nel cd. “vizio di sussunzione” (e, cioè, erri nell’inquadrare l’errore che si assume commesso dal giudice di merito in una delle cinque categorie previste dall’art. 360 c.p.c.), il ricorso non può, per ciò solo, dirsi inammissibile, quando dal complesso della motivazione adottata dal ricorrente sia chiaramente individuabile l’errore di cui si duole (cfr. Cass., SU, n. 17931 del 2013. In senso conforme, si veda anche la più recente Cass. n. 3115 del 2018, in motivazione).

4.1.1. Nel caso di specie, l’illustrazione contenuta nelle pag. 12-16 del ricorso è sufficientemente chiara nel prospettare la pretesa violazione, da parte della corte d’appello, dell’art. 154 c.p.c., sicchè il motivo è ammissibile.

4.2. Esso, però, non è meritevole di accoglimento.

4.2.1. Possono considerarsi incontroverse, attesane la descrizione sostanzialmente concorde rinvenibile nel ricorso e nel controricorso, le seguenti circostanze di fatto: i) Unipol Banca s.p.a. depositò, il 14 marzo 2014, presso il Tribunale di Macerata, ricorso per la risoluzione del concordato preventivo e la contestuale dichiarazione di fallimento di ***** s.r.l. in liquidazione; il giudice delegato, con decreto del 26 marzo 2014, fissò, per la comparizione delle parti, l’udienza del 7 ottobre 2014, assegnando termine fino al 23 agosto 2014 per la notificazione, a tutte le parti, dell’istanza e del pedissequo decreto di fissazione udienza; iii) la notifica alla ***** s.r.l. in liquidazione venne vanamente tentata, tramite posta elettronica certificata (PEC), dalla cancelleria, la quale, il 26 marzo 2014, comunicò tale esito al difensore di Unipol Banca s.p.a. che, quindi, provvide a richiederla “di persona”, a mezzo ufficiale giudiziario, il 24 settembre 2014, ma anche questo tentativo, effettuato presso la sede della società destinataria dell’atto notificando, non andò a buon fine; iv) all’udienza del 7 ottobre 2014, dunque, il legale di Unipol Banca s.p.a., rappresentata tale omessa notifica, chiese ed ottenne, dal giudice delegato, altro termine per rinnovarla, ed il procedimento fu rinviato all’udienza del 9 dicembre 2014; v) il 24 ottobre 2014, il legale di Unipol Banca s.p.a. notificò in proprio, ex L. n. 53 del 1994, ricorso e decreto di fissazione di udienza, a mezzo del servizio postale, al liquidatore della ***** s.r.l. in liquidazione, R.A., presso la sua residenza in *****, e gli atti vennero restituiti al mittente per compiuta giacenza; vi) all’udienza del 9 dicembre 2014, Unipol Banca s.p.a. ribadì le richieste di risoluzione del concordato e dichiarazione di fallimento della ***** s.r.l. in liquidazione, ed il giudice delegato, in assenza di costituzione di quest’ultima, si riservò di riferire al Collegio, il quale, successivamente, con decreto del 14 gennaio 2015, n. 65, dichiarò risolto il concordato e, con contestuale sentenza n. 5 del 2015, pronunciò il fallimento della società da ultimo menzionata.

4.3. La ricorrente, come si è già anticipato, lamenta oggi “l’errata posizione della Corte di appello di Ancona, la quale, nonostante la domanda della reclamante ***** s.r.l. supportata da inconfutabili riscontri documentali, e nonostante il contraddittorio svolto tra le parti sul punto con argomentazioni spiegate nei rispettivi scritti difensivi – non ha riconosciuto la violazione e la falsa applicazione dell’art. 154 c.p.c., da parte del Giudice di primo grado, il quale,… invece di dichiarare la improcedibilità del ricorso presentato dalla Unipol Banca s.p.a. (per omessa notifica nel termine assegnato e mancata richiesta di proroga prima della scadenza del termine stesso), ha semplicemente concesso un nuovo termine per la notifica” (cfr. pag. 16 del ricorso).

4.3.1. La specifica questione sulla quale questa Corte è chiamata a pronunciarsi verte, dunque, sulla possibilità, o meno, di concedere un nuovo termine per la notificazione del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza prefallimentare allorquando il ricorrente abbia omesso di effettuarla entro quello originariamente assegnatogli, nè abbia chiesto, prima dello spirare di quest’ultimo, la relativa proroga.

4.4. Giova premettere, come dato pacifico, l’applicabilità degli artt. 152 e 155 c.p.c., anche ai “giudizi camerali” (ai cui principi è assoggettato, per quanto qui di interesse, il procedimento prefallimentare), atteso che essi sono previsti tra le disposizioni generali del codice di rito, che, in mancanza di regole particolari per i giudizi di rito camerale, valgono per tutte le forme procedimentali (giudizi di cognizione, giudizio esecuzione, procedimenti speciali e giudizi da definirsi con il rito camerale), e che le suddette norme costituiscono l’unico punto di riferimento per l’interprete, in assenza della previsione, nella materia fallimentare (per quanto qui di interesse) di una disciplina dei termini processuali autonoma e derogatoria delle regole generali.

4.4.1. Va, poi, evidenziato che le pronunce di legittimità che relativamente al tema, più generale, della possibilità, o meno, di assegnare un nuovo termine per la notifica del ricorso introduttivo di un giudizio ove rimasto inosservato quello all’uopo originariamente fissato – si sono susseguite nel tempo, mosse dall’esigenza di contemperare principi ed interessi di eguale rango contrapposti e meritevoli di tutela, hanno assunto varie sfaccettature dando, a quel tema, soluzioni diverse, ora riconoscendo ed ora negando la prorogabilità del termine ordinatorio previsto dall’art. 154 c.p.c., se richiesta dopo la sua scadenza, sia per il caso di tardiva che per l’ipotesi (verificatasi nella odierna fattispecie) di omessa notificazione del ricorso e del pedissequo decreto presidenziale. Le differenti decisioni tengono conto di situazioni processuali diverse che trovano la loro sintesi nelle due, solo apparentemente contrapposte, sentenze rese, rispettivamente, da Cass., SU, n. 20604 del 2008 e da Cass., SU, n. 5700/2014, costituenti i capisaldi concettuali per giungere alla soluzione del problema. La prima di esse (Cass., SU, n. 20604 del 2008) riguarda la materia delle impugnazioni nel giudizio del lavoro, mentre la seconda (Cass., SU, n. 5700 del 2014) fornisce la soluzione in materia di risarcimento del danno per eccessiva durata del processo (legge n. 89/2001 nella formulazione previgente alle modificazioni di cui al D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012). Le due diverse (ed apparentemente contrapposte) soluzioni hanno i loro rispettivi momenti di sintesi giuridica nelle seguenti possibili differenti opzioni sul piano giuridico.

4.4.1.1. La tesi dell’improrogabilità del termine processuale si fonda sulla rigida applicazione dell’art. 154 c.p.c., temperata per il solo caso in cui, al di là del rispetto dei termini processuali stabiliti nel decreto presidenziale di fissazione della udienza, il convenuto si costituisca comunque in giudizio anche al solo fine di far valere, in via di eccezione, i difetti collegati alla notificazione; in tale caso si realizza lo scopo della legge che è la formazione di un regolare tempestivo contraddittorio fra le parti. Sarà, poi, oggetto di successiva valutazione del giudice, attraverso un rinvio dell’udienza per la prosecuzione dell’instaurato giudizio, concedere al convenuto costituito un ulteriore termine per permettergli di meglio approntare le proprie difese, diritto quest’ultimo che potrebbe essere stato pregiudicato proprio dal mancato rispetto (da parte di colui che introduce il giudizio) dei termini previsti per la notificazione del ricorso e del decreto.

4.4.1.2. La soluzione meno rigida (prorogabilità del termine ordinatorio anche se scaduto o in assenza totale di notificazione) si fonda su un ragionamento giuridico più articolato e complesso, che passa attraverso l’applicazione di due ulteriori e diverse norme: gli artt. 159 e 291 c.p.c.. Il primo fissa la regola generale per la quale la nullità di un atto non determina quella degli atti precedenti, nè di quelli successivi che ne siano indipendenti. Sulla base di questo principio consegue che la nullità della notificazione del ricorso e del decreto, non può riverberare effetti sulla validità giuridica del ricorso proposto. L’art. 291 c.p.c., a sua volta, dettato per il giudizio di cognizione, prevede che se il convenuto non si costituisce e si rileva un vizio che importi nullità nella notificazione della citazione, il giudice fissa all’attore un termine perentorio per la rinnovazione della notificazione stessa. In assenza di regole specifiche ed analoghe dettate per i giudizi camerali, la giurisprudenza ha ritenuto di estendere, con interpretazione analogica (quale applicazione di una regola di sistema) detta ultima disposizione anche a questa tipologia di giudizi. Nel corso del tempo, peraltro, la giurisprudenza ha spesso finito con l’equiparare, ai fini dell’applicazione di tale articolo, l’ipotesi della notificazione “nulla” a quella dell'”omessa” o “inesistente” notificazione con un’evidente forzatura del dato letterale della disposizione, finchè Cass., SU, n. 10817 del 2008 ha sancito la possibilità ricollegare quella norma solo alla prima di tali ipotesi, inapplicabile, invece, per ragionamento a contrario, alle altre due.

4.4.2. Con la decisione n. 20604 del 2008, le Sezioni Unite della Cassazione, componendo un articolato contrasto formatosi fra sezioni semplici, ha stabilito che il termine previsto dall’art. 435 c.p.c., (disciplina della notificazione del decreto presidenziale e dell’atto di impugnazione nel giudizio di gravame del rito del lavoro) non è suscettibile di proroga, così escludendo che il giudice possa assegnare all’appellante un nuovo termine (questa volta perentorio) ex art. 421 c.p.c., e, così, procedere ad una nuova notifica ex art. 291 c.p.c.. Il fulcro della relativa motivazione poggia, da un lato, su un’interpretazione letterale, dell’art. 435 c.p.c., e, dall’altro, nell’esigenza di dare concreta attuazione al principio della ragionevole durata del processo ex art. 111 Cost., ormai generalmente elevato a regola precettiva. Sul piano più strettamente processuale, le Sezioni Unite hanno messo in evidenza che, nel giudizio di impugnazione del rito del lavoro, ricorre una netta demarcazione tra edictio actionis (deposito del ricorso con conseguente valida instaurazione del giudizio) e vocatio in ius (notifica del ricorso e susseguente costituzione del contraddittorio) con la conseguenza che le eventuali irregolarità, verificatesi nella seconda fase (vocatio in jus), pur non producendo effetti sulla prima (edictio actionis), sono causa di improcedibilità del giudizio. All’obbiezione che, per l’inosservanza del termine di notificazione alla controparte, il “sistema” non precluderebbe la concedibilità di una proroga (anche se intempestivamente richiesta) del termine in applicazione dell’art. 291 cod. proc. civ. (norma considerata “centrale nel sistema” processuale), le Sezioni Unite hanno risposto che proprio la concreta attuazione del principio stabilito dall’art. 111 Cost., non consente interpretazioni lassiste dovendosi tenere conto che la stabilizzazione definitiva degli effetti dell’edictio actionis si verifica solo attraverso una corretta vocatio in jus, non rinvenendosi margini che consentano un’estensione dell’applicazione delle deroghe accordabili attraverso un’impropria applicazione degli artt. 291 o 421 c.p.c.. Al di là delle peculiarità proprie del processo di rito del lavoro e del relativo giudizio di impugnazione, deve rimarcarsi che la sentenza in esame eleva a regola generale il principio per il quale l’interpretazione delle norme processuali deve essere orientata all’attuazione concreta del canone della “ragionevole durata del processo” ex art. 111 Cost..

4.4.3. La pronuncia resa da Cass., SU, n. 5700 del 2014 (poi seguita dalla conforme Cass., SU, n. 9558 del 2014) in modo apparente si pone in contrasto rispetto alla decisione precedentemente descritta, ma, al di là della peculiarità della fattispecie esaminata, essa, in realtà, segna un affinamento del pensiero della Corte di cassazione la quale indica principi che sono un’ulteriore precisazione dei criteri interpretativi che devono guidare le decisioni in subiecta materia. Con questa sentenza le Sezioni Unite, condividendo l’approdo già raggiunto con quella n. 20604/2008, mettono in rilievo che, accanto al principio della ragionevole durata del processo, elevato a rango di principio costituzionale, bisogna tenere conto di altro principio rinvenibile all’interno del concetto del “giusto processo” così come delineato dall’art. 6 Cedu alla luce delle pronunce della Corte di Strasburgo. Nella sentenza in esame si afferma che, nell’applicazione delle regole processuali, occorre evitare di sanzionare comportamenti processuali ritenuti non improntati al valore della “ragionevole durata” del processo a scapito di altri valori nei quali si sostanzia il “processo equo”, quali: il “diritto di difesa”, il “diritto al contraddittorio” e lo stesso “diritto al processo”. Quest’ultimo principio impone che le limitazioni al diritto di accesso ad un giudice siano stabilite in modo chiaro e prevedibile, e, sull’onda di tale affermazione, fondata sul carattere recettizio nel nostro ordinamento delle sentenze Cedu, il giudice di legittimità ha rinvenuto, ai fini dell’affermazione della prorogabilità del termine di cui all’art. 154 c.p.c., per effetto della ritenuta centralità dell’art. 291 c.p.c., i seguenti presupposti: i) la struttura del procedimento camerale in concreto esaminato non deve avere una disciplina particolare che contempli espressamente una decadenza derivante dall’inattività del ricorrente successivamente al deposito del ricorso; li) non deve ricorrere una particolare necessità per l’accelerazione del procedimento; iii) il procedimento non deve presupporre nella controparte una legittima aspettativa al consolidamento, entro un confine temporale rigorosamente predefinito e ragionevolmente breve, di un provvedimento giudiziario già emesso; iv) la struttura del procedimento camerale non deve avere una struttura bifasica, di natura impugnatoria, caratterizzata da una fase iniziale, incentrata sul deposito del ricorso, produttiva di effetti prodromici e preliminari, suscettibili però di stabilizzarsi solo in presenza di una valida vocatio in jus; v) il principio di effettività della tutela giurisdizionale dei diritti impone che alla parte onerata del rispetto del termine, sia data tempestiva conoscenza del momento dal quale comincia a decorrere il termine e quello entro il quale devono essere compiuti gli adempimenti notificatori. Laddove non ricorrano i suddetti presupposti, nel procedimento con rito camerale ben può procedersi all’applicazione analogica delle regole di cui all’art. 291 c.p.c., già previsto per il giudizio ordinario di cognizione, con le seguenti conseguenze: 1) nel caso di omessa notificazione del ricorso e del pedissequo decreto alla controparte, il giudice dovrà concedere un nuovo termine (quest’ultimo a pena di decadenza) entro il quale il ricorrente sani il vizio processuale; 2) la comparizione di entrambe le parti all’udienza avrà un effetto sanante dei vizi della notificazione; 3) in caso di mancata comparizione di entrambe le parti, il giudice dovrà fissare una nuova udienza da comunicarsi alle parti ex art. 181 c.p.c..

4.4.4. Alla stregua dei summenzionati principi, dunque, deve valutarsi la correttezza, o meno, dell’operato, nella specie, del Tribunale di Macerata e, per conseguenza, della Corte di appello di Ancona, che, su questo specifico profilo del motivo di reclamo innanzi ad essa sollevato, non sembra effettivamente essersi pronunciata (essendosi limitata a sancire la nullità della notificazione del ricorso, con il pedissequo decreto di fissazione di udienza, effettuata da Unipol Banca s.p.a. nel nuovo termine assegnato dal predetto tribunale all’udienza del 7 ottobre 2014).

4.4.4.1. Muovendo dal punto di riferimento costituito dalla L. Fall., art. 15 (nel testo, applicabile ratione temporis, modificato dal D.L. n. 179 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 221 del 2012), che disciplina il procedimento prefallimentare, va osservato che quest’ultimo, di natura camerale: i) non ha carattere impugnatorio; ii) viene introdotto con ricorso da depositarsi nella cancelleria del tribunale, che, con decreto apposto in calce ad esso, e di cui non è prevista la immediata comunicazione alle parti, convoca debitore e creditore istanti; iii) ricorso e decreto sono notificati, tramite PEC, dalla cancelleria, all’indirizzo di posta elettronica certificata del debitore risultante dal registro delle imprese ovvero dall’indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata delle imprese e dei professionisti, e, solo ove ciò non sia possibile o il tentativo abbia avuto esito negativo, la notifica di ricorso e decreto deve essere curata dal ricorrente con le modalità previste dal comma 3 di detta norma; iv) tra la data della notificazione e quella dell’udienza deve intercorrere un termine non minore di quindici giorni.

4.4.4.2. E’ evidente, allora, che, il descritto procedimento non si configura come di natura impugnatoria, nè a struttura bifasica di analoga natura, caratterizzata da una fase iniziale, incentrata sul deposito del ricorso, produttiva di effetti prodromici e preliminari, suscettibili però di stabilizzarsi solo in presenza di una valida vocatio in jus. Mancano, dunque, alcuni dei requisiti solo in presenza dei quali, invece, alla stregua dei principi complessivamente sanciti dalle descritte pronunce delle Sezioni Unite nn. 20604 del 2008 e 5700 del 2014, il principio della “ragionevole durata del processo” si sarebbe dovuto considerare preminente rispetto agli altri valori – il “diritto di difesa”, il “diritto al contraddittorio” e lo stesso “diritto al processo” – nei quali pure si sostanzia il “processo equo” di cui all’art. 111 Cost., così da giustificare, nella specie, la mancata assegnazione alla Unipol Banca s.p.a., di un nuovo termine per la notificazione del proprio ricorso per la risoluzione del concordato preventivo e la dichiarazione di fallimento della ***** s.r.l. in liquidazione, una volta rimasto inosservato quello alla prima originariamente fissato dall’adito Tribunale di Macerata.

4.4.4.3. L’operato di quest’ultimo ufficio giudiziario, pertanto, laddove ha assegnato alla odierna ricorrente il nuovo termine ivi dalla stessa invocato, è perfettamente coerente con le pronunce di legittimità, a Sezioni Unite, di cui si è detto, con conseguente infondatezza del primo motivo dell’odierno ricorso della ***** s.r.l. in liquidazione.

4.4.5. Nè questa conclusione può considerarsi in contrasto con quanto diversamente sancito, dalle più recenti Cass. nn. 15146 del 2015 e Cass. n. 11541 del 2017, rese da questa stessa Sezione, posta le diversità di fattispecie oggetto delle medesime: lì, infatti, la Suprema Corte era stata chiamata a valutare la correttezza, o meno, di statuizioni di improcedibilità, rispettivamente, di un appello e di un reclamo avverso sentenze dichiarative di fallimento per non essere stati gli stessi notificati entro il termine appositamente stabilito. I provvedimenti impugnati in sede di legittimità, quindi, da un lato, erano stati pronunciati all’esito di giudizi aventi, per unanime opinione di dottrina e giurisprudenza, natura impugnatoria; dall’altro, evidentemente presentavano il carattere della necessità della stabilizzazione dei loro effetti in termini ragionevolmente brevi, attese le aspettative dei creditori istanti e di tutti i soggetti partecipanti alle relative procedure. Da ciò la conclusione, ivi preferita (ed anch’essa in linea con quanto complessivamente desumibile dalle già descritte Cass., SU, n. nn. 20604 del 2008 e 5700 del 2014), della preminenza del principio della “ragionevole durata del processo” rispetto agli altri valori – il “diritto di difesa”, il “diritto al contraddittorio” e lo stesso “diritto al processo” – nei quali, come si è detto, pure si sostanzia il “processo equo” di cui all’art. 111 Cost., e la giustificazione, nella specie, della mancata assegnazione del nuovo termine per la notificazione dell’appello e del reclamo, una volta rimasti inosservati quelli, a tal fine, originariamente fissati.

5. Il secondo motivo di ricorso reca la seguente rubrica: “Ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si impugna la sentenza della Corte di appello di Ancona n. 980/2015 per violazione e falsa applicazione delle seguenti norme di diritto: R.D. n. 267 del 1942, art. 15; art. 111 Cost.; artt. 156,163,164,291 e 354 c.p.c.”. Esso imputa alla corte distrettuale di non aver proceduto alla declaratoria di inesistenza della notificazione (eseguita nel nuovo termine assegnato dal tribunale) del ricorso di primo grado della Unipol Banca s.p.a., – perchè effettuata dal suo difensore a mezzo posta, invece che personalmente dall’Ufficiale Giudiziario, come imposto dalla L. Fall., art. 15, comma 3, e, sotto altro profilo, perchè avvenuta in un luogo del tutto estraneo al destinatario (per essere il medesimo residente nel Comune di *****, e non più in quello di Potenza Picena, dove detta notifica era stata diretta) – avendone erroneamente acclarato la nullità rimettendo, poi, il procedimento al Tribunale di Macerata.

5.1. Anche tale censura è infondata.

5.2. Invero, giusta quanto statuito da Cass., SU, n. 14916 del 2016 (in senso conforme, si vedano anche Cass. 3816 del 2018 e Cass. 2174 del 2017), l’inesistenza della notificazione è configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali, idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità. Tali elementi consistono: a) nell’attività di trasmissione svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da ritenere esistente ed individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento, restando pertanto esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, così da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta.

5.2.1. Nel caso di specie, la notificazione si “perfezionò” per compiuta giacenza, sicchè non rimase solo tentata, e venne operata dal difensore in base alla legge n. 53 del 1994, ossia da un soggetto astrattamente competente a compiere notifiche di atti processuali, benchè la L. Fall., art. 15, comma 3, (nel testo, applicabile ratione temporis, modificato dal D.L. n. 179 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 221 del 2012) non contempli l’utilizzo di un siffatto modulo notificatorio.

5.3. Va, altresì, ricordato che la citata Cass., SU, n. 14916 del 2016 (in senso sostanzialmente conforme, si vedano anche Cass. 7703 del 2018, Cass. 5663 del 2018) ha ulteriormente precisato che il luogo in cui la notificazione viene eseguita non attiene agli elementi costitutivi essenziali dell’atto, sicchè i vizi relativi alla sua individuazione, anche quando esso si riveli privo di alcun collegamento col destinatario, ricadono sempre nell’ambito della nullità dell’atto, come tale sanabile, con efficacia ex tunc, o per raggiungimento dello scopo, a seguito della costituzione della parte intimata (anche se compiuta al solo fine di eccepire la nullità), o in conseguenza della rinnovazione della notificazione, effettuata spontaneamente dalla parte stessa oppure su ordine del giudice ex art. 291 c.p.c..

5.3.1. Nella specie, peraltro, lo stabilire se il luogo (*****) dove era stata eseguita, tramite il servizio postale, nei confronti di R.A., in qualità di liquidatore della ***** s.r.l. in liquidazione, la notificazione (perfezionatasi con le formalità della compiuta giacenza) del già menzionato ricorso della Unipol Banca s.p.a., fosse, o meno, privo di qualsivoglia collegamento con il suddetto destinatario dell’atto notificando (che, nell’odierno ricorso assume essere residente in *****), implica, evidentemente, un accertamento in fatto precluso in sede di legittimità (ciò non senza rimarcare che, avendo la corte distrettuale dichiarato comunque nulla, sebbene per altra ragione, quella notificazione, la questione si rivela priva di concreti effetti dannosi per l’odierna ricorrente).

5.4. Ne consegue, dunque, alla stregua dei riportati, e qui condivisi, principi, che la formulata censura dell’odierna ricorrente si rivela insuscettibile di accoglimento, atteso che il vizio eventualmente rinvenibile nella notificazione del ricorso come dalla stessa lamentato, mai avrebbe potuto condurre alla declaratoria di sua inesistenza.

6. Il ricorso va quindi respinto, restando le spese del giudizio di legittimità regolate dal principio di soccombenza tra le parti costituite, e dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (applicabile ratione temporis, essendo stato il ricorso proposto il 16 ottobre 2015), in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione: norma in forza della quale il giudice dell’impugnazione è vincolato, pronunziando il provvedimento che definisce quest’ultima, a dare atto della sussistenza dei presupposti (rigetto integrale o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) per il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ***** s.r.l. in liquidazione al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che quantifica in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della medesima ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 25 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2018

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