LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETTITTI Stefano – Presidente –
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 822/2017 R.G., proposto da:
G.E., rappresentato e difeso dall’avv. Filomena Filomeno e dall’avv. Antonio Casulli, con domicilio eletto in Potenza, Via Pienza n. 60;
– ricorrente –
contro
Ministero della Giustizia, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio in Roma, Via dei Portoghesi 12;
– controricorrente –
avverso il decreto della Corte d’appello di Potenza n. 466/2016, depositato in data 7.12.2016;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18.6.2018 dal Consigliere Giuseppe Fortunato.
FATTI DI CAUSA
G.E., Ga.Vi.De.Ma., G.A., G.E. e G.G. hanno adito la Corte di appello di Potenza, chiedendo la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento dell’indennizzo ex L. n. 89 del 2001, in relazione alla durata della procedura di esecuzione immobiliare che, con riferimento alla posizione del ricorrente (debitore esecutato), era stata definita con sentenza di estinzione.
La Corte d’appello ha dichiarato inammissibile la domanda, ritenendo che essa fosse stata proposta oltre il termine semestrale L. n. 89 del 2001, ex art. 4, decorrente dal passaggio in giudicato della sentenza estinzione (26.2.2013).
Per la cassazione di questo provvedimento G.E. ha proposto ricorso in unico motivo, cui resiste con controricorso il Ministero della giustizia.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo di ricorso si censura la violazione degli artt. 630 e 632 c.p.c. e L. n. 89 del 2001, art. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Il decreto impugnato avrebbe erroneamente ritenuto che la posizione del ricorrente fosse stata definita con la sentenza n. 772/2012, divenuta irrevocabile in data 26.2.2013, non considerando che il giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto (procedere, ai sensi dell’art. 632 c.p.c., comma 2, alle attività conseguenziali all’estinzione con atti suscettibili di opposizione ex art. 617 c.p.c.. La procedura era, inoltre, proseguita nei confronti degli altri debitori esecutati e gli atti erano stati rimessi al notaio delegato per la vendita dell’immobile.
Il motivo è inammissibile.
Il ricorrente ha omesso di specificare se con la sentenza con la quale la procedura è stata dichiarata estinta, il giudice di merito avesse disposto la liberazione della quota per effetto dell’adozione delle misure ex art. 632 c.p.c. (cancellazione del pignoramento, liquidazione delle spese etc.) e quali provvedimenti dovessero essere ancora adottati allo scopo di definire, nei suoi confronti, la procedura, così impedendo di verificare se effettivamente il passaggio in giudicato della decisione di estinzione avesse determinato il decorso del termine di proponibilità della domanda di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 4, così come ritenuto dal giudice di merito. Il ricorso è quindi respinto con aggravio di spese secondo soccombenza.
Non sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1 bis, essendo il presente giudizio esente.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, pari ad Euro 900,00 a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 18 giugno 2018.
Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2018