LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –
Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI Maria Giulia – Consigliere –
Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –
Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2869/2012 R.G. proposto da:
C.S. IMMOBILI S.R.L. (c.f. *****), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. Massimo Gelmini e dall’Avv. Ruggero Longo, con domicilio eletto in Roma, lungotevere Flaminio, n. 60, presso lo studio dell’Avv. Ruggero Longo;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE (c.f. *****), in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12;
– controricorso –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, sez. staccata di Brescia, n.127/65/2011 depositata il 23 giugno 2011, non notificate.
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 3 luglio 2018 dal consigliere Pierpaolo Gori.
RILEVATO
che:
– Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell’Umbria (in seguito, CTR) veniva rigettato l’appello proposto da C.S. IMMOBILI S.R.L. (in seguito, la contribuente), svolgente attività di costruttrice di immobili e di rivendita al dettaglio, avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Bergamo (in seguito, CTP) n. 87/02/2010, avente ad oggetto l’impugnazione di un avviso di accertamento con cui veniva accertato un maggior reddito di impresa ai fini IRPEG, IVA, IRAP, oltre ad interessi e sanzioni, per l’anno di imposta 2006 in relazione a tre compravendite immobiliari;
In particolare, a seguito di tentativo di adesione ad esito negativo, il contribuente adiva la CTP contestando, tra l’altro, i presupposti per l’accertamento induttivo, l’illegittimità dell’avviso per carenza di motivazione e, nel merito, l’infondatezza delle riprese per inapplicabilità al caso di specie della disciplina fondante presunzioni legali sui valori normali OMI, in ragione della legge comunitaria n. 88 del 2009; l’Agenzia resisteva ed i giudici di prime cure rigettavano il ricorso, ritenendo corrette le riprese e non retroattiva la L. n. 88 del 2009; la contribuente proponeva appello, riproponendo le doglianze avanzate in primo grado, ma anche l’appello veniva disatteso;
– La contribuente propone ricorso per Cassazione contro la sentenza della CTR, affidato a due motivi, cui resiste l’Agenzia con controricorso.
RITENUTO
che:
– Con il primo e secondo motivo di ricorso si deduce l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver la CTR omesso di valutare tre perizie di parte relative alla compravendita degli immobili prodotte in sede di appello, e per aver ritenuto senz’altro applicabili i valori normali OMI attraverso un riscontro illogico tra tali dati, le fatture e gli assegni degli acquirenti;
– I motivi, strettamente connessi e per tale ragione da esaminarsi congiuntamente, sono infondati, nei termini che seguono.
Innanzitutto, non è condivisibile l’affermazione della contribuente secondo cui la CTR non si sarebbe confrontata con le perizie di parte depositate in appello e, anzi, incorpora nella motivazione elementi informativi sul valore degli immobili tratti dalle perizie, ad es. “(…) l’immobile trovasi in una via molto trafficata di *****”, sovrapponibile con le risultanze peritali riprodotte a pag. 13 del ricorso, e ancora “(…) lo sfruttamento degli spazi interni degli appartamenti non è paragonabile ad una normale abitazione mancando di balconi e con muri perimetrali di grosso spessore”, sovrapponibile con le risultanze peritali riprodotte a pag. 17 del ricorso;
Ciò detto, quanto alla rilevanza dei valori normali OMI ai fini della presente controversia, va rammentato l’insegnamento di questa Corte secondo cui “In tema di accertamento dei redditi d’impresa, in seguito alla sostituzione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 ad opera della L. n. 88 del 2009, art. 24, comma 5, che, con effetto retroattivo, stante la sua finalità di adeguamento al diritto dell’Unione europea, ha eliminato la presunzione legale relativa (introdotta dal D.L. n. 223 del 2006, art. 35, comma 3, conv., con modif., dalla L. n. 248 del 2006) di corrispondenza del corrispettivo della cessione di beni immobili al valore normale degli stessi (così ripristinando il precedente quadro normativo in base al quale, in generale, l’esistenza di attività non dichiarate può essere desunta “anche sulla base di presunzioni semplici, purchè queste siano gravi, precise e concordanti”), l’accertamento di un maggior reddito derivante dalla predetta cessione di beni immobili non può essere fondato soltanto sulla sussistenza di uno scostamento tra il corrispettivo dichiarato nell’atto di compravendita ed il valore normale del bene quale risulta dalle quotazioni OMI, ma richiede la sussistenza di ulteriori elementi indiziari gravi, precisi e concordanti” (Cass. 12 aprile 2017 n. 9474); dunque, la novella del 2009 in quanto espressione di un principio di diritto eurounitario trova applicazione retroattiva anche nel caso di specie e, nondimeno, la CTR non si è limitata a rigettare l’appello sulla base del solo scostamento del corrispettivo dichiarato con i valori OMI come affermato dalla contribuente, nè ha riscontrato tali dati illogicamente;
– Orbene, la sentenza gravata ha confermato la ripresa a tassazione tenendo conto degli elementi penalizzanti il valore commerciale degli immobili evidenziati dalle perizie di parte e, nondimeno, incrociando la discrepanza tra il corrispettivo dichiarato e il valore normale determinabile sulla scorta dei dati OMI accertata nel processo verbale di constatazione, con ulteriori elementi di prova, di cui due esplicitati in motivazione, ossia le fatture e gli assegni degli acquirenti, è giunta ad accertare l’antieconomicità dei prezzi praticati, secondo una valutazione di fatto tipicamente rimessa al giudice del merito, in quanto sorretta da una motivazione logica ed adeguata che questa Corte non ha titolo per rivalutare, dal momento che la contribuente non ha evidenziato elementi di prova decisivi in senso contrario ritualmente introdotti nel processo e di cui la CTR non avrebbe tenuto conto;
– Al rigetto del ricorso segue, secondo soccombenza, la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate come da dispositivo.
PQM
la Corte:
rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente a rifondere alla resistente le spese di lite, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 3 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2018