Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.30782 del 28/11/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente –

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –

Dott. PACILLI Giuseppina Anna Rosaria – Consigliere –

Dott. ARIOLI Giovanni – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 2079-2012 proposto da:

C.F., elettivamente domiciliato in ROMA, presso lo studio dell’Avvocato GIUSEPPE MARINI, che lo rappresenta e difende assieme all’Avvocato ANDREA CONDEMO giusta procura estesa a margine del ricorso

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in ROMA, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 111/6/2010 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della SICILIA, depositata il 26.11.2010, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’1.10.2018 dal Consigliere Dott.ssa ANTONELLA DELL’ORFANO.

RILEVATO

Che:

C.F. ricorre per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale del Veneto aveva respinto l’appello del contribuente avverso la sentenza n. 75/1/2009 della Commissione Tributaria Provinciale di Belluno, che aveva accolto parzialmente il ricorso proposto avverso avviso di accertamento IRPEF ed IRAP per l’anno di imposta 2004 relativamente a maggiori compensi, non dichiarati, derivanti dallo svolgimento della professione di medico odontoiatra, riducendo nella misura del 20% il maggior reddito accertato;

il contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi;

con il primo motivo ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione e falsa applicazione… del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d)” per non avere l’Ufficio fornito alcun indizio grave, preciso e concordante sui contestati compensi non dichiarati;

con il secondo motivo ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “falsa applicazione… del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d)” in merito all’insussistenza dei presupposti per operare un accertamento induttivo;

con il terzo motivo ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “insufficiente motivazione in merito alla sussistenza deì presupposti per operare un accertamento induttivo ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d)”;

con il quarto motivo ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “insufficiente e contradditoria motivazione in merito al contestato utilizzo da parte dell’ufficio di presunzioni dì presunzioni”;

l’Agenzia delle Entrate si è costituita deducendo l’inammissibilità ed infondatezza del ricorso.

CONSIDERATO

che 1.1. i motivi di ricorso, che vanno trattati congiuntamente in quanto il corretto iter motivazionale è connesso alla questione relativa ai poteri dell’Ufficio conferiti dalla superiore normativa, sono infondati e vanno respinti per le considerazioni di seguito illustrate;

1.2. il ricorrente lamenta, in particolare, che la C.T.R., pur dando atto della regolare tenuta delle scritture contabili, aveva ritenuto legittimo il ricorso all’accertamento induttivo, basato sulla riscontrata discrasia tra il consumo di prodotti monouso (aspirasaliva e guanti) ed il numero delle prestazioni eseguite risultanti dalle ricevute fiscali emesse, “pur in assenza di dati certi”, in presenza di una ripresa effettuata “sulla base di una presunzione costruita su elementi astratti e non su concreti indizi gravi, precisi e concordanti”, senza “indicare gli specifici elementi presi in considerazione” o “alcun elemento di fatto che consenta di costruire una effettiva prestazione”;

1.3. in primo luogo va osservato che l’accertamento con metodo analitico-induttivo, con cui il fisco procede alla rettifica di singoli componenti reddituali, ancorchè di rilevante importo, è consentito, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39,comma 1, lett. d), pure in presenza di contabilità formalmente tenuta, giacchè la disposizione presuppone, appunto, l’esistenza di scritture regolarmente tenute e, tuttavia, contestabili in forza di valutazioni condotte sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti che facciano seriamente dubitare della completezza e fedeltà della contabilità esaminata (cfr., ex multis, Cass. n. 20060/2014, 13068/2011), come si verifica qualora la contabilità stessa possa considerarsi complessivamente inattendibile in quanto configgente con i criteri della ragionevolezza, anche sotto il profilo dell’antieconomicità del comportamento del contribuente; in tali casi, pertanto, l’Ufficio è legittimato a desumere, sulla base delle predette presunzioni, maggiori ricavi o minori costì, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente (cfr. Cass. nn. 2603/2015, 67871/2012);

1.3. questa Corte (cfr. Cass. nn. 5870/2012, 17408/2010), in ipotesi simile a quella in esame, ha, inoltre, osservato che “nella prova per presunzioni, la relazione tra il fatto noto e quello ignoto non deve avere carattere di necessità, essendo sufficiente che l’esistenza del fatto da dimostrare derivi come conseguenza del fatto noto alla stregua di canoni di ragionevole probabilità”; pertanto, in tema di accertamento presuntivo del reddito d’impresa, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), è stato ritenuto legittimo l’accertamento che abbia ricostruito i ricavi di un’impresa di ristorazione sulla base del consumo unitario dei tovaglioli utilizzati (cfr., tra le altre, Cass. nn. 51/1999 in tema di materia prima per produrre prodotti di ristorazione, 6465 e 9884/2002, 15808/06 in tema di consumo di tovaglioli, e, in altro settore, consumo guanti monouso in odontoiatria); si deve altresì rammentare che la facoltà per l’Amministrazione Finanziaria di procedere ad accertamento induttivo sussiste non solo quando la dichiarazione del contribuente non sia congrua con gli studi di settore, ma anche quando gli accertamenti possano essere fondati sull’esistenza di gravi incongruenze tra ricavi, compensi e corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività, ed a ciò consegue, quindi, l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente;

1.4. la valorizzazione di elementi di consumo monouso non è, quindi, affatto inibita al Giudice, che non è neppure obbligato a seguire le Circolari della Agenzia, non costituenti fonte normativa, potendo al contrario attribuirne rilevanza probatoria nel contesto di un più complesso quadro induttivo (sulla rilevanza dei guanti monouso ai fini dell’accertamento analitico-induttivo, come si è detto, cfr. Cass. n. 14879/2008);

1.5. così delineato il quadro normativa ed ermeneutico di riferimento, deve osservarsi che non può essere revocato in dubbio che esista una correlazione tra il materiale di consumo utilizzato (nella specie appunto aspira saliva e guanti monouso) e gli interventi sui pazienti e che quindi tale elemento costituisca un dato utilizzabile per l’accertamento, dovendo al contempo essere evidenziato come il ricorrente si sia limitato nel ricorso a considerazioni di carattere generale circa il metodo con cui avrebbe dovuto essere valutata la contabilità e l’attività del contribuente, senza tuttavia applicare tali considerazioni al caso concreto per contestare dettagliatamente l’operato dell’Ufficio;

1.6. è palese, infatti, in forza dei principi sopra richiamati, che il consumo unitario dei citati prodotti monouso, ovvero il numero di questi, rappresenta un fatto noto capace, anche di per sè solo, di lasciare ragionevolmente e verosimilmente, cioè del tutto legittimamente (senza che intervenga la mediazione di alcun “terzo fattore” o l’applicazione di alcuna presunzione di secondo grado, come lamentato dal ricorrente), presumere il numero delle prestazioni effettivamente eseguite dal professionista, così da ricostruirne i ricavi in sede di accertamento analitico-induttivo di tali specifiche poste;

2. sulla scorta di quanto sin qui illustrato, sebbene la CTR abbia reso affermazioni non del tutto coerenti con i principi dianzi illustrati (laddove ha apoditticamente affermato fosse “cosa notoria” l’utilizzo di tali ausili in numero di “tre o quattro” per ciascuna prestazione, confermando l’applicazione, all’importo accertato, di una riduzione pari al 20% del medesimo) il ricorso deve essere rigettato;

3. il ricorrente, secondo il principio della soccombenza, va condannato alla rifusione delle spese del presente giudizio di legittimità che vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio, che liquida in favore dell’Agenzia delle Entrate in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, il 1 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2018

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