Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.30850 del 29/11/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 11493/2017 R.G. proposto da:

M.A., rappresentata e difesa dall’Avv. Giampaolo Ruggiero, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Tuscolana, n. 1348;

– ricorrente –

contro

P.L., rappresentato e difeso dall’Avv. Massimo Miraglia, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale della Vittoria, n. 34;

– controricorrente –

P.S.;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma depositata il 2 novembre 2016;

Udita la relazione svolta in camera di consiglio dal Consigliere Dott. Cosimo D’Arrigo;

letta la sentenza impugnata;

letti il ricorso, il controricorso e le memorie depositate ai sensi dell’art. 380-bis-1 c.p.c..

RITENUTO

In sede di giudizio di rinvio, a seguito di sentenza di questa Corte n. 6823 del 2008, la Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 1801 del 2010, accoglieva la domanda di restituzione di un terreno proposta da M.A. nei confronti di S. e P.L., condannando gli stessi alla chiusura dei varchi aperti sul fondo e al pagamento delle spese processuali, ma dichiarava inammissibile la domanda di risarcimento del danno perchè non formulata in primo grado.

La M. impugnava la sentenza per revocazione, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, sostenendo che la decisione costituisse il frutto di un errore percettivo della corte d’appello, che aveva omesso di rilevare come costei avesse formulato, fin dal ricorso introduttivo del giudizio ex art. 447-bis c.p.c. depositato l’11 aprile 1998, una specifica domanda di condanna dei convenuti alla riduzione in pristino dello stato del terreno e al risarcimento dei danni per la ritardata consegna; domanda che era stata successivamente reiterata in ogni grado del giudizio.

La Corte d’appello di Roma, con la sentenza qui impugnata, ha respinto la domanda di revocazione, ritenendo che quanto dedotto dalla M. non desse luogo ad un errore determinato dalla falsa percezione di un fatto fenomenico, bensì costituisse un problema di apprezzamento delle domande della parte, come tale sindacabile in sede di legittimità e non mediante l’impugnazione di carattere eccezionale prevista dall’art. 395 c.p.c., n. 4.

Tale decisione è stata fatta oggetto, da parte della M., di ricorso per cassazione articolato in due motivi, illustrati da successive memorie difensive. P.L. ha resistito con controricorso.

CONSIDERATO

In considerazione dei motivi dedotti e delle ragioni della decisione, la motivazione del presente provvedimento può essere redatta in forma semplificata.

Con il primo motivo si deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 395 c.p.c., n. 4, evidenziando che nella sentenza oggetto di revocazione non si era fatta alcuna attività di interpretazione o valutazione del contenuto degli atti introduttivi del giudizio, essendosi semplicemente affermato, all’esito di una costatazione obiettivamente erronea, che “la domanda di risarcimento del danno svolta da M.” non era stata “mai spiegata in primo grado”. Tale affermazione, sostanziandosi nella mera assunzione acritica di un fatto, doveva essere denunciata con istanza di revocazione, anzichè mediante ricorso per cassazione.

Il motivo è fondato.

Questa Corte ha infatti precisato che, se il giudice di merito omette di pronunciare su una domanda che si assume essere stata ritualmente proposta, motivando la propria decisione col fatto che quella domanda non sarebbe mai stata formulata, la sentenza contenente tale statuizione dev’essere impugnata con la revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, e non con i mezzi ordinari, in tal caso non sussistendo una relazione di alternatività tra errore revocatorio e principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (Sez. 3, Sentenza n. 12958 del 14/06/2011, Rv. 618307; v. pure Sez. 3, Sentenza n. 27555 del 20/12/2011, Rv. 621063).

In sostanza, costituisce errore revocatorio quello del giudice che ha erroneamente percepito l’insussistenza della domanda che invece era stata ritualmente presentata. Se invece il giudice semplicemente ne omette l’esame, senza affermarne espressamente (ed erroneamente) l’insussistenza della stessa, si ricade nella violazione del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato e quindi si tratta di un error in procedendo che deve essere censurato con gli ordinari mezzi di impugnazione.

L’accoglimento del primo motivo determina l’assorbimento del secondo, con il quale si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Con tale censura, infatti, si contesta la motivazione del provvedimento impugnato, che si assume essere stata omessa, ovvero meramente apparente, irriducibilmente contraddittoria, perplessa o incomprensibile.

In conclusione, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla corte di merito, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Roma in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 4 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2018

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